𝐀𝐔𝐃𝐄𝐍𝐓𝐄𝐒 π…πŽπ‘π“π”π...

By workingclasscheroine

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Quando Paul arriva all'UniversitΓ  di Cambridge, il suo obiettivo Γ¨ quello di far scorrere tutto liscio fino a... More

CAST
1. The Prime Minister
2. The Breakfast Club
3. The Lord of the Rings
4. The Sleeping Beauty
5. The Secret We Keep
6. The Saturday Night Fever
7. The Tea Party
8. The Mistery Gang
9. The Fight Club
10. The Concussion
11. The Unintended Mask
12. The Backs
13. The Punt Tour
14. The Reason Why
15. The Lunch Date
16. The Dancing Queen
17. The Birthday Boy
18. The Broken Ones
19. The Patched Hearts
20. The Carpe Diem
21. The Red Skirt
22. The Allied Powers
23. The Art of War
24. The Plot Twist
25. The Ruthless Voice
26. The Kafka Trap
27. The Car Ride
28. The Double Date
29. The Drunk Calling
30. The Re-Education Program
31. The Romantic Comedy
32. The F*cking Sheets
33. The Unexpected Visitor
34. The Invisible Charybdis
35. The Question Game
36. The Absent Guard
37. The Final Duel
38. The Scared Child
39. The Last Trip
40. The Monet Affair
41. The Fallen Angel
42. The Little Brother
43. The Longest Dinner
44. The Unsolicited Opinions
45. The Unequal Struggle
46. The First Rule
47. The Lovely Bastard
48. The Crystal Boy
49. The CatkinsοΏΌ' Philosophy
50. The Pool Party
51. The Immortal Youth
52. The White Nights
53. The Unfamiliar Familiarity
54. The Unshakable Complicity
55. The Water Strider
56. The Breakfast Fail
57. The Safe Haven
58. The Baby's Name
59. The Second Mouse
60. The Eagle
61. The Ghost of Christmas Past
62. The Mix Cd
63. The Haunted House
64. The Prodigal Son

65. The Bench

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By workingclasscheroine

Faccio la prima cosa che mi passa per la testa: scrivere a Churchill.

Non aspetto neanche che mi risponda, prima di chiamarlo.

Risponde dopo appena un paio di squilli.

"Devi spostare quel treno" lo travolgo, prima ancora che abbia il tempo di dire una sola parola.

"Buongiorno" risponde lui. La sua voce è ovattata dal sonno. "Sì, sto bene, grazie. Tu?"

"Non ho voglia di scherzare" lo avverto.

"Non ne hai mai" concorda, nel bel mezzo di uno sbadiglio.

Gli riattacco in faccia.

Cammino senza neanche sapere dove andare, le strade che mi scorrono alle spalle come in un montaggio grottesco.

Una sensazione più dolorosa della rabbia mi stringe il petto, un continuo pungere dello sterno che mi riempie di angoscia.

È in momenti come questo, che vorrei poter piangere.

Vorrei cedere alla pressione che sento spingere contro i miei condotti lacrimali, lasciar scorrere via il dolore lungo le guance, proiettarlo all'esterno di me così che finalmente mi abbandoni.

Ma non ci riesco.

La mia testa vibra di energia repressa, centinaia di pensieri diversi che la attraversano e continuano a sbattermi contro le pareti del cranio, tentando di fuoriuscirne.

Il mio corpo resta invece silente, incapace di reagire a quella sensazione.

Ma non posso frenare quelle immagini, onde che continuano a rifrangersi contro i miei occhi, dall'interno, tentando di sfondarli.

Flash di mio padre che mi carezza i capelli, protetto dal buio, gli occhi malinconici di Kurt Cobain che vegliano su di me.

L' espressione dipinta sul viso di mio fratello, rabbia e desiderio di ferire, la certezza di non essere riuscito nell'unica missione che mi sia mai prefissato: impedire che mi somigliasse.

Linda che piange, con la testa stretta tra le mani, e mi chiede perché neanche ora, neanche di fronte al suo tradimento, io sembri capace di esprimere un qualche tipo di emozione.

Mia madre che nasconde i suoi occhi rossi, la paura di morire, e mi insegna inconsapevolmente la più terribile delle sue lezioni, e forse per questo la più duratura: nascondi il tuo dolore, non permettere che nessuno lo veda.

Mio padre che fa la stessa cosa, rigido e impettito al suo funerale, la sua mano che mi si chiude sulla spalla come una morsa, con sempre più forza, come se temesse di perdere improvvisamente l'equilibrio.

Mike che si rifugia nel mio letto, ogni singola notte, e mi obbliga ad essere forte, ad essere coraggioso anche per lui.

La Tartaruga che mi sorride e mi rassicura sul fatto che quella parte di me, quella che io ritengo inamabile, qualcuno la amerà.

Lo sguardo comprensivo di Stuart Sutcliffe, il suo tiepido invito a prendermi cura di me.

Churchill che si inginocchia di fronte a me, mi supplica di restituirgli tutto quello che sono, di lasciarmi vedere nella mia interezza.

Cammino senza realmente sapere dove io stia andando, le guglie di Oxford smussate e sfocate dal velo che mi ricopre gli occhi.

Mi chiedo cosa pensino i passanti che incrociano il mio cammino.

Queste urla che mi riempiono la testa, questo dramma che si sta consumando al mio interno, loro non possono immaginarlo.

Probabilmente, è questo a provocare il senso di solitudine che sento da sempre, e che si è poi aggravato con gli anni: la mia incapacità di comunicare e l'altrui incapacità di vedere.

Se adesso richiamassi Churchill, gli dicessi che non è niente, che sono solo stanco, che avevo solo bisogno che capisse e mi dicesse "Che succede?" con la sua voce, quella bassa e morbida e preoccupata che ha sempre l'effetto di restituirmi calore, e mi scusassi per aver riattaccato perché lo so, razionalmente lo so che non può immaginare ciò che io non gli rappresento, eppure sono sempre stato così, ho sempre preteso che gli altri mi capissero senza alcun indizio, senza alcun aiuto.

Se gli dicessi che ha ragione, e la ha sempre avuta, ed io metto costantemente alla prova chiunque, e resto con il fiato sospeso nell'attesa di vederli fallire, perché sono convinto che chiunque mi ami debba essere cattivo e corrotto e sbagliato almeno quanto me, perché nessuno sano di mente e puro di cuore potrebbe mai provare per me altro che disgusto.

E se qualcosa di diverso provano, e se non è solo disgusto, e se io non voglio credere sino in fondo che siano cattivi e corrotti, vuol dire che la colpa è mia, ancora ed ancora, perché io li sto ingannando, perché mi sto nascondendo, perché non mi conoscono davvero.

Se adesso tornassi a casa da Mike, lo abbracciassi e gli dicessi che mi dispiace, che non faccio che disseminare dolore ovunque io vada, e che ho passato ogni singolo momento da allora a pentirmi di quel giorno di gennaio, e che mi dispiace di aver scelto una data così terribilmente vicina al suo compleanno, e mi dispiace di non aver più avuto il coraggio di parlarne.

Se gli dicessi che ho bisogno di averlo vicino e che ho bisogno che continui a provarci, anche se continuo a respingerlo, perché lui è l'unica persona al mondo che sia mai riuscita a farmi credere nell'eternità di un legame, e non perché siamo fratelli, dio mio, non solo per quello, ma perché lui è così buono, e paziente, e io a volte credo che qualcuno più in alto di noi tutti abbia deciso di regalarmelo per uno scopo.

Se mi risedessi a tavola, aspettassi la discesa dalle scale di mio padre e gli dicessi che due pancake li mangerei volentieri, se ha voglia di cucinarli, altrimenti uova strapazzate e bacon andranno benissimo, e non so perché continuo ad essere così arrabbiato con lui, perché so che non è colpa sua se la mamma è morta, se nessuno di noi era pronto, e nemmeno lui.

Se gli dicessi che conta qualcosa, per me, che abbia scelto di appendere quel poster in piena notte, nonostante tutto, perché quella non mi è mai più sembrata casa mia, dopo che la mamma se ne è andata, ma quel piccolo gesto, la scelta di cercare il mio stupido poster in piena notte ed appenderlo e poi guardarmi dormire, mi ha fatto provare un senso di appartenenza che avevo dimenticato.

Se ammettessi che lo vedo, vedo che ci sta provando e che so che lui e Mike stanno facendo di tutto per darmi una famiglia, ed io continuo a respingerli solo per questo stupido misto di paura e rancore che non ha più senso di esistere, perché siamo tutti cambiati, e papà è cambiato più di tutti, e che so che gli è costato mettersi in gioco, imparare a cucinare quella colazione che io ho appena rifiutato con tanta freddezza, vedermi distrutto e vedermi distante, indossare il suo bel completo ed andare in tribunale mentre io continuavo a non parlargli, a non spiegargli nulla, a rifiutare ogni tipo di aiuto.

Se potessi parlare con mia madre, solo una volta.

Solo un'ultima volta.

Mi fermo, improvvisamente, come se il mio corpo avesse riconosciuto la propria destinazione ancor prima del mio sguardo.

Era terribilmente ovvio, che sarei finito qui.

Carezzo con la punta dei polpastrelli il legno gelido e umido della panchina.

Qualcuno, in questi mesi, vi ha inciso sopra i nomi di Will e Lyra.

Vorrei essere stato io.

"Tu non sei in alcun universo parallelo, non è così?" mi ritrovo a mormorare, con voce rotta. "Non sei da nessuna parte"

Stringo le dita attorno alla sommità della spalliera, con forza, sino a sentire le schegge bucare la pelle.

Un lieve sentore di dolore, quanto basta per restituirmi al mondo reale.

Mi lascio cadere sul legno, incrociando le braccia al petto, abbandono la testa all'indietro.

La panchina è situata quasi alla fine dell'orto botanico, in un punto particolarmente tranquillo, lontano dai chiacchiericci e dalle risate di studenti e visitatori.

Se ne resta qui, quasi nascosta sotto un albero dai rami bassi e lunghi, che la sovrastano in una sorta di istinto protettivo, come la mano di una madre sempre sospesa sul capo del proprio figlio.

Studio il fitto intreccio dei rami, l'intricato disegno che racchiude il cielo sopra di me, e cerco le parole giuste da rivolgerle.

Se potessi parlare con mia madre, un'ultima volta, le direi che non le ho mai perdonato la sua morte, e che tutta quella rabbia, quella rabbia ingiusta di cui dunque mi vergognavo, ha covato in me e ha cercato bersagli ovunque, e per primo in mio padre.

Le direi che le sue parole, il suo continuo raccomandarsi di aver cura di Mike, non solo non ci hanno unito, ma hanno scatenato in me l'angoscia di proteggerlo da qualsiasi cosa, ed infine anche da me.

Le direi che le sono grato per quell'eroico tentativo di nascondere la propria malattia, anche negli ultimi istanti, ma che io la vedevo lo stesso, la vedevamo tutti, ed il suo costante ed estenuante smentirmi ha fatto sì che mi convincessi che amare equivalesse a mentire, a nascondere ciò che ci provoca dolore.

Le direi che, se fosse rimasta, le sarebbe forse toccato il medesimo destino di mio padre, il cui unico difetto è non essere morto, e dunque essere condannato a sbagliare e a farsi cogliere in errore da me mentre lo fa.

Le direi che sono stanco, e terrorizzato, e mi manca la mia mamma.

E mi manca il mio papà.

E mi manca il mio fratellino.

E mi sento disperatamente, completamente, costantemente solo.

"Non osare mai, mai più, chiudermi il telefono in faccia"

Mi tiro su, di scatto.

Resto in silenzio per un minuto buono, incapace di riprendermi dalla sorpresa, e Churchill resta in silenzio a sua volta, con appena un accenno di sorriso dipinto sulle labbra.

"Che ci fai qui?"

Scrolla le spalle.

"Ho preso un treno"

"È fisicamente impossibile, che tu sia arrivato qui nel tempo che è trascorso dalla nostra telefonata"

Sorride.

Stretto nel suo lungo cappotto nero, con le guance arrossate dal freddo e lo sfondo del giardino botanico di Oxford, ha un'aria malinconica e maledetta.

Il mio cuore pulsa dolorosamente contro lo sterno.

"Ho preso il biglietto ieri, insieme al tuo" spiega, facendo un passo in avanti. "Non avevo mai visitato Oxford"

"Quando sei arrivato?"

Churchill dondola sui talloni, alza gli occhi al cielo.

Il mio interrogatorio lo mette a disagio, ma non sono capace di formulare domande più elaborate di queste.

"Ieri pomeriggio. Ho un albergo qui vicino"

"Church..." mormoro, e la mia voce sembra spezzarsi a metà. "Perché sei qui?"

Guardo ossessivamente a terra, nel chiederlo.

Ma lui posa le dita sulla mia guancia, il mignolo che esercita una lieve pressione al di sotto del mento, costringendomi ad alzare sguardo.

"Quando ho sentito la tua voce al telefono..." spiega, quietamente. Il suo pollice si muove appena, solo per un attimo, come nell'involontario desiderio di saggiare la mia pelle. "Ho pensato fosse meglio rimanerti intorno"

Abbandono il viso contro la sua mano, vi spingo delicatamente contro.

Ho solo un'ultima domanda.

"Come sapevi che ero qui?"

Churchill sorride ancora, scrolla nuovamente le spalle.

"Dovrai arrenderti, prima o poi, al fatto che io ti conosca"

Il pensiero prende forma prima che riesca a frenarlo, ed una volta nella mia mente pare allargarsi e moltiplicarsi sino a prenderne possesso, sino a riempire ogni singolo interstizio e ogni singola piega del mio cervello.

Ti amo, penso.

Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo.

Scoppio a piangere.

Non me ne accorgo neanche, non immediatamente.

Solo questa sensazione di bagnato sul mio viso, le mani di Churchill che vi si stringono attorno, i suoi occhi che si spalancano per il terrore mentre si china sui talloni, di fronte a me, la sua voce bassa e morbida e preoccupata che mi chiede "Che succede?".

Ti amo, penso.

E piango più forte.

Di paura, di angoscia, di sollievo, perché non credevo sarei mai stato davvero capace di un pensiero del genere, non credevo sarei mai stato davvero capace di sentirmi così, di sentire questo tipo di amore.

Gli getto le braccia attorno al collo, facendogli perdere l'equilibrio.

Cadiamo sull'erba intirizzita dall'inverno, Churchill che ha la prontezza di spingere le mani indietro per frenare la caduta.

Le sposta immediatamente su di me, appena un attimo dopo, mi stringe forte.

Affondo il viso contro la lana del suo cappotto, soffocandovi le parole che vorrei pronunciare, e continuo a piangere, incessantemente, come se tutte le lacrime di questi anni potessero finalmente trovare uno sfogo.

Ti amo, penso.

Ti amo.


Note

Grazie a tuttə coloro che mi hanno scritto in questi mesi: so che non avete ricevuto una risposta, ma vi ho lettə.

Vi ho lettə nonostante fossi in un periodo estremamente buio della mia vita, le vostre parole mi hanno dato luce.

Mi ci è voluto del tempo, ma mi avete richiamata dai morti. Quasi letteralmente.

Vi sono grata.

Buon Natale <3

H.

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