Come un fiore tra le mine (Re...

By Elle_Jenny

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Mason vedeva solo nero. Non desiderava vedere più la luce in fondo al tunnel perché ormai era sceso a patti... More

Prologo di Mason
Prologo di Seb
Capitolo 1 - Mason
Capitolo 2 - Seb
Capitolo 3 - Mason
Capitolo 4 - Seb
Capitolo 5 - Mason
Capitolo 6 - Seb
Capitolo 7 - Seb
Capitolo 9 - Seb
Capitolo 10 - Mason
Capitolo 11 - Mason
Capitolo 12 - Seb
Capitolo 13 - Mason
Capitolo 14 - Seb e un po' di Mason
Capitolo 15 - Mason e un po' di Seb
Capitolo 16 - Seb
Capitolo 17 - Mason
Capitolo 18 - Mason
Capitolo 19 - Seb
Capitolo 20 - Mason
Capitolo 21 - Mason
Capitolo 22 - Seb
Capitolo 23 - Mason
Capitolo 24 - Mason e Seb
Capitolo 25 - Mason
Capitolo 26 - Seb
Capitolo 27 - Mason
Capitolo 28 - Seb
Capitolo 29 - Mason
Epilogo
Capitolo Speciale - Andy e Ben

Capitolo 8 - Mason

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By Elle_Jenny

Mason nel corso degli anni aveva allungato sempre di più la lista delle cose che odiava. Era diventata così lunga, quella lista, da far concorrenza alle settecentonovantotto pagine della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Tra le varie cose che effettivamente odiava c'erano i cetrioli, le cimici perché facevano ammalare le piante e puzzavano di morte se osavi schiacciarle, odiava le persone che parlavano a sproposito e che volevano per forza essere simpatiche; odiava la superficialità, chi esaltava la sua presunta intelligenza, ma che in realtà era solamente ignoranza mascherata male; non sopportava i rumori troppo forti, le persone che si fingevano ubriache e chi provava a disturbare il suo sonno che, di norma, era già molto leggero e precario.

Odiava Evan che tornava ubriaco a casa e la faceva tremare perché non riusciva a fare silenzio in nessuna situazione, figuriamoci se ci fosse riuscito con l'alcool in corpo.

Eva abbaiò un paio di volte, Mason si strofinò il viso con entrambe le mani ed iniziò a contare lentamente fino a cento.

Si sentì il rumore di qualcosa che cadeva a terra, una risata leggera che non proveniva da Evan. Eva abbaiò nuovamente e balzò dalla sua cuccia per andare a schiacciare il naso contro la fessura al di sotto della porta chiusa della stanza del suo padrone.

Mason si sbatté il cuscino in viso. Evan aveva compagnia e lui non era benché minimo interessato a vedere ne ascoltare la povera vittima sacrificale del suo migliore amico che veniva sbattuta per bene.

Non aveva una vita sessuale da... beh, mesi. Non che lì sotto non gli funzionasse più, ma dopo la morte di Timmy, Mason si era concesso solo qualche sveltina senza importanza per sfogare la rabbia e la tensione. Poi, da quando era diventato zoppo, non aveva più praticato nemmeno il sesso occasionale, limitandosi a quello in solitaria.

Era sempre più triste ed insulsa la sua povera vita.

Gli mancava stringere un corpo nel letto? Sì. Ma gli mancava anche la connessione emotiva oltre che fisica che poteva avere con un uomo.

Mason emise un lunghissimo sospiro pregno di stress, stanchezza ed esasperazione.

Era stata una giornata non di merda, ma di merdissima. La sua vita e la sua quotidianità erano state travolte da una montagna di sterco di vacca per l'ennesima volta.

Aveva incontrato Jamie, lo aveva visto piangere dopo aver vuotato il sacco sulla sua vita di merda alla pet therapy, era giunto alla dolorosa conclusione che gli mancava Michael, gli mancava il suo passato.

Sebastian lo aveva scoperto a parlare con Timmy.

«C'è un po' di frastuono qui fuori».

Parlando del diavolo...

«Timmy, torna a fanculo a dormire nella mia testa», borbottò Mason, la voce attutita dal cuscino sulla sua faccia.

«Nella tua testa c'è ancora più frastuono».

Mason si tolse il cuscino dalla faccia e vide Timmy seduto sul bordo del letto. Gli stava sorridendo. Mason conosceva bene quel sorriso, era il sorriso dà "so più cose di te anche se sono morto e sono il frutto della tua mente traumatizzata".

«Evan... fai piano», bisbigliò una voce dietro la porta di Mason.

Mason catapultò di scatto gli occhi sulla porta chiusa. Gli sembrava di conoscere quella voce.

Eva abbaiò nuovamente ed iniziò a scodinzolare. Anche lei conosceva quella voce.

«Sento Eva, ma non la vedo», continuò a dire quella voce.

«Questa è camera di Mason. Eva è l'unica donna che abbia mai dormito insieme al mio migliore amico. Sai, a lui piace solo il cazzo. A me un po' di tutto», parlò quel deficiente di Evan, sembrando anche compiaciuto del suo discorso.

Mason si mise dritto con la schiena, le gambe doloranti ancora distese sul letto. Mantenne lo sguardo sulla porta e bisbigliò: «Non può essere».

Timmy si alzò in piedi e si andò ad appoggiare con un fianco contro la parete accanto la porta. «Io credo che lo sia», disse lui.

«Camera mia è di sopra», sentì dire da Evan.

«Allora saliamo», replicò la voce.

«E poi veniamo», aggiunse Evan, sghignazzando.

«Quella grandissima testa di cazzo», ringhiò Mason prima di togliersi la coperta da sopra le gambe.

Poggiò i piedi nudi a terra, rabbrividì dopo il contatto delle piante contro il pavimento freddo, si infilò al volo una felpa abbandonata sul letto, poi afferrò il bastone appoggiato accanto al comodino e cercò di mettersi "in piedi" il più velocemente possibile. Le ossa del ginocchio malandato cigolarono di protesta, ma lui lei ignorò. 

Zoppicò e si avvicinò alla porta chiusa. «Spostati, Eva», ordinò al Golden Retriever.

«Ti aprirei la porta, se solo potessi farlo», gli disse Timmy, continuando a sorridergli.

Mason fulminò con lo sguardo una presenza che solo lui era in grado di vedere. «E io ti prenderei a calci in culo, se solo potessi farlo», ringhiò, poi spalancò la porta di scatto.

Il proprietario della voce sobbalzò mentre era intento a salire il secondo scalino della scalinata che portava al piano superiore. Il piano superiore della casa di Mason era un po' come l'ala ovest inaccessibile de La Bella e la Bestia.

Evan non gli sembrò minimamente sorpreso, a giudicare dal solito sorriso sfrontato che gli accartocciava il viso.

Poi Mason fece scorrere lo sguardo lungo tutta la figura snella di Sebastian.

Aveva dei jeans un po' larghi per la sua fisicità, una maglietta rosa Barbie che gli lasciava l'ombelico e fin troppa pancia scoperta; aveva quella che sembrava la giacca di Evan sulle spalle e i capelli di un colore diverso. Dei ciuffi viola acceso gli circondavano il viso leggermente truccato. Aveva gli occhi celesti sgranati per la sorpresa e per il panico, forse.

«Provo a leggerti nel pensiero. Stai pensando che quel ragazzino sia proprio sexy», affermò la voce di Timmy.

Mason non poteva rispondergli, non poteva mandarlo a fanculo, non poteva apparire ancora più pazzo di quello che già era. Non poteva dire a Timmy che aveva ragione, che aveva indovinato.

Evan fu lesto a scendere gli scalini che aveva già salito per potersi piazzare alle spalle di Seb. Gli posò le mani sulle spalle ossute. Mason avvertì entrambe le palpebre degli occhi vibrargli.

Non poteva essere geloso. Lui non era più geloso di nessuno da anni, da Timmy.

Quella strana sensazione di irritabilità alla bocca della stomaco sarebbe dovuta sparire nell'immediato.

Eva corse a sedersi ai piedi di Sebastian ed alzò il muso così da invogliare il ragazzo ad accarezzarle il capo. Sebastian guardò il cane di Mason, abbozzò un sorriso dolce ed iniziò a farle i grattini dietro le orecchie.

«Cosa ci fai a casa mia, Sebastian?» la voce gli uscì più ringhiante del previsto.

Il ragazzo sussultò e ritornò a sgranare gli occhi truccati come un cerbiatto davanti ai fari di un auto, solo che Mason, più che un auto, si considerava un tir di venti metri, pronto ad investire il suo adorabile migliore amico.

«L'ho invitato io», si affrettò a rispondere Evan. «Ho sbagliato? Non mi hai mai posto dei veti sui ragazzi da portare a casa».

Mason lo avrebbe ucciso e poi avrebbe cotto le sue carni sul barbecue che aveva in giardino.

«Avrei dovuto postartene uno», continuò a sibilare Mason.

Seb sembrava sempre più confuso. Il sorriso da schiaffi di Evan si tramutò in un sogghigno mentre si spingeva la schiena di Seb contro il suo petto.

Il pensiero di quei due insieme, nudi ed in un letto fece contorcere le budella di Mason.

«E quale sarebbe questo veto?» chiese Evan, provocandolo.

Lo stava mandando fuori di testa. Gli avrebbe spaccato il bastone in testa.

Mason si avvicinò ai due facendo sbattere il bastone contro il parquet. Per un attimo gli parve di assomigliare al Tristo Mietitore che si accingeva a risucchiare delle nuove anime. Mason era interessato a risucchiare l'anima del suo migliore amico.

«Non avresti dovuto portare lui a casa mia».

Seb apparve riscuotersi di colpo dallo stato di trance in cui sembrava essere caduto fino all'ultima frase pronunciata da Mason.

«Perché?» domandò Seb, facendo un passo avanti verso Mason. Lo fronteggiò, ebbe coraggio, nonostante Mason da zoppo rimanesse comunque più alto e più minaccioso di quello scricciolo con gli occhi celesti grandissimi e i capelli colorati.

«Per caso hai paura che ti infetti casa con la mia presenza?» continuò a dire Seb.

Evan sghignazzò. Mason avrebbe voluto urlargli di tacere, ma era troppo occupato a cercare di non affogare in quegli occhi così espressivi.

«Cosa? No, dannazione. Non capisci un cazzo, Sebastian».

Sebastian sventolò le mani per aria. «E meno male che ci sei tu, allora, che capisci ogni cosa!»

Evan ritornò a stringere una spalla di Seb con una mano. «Lascialo stare, Seb. Andiamo di sopra».

Mason afferrò la mano di Evan e, spinto da chissà quale spirito maligno che lo aveva impossessato, ringhiò: «Non ci provare».

Gli occhi scuri di Evan vennero attraversati da una luce baluginante. «Altrimenti?» lo sfidò.

Mason strinse la presa contro il manico del bastone che lo aiutava a sorreggersi. Aveva sempre più voglia di suonarglielo in testa.

Spostò di nuovo il capo su Seb e gli disse: «Vieni con me, cazzo». Con la mano libera lo afferrò per un braccio e lo allontanò da Evan.

Arrancò verso il portone di casa con Seb saldo per un braccio. Gli parve strano che Evan non tentò di riprendersi la sua conquista della sera.

Un ringhiò gli nacque nel centro del petto quando quel pensiero gli passò nuovamente per il cervello. Scosse la testa, eliminò per sempre dalla sua mente l'immagine di quei due avvinghiati l'uno all'altro.

Parcheggiò un Seb stranamente docile e silenzioso davanti al portone, giusto il tempo di infilarsi un paio di Vans senza i calzini.

Quando furono fuori, davanti l'auto di Mason, Evan urlò dal portico di casa: «Divertitevi e non fate tardi!»

Mason aggrottò la fronte. «Quella testa di cazzo...» ripeté, borbottando tra i denti.

E se lo avesse fatto a posta? E se Evan avesse architettato tutto? E se...

«Sali», ordinò a Seb prima di mettersi dal lato del guidatore. Mason da quando aveva quella gamba matta, guidava di rado, ma per quella serata avrebbe fatto uno sforzo.

Avrebbe potuto prendere la sedia a rotelle ed agevolarsi il cammino, ma non aveva avuto tempo perché il suo unico pensiero era stato quello di allontanare Seb da Evan. Al mattino, i suoi muscoli fragili della gamba lo avrebbero mandato a fanculo e lui si sarebbe tenuto ogni singolo insulto.

Mise in moto l'auto, partì, lasciandosi il suo migliore amico alle spalle, il quale avrebbe dovuto godersi quelle ultime ore di vita perché lo avrebbe ucciso.

Guardò la strada davanti a sé con le mascelle talmente serrate che iniziarono a fargli male. Prese un profondo respiro, ma fu un grosso errore perché il ragazzo stranamente silenzioso seduto al suo fianco aveva uno di quei buon odori che ti si appiccicavano nel naso. Era dolce, quasi femminile, se non fosse stata per qualche leggera nota di sudore indubbiamente maschile.

«Cosa ci facevi a casa mia?» domandò proprio quando Sebastian chiese: «Dove stiamo andando?»

«Te lo dirò solo quando tu mi spiegherai cosa ci facevi con Evan».

Avvertì gli occhi di Seb che gli stavano mandando a fuoco il profilo del viso. «L'ho incontrato al Red Moon. Volevo farmi scopare da lui, ma tu me lo hai impedito».

Mason serrò la presa attorno allo sterzo dell'auto, la pelle sotto i suoi palmi scricchiolò in modo sinistro. «Tu non andrai a letto con Evan. Né ora né mai».

«Ah sì? E da quando io dovrei prendere ordini da te?» replicò Seb, stizzito.

Mason lo guardò di sfuggita, aveva gli occhi assottigliati, le mani strette in due pugni sulle ginocchia, la giacca di Evan ancora sulle spalle che gli stava facendo aumentare l'irritabilità alla bocca dello stomaco.

«Ti ho ordinato di salire sulla mia auto e tu lo hai fatto».

«E sai perché l'ho fatto? Non perché adoro farmi comandare dalla tua voce baritonale, ma per evitare che picchiassi Evan».

Mason sbuffò. «Ma guarda come si preoccupa...»

«Sei una testa di cazzo».

«Anche tu».

E riaccaddero nel silenzio per circa tre minuti, poi Sebastian ritornò all'attacco.

«Mi vuoi dire dove stiamo andando?»

«Al cimitero», rispose Mason, piatto.

«Vuoi scavarmi una fossa con il bastone e sotterrarmi?»

Mason abbozzò un sogghigno. «Per quanto l'idea sia allettante, no. Quella fossa ha un solo nome inciso sulla sua lapide ed è quello di Evan».

Seb si mosse agitatamene sul sedile del passeggero. «E allora cosa stiamo andando a fare in piena notte in un cimitero?»

«Non avrai mica paura?» lo stuzzicò.

Quella era la prima conversazione "calma" che aveva con il fratello del suo dottore al Centro Veterani. Era... sorprendentemente gradevole, considerati i bassi standard di gradevolezza di Mason.

«Ehm, sì? È di notte che escono fuori le anime. Non ho intenzione di partecipare ad una seduta spirita. Sono un cagasotto e lo ammetto».

Mason sbuffò nuovamente. «Gli spiriti non esistono».

«Ah, ah, davvero ironica come risposta, Mason», replicò la voce sarcastica di Timmy nella sua testa.

«Non ne sarei così certo», rispose Sebastian con un filo di voce.

Mason si ammutolì per il resto del viaggio.

🖤

Quando entrarono nel cimitero, Sebastian si attaccò come una piovra al braccio di Mason che non stringeva il bastone.

«Guarda quante fiammelle», sussurrò Sebastian.

Mason, nonostante tutto, aveva voglia di ridere.

Non avvertiva quella voglia di ridere da parecchio tempo. Era quella voglia di scoppiare in una grossa risata che partiva proprio dalla pancia.

«Sono candele, Sebastian».

«Sono spiriti», continuò a mormorare Sebastian, sempre stretto saldamente al suo braccio.

Quel contatto non gli stava dando per nulla fastidio.

Quella notte si stava rivelando sempre più strana e non era di certo perché si trovava in un cimitero, circondato da anime.

Percorsero qualche metro a piedi, Mason conosceva la strada a memoria e sapeva muoversi anche al buio, prima di fermarsi davanti una lapide nello specifico. Ad ogni cambio di stagione si premurava di piantare nuovi fiori attorno la tomba di Timmy. Delle dalie rosa e delle ortensie bianche la decoravano in quel periodo quasi autunnale.

«Ero proprio un figo», parlò Timmy, la voce piena di amarezza, o forse era Mason ad essere amareggiato, non capiva più niente. Tutti i confini attorno a lui avevano iniziato a sfumarsi.

Mason sorrise tristemente guardando la faccia sorridente del suo uomo nella foto sulla lapide.

Già, lo eri. Lo sei.

«Lui è Timmy», disse a voce alta.

La presa di Seb attorno al suo braccio si irrigidì. «Timmy...» mormorò.

Mason immaginava a cosa stesse pensando il ragazzo: alla discussione di Mason con il vuoto a cui lui stesso aveva assistito.

«Lui è la ragione per il quale io non riesco ad andare avanti».





Nota di Jenny

Ehilà, buonasera.

Come da promessa, la qui presente è finalmente resuscitata. Ci tengo a chiedervi nuovamente scusa per questa mia assenza così prolungata, ma vi ripeto che è difficile riuscire a scrivere con il cervello stanco.

Ho deciso di ripartire proprio con questi due perché dentro di me loro avevano più bisogno rispetto agli altri miei ragazzi di ritornare a farsi sentire.

🖤

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