Emilia Koll - Il velo sul viso

بواسطة SusannaChelotti

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"Non era un burka. Non era un simbolo religioso [...] Non era un simbolo politico. Ero io, il simbolo." Lei è... المزيد

Prologo
Prima Parte
Capitolo 1. 25 - The Amazons
Capitolo 2. Riptide - Vance Joy
Capitolo 3. Rock & Roll Queen - The Subways
Capitolo 4. Brother The Cloud - Eddie Vedder
Capitolo 5. Under The Sun - Lady Wray
Capitolo 6. In Between - Linkin Park
Capitolo 7. The Narcissist - Blur
Capitolo 8. Fight Outta You - Ben Harper & The Innocent Criminals
Capitolo 9. Rescued - Foo Fighters
Capitolo 10. If Darkness Had a Son - Metallica
Capitolo 11. The Entertainer - Scott Joplin
Capitolo 12. Paper Bag - Fiona Apple
Capitolo 13. I Want You to Want Me - Fiona Apple
Capitolo 14. Cornflake Girl - Tori Amos
Capitolo 15. Nobody Knows - The Lumineers
Capitolo 16. Blinding Lights - The Weeknd
Capitolo 17. 4 + 20 - Crosby, Stills, Nash and Young
Capitolo 18. Stubborn Love - The Lumineers
Capitolo 19. Ophelia - The Lumineers
Capitolo 20. Mr Brightside - The Killers
Capitolo 21. The Night We Met - Lord Huron
Capitolo 22. The Heart Asks Pleasure First - Michael Nyman
Capitolo 23. How to Build a Home - Cinematic Orchestra
Seconda parte
Capitolo 24. Anime Perse - Francesco Motta
Capitolo 25. Donna - The Lumineers
Capitolo 26. Go Solo - Tom Rosenthal
Capitolo 27. Rise - Eddie Vedder
Capitolo 29. Je te laisserai des mots - Patrick Watson
Capitolo 30. Sparks - Tori Amos
Capitolo 31. In this shirt - The Irrepressibles
Capitolo 32. Another Story - The Head and The Heart
Capitolo 33. Thinking About You - Beck
Capitolo 34. Two - Motel Connection
Capitolo 35. Salt and The Sea - The Lumineers
Capitolo 36. Divenire - Ludovico Einaudi
Capitolo 37. Gloria - The Lumineers
Capitolo 38. Across The Universe - Fiona Apple version
Capitolo 39. Primavera - Ludovico Einaudi
Capitolo 40. Shadowboxer - Fiona Apple
Terza Parte
Capitolo 41. Flapper Girl - The Lumineers
Capitolo 42. Leather - Tori Amos
Capitolo 43. Lovefool - The Cardigans
Capitolo 44. Arrival of the birds & Transformation - The Cinematic Orchestra
Capitolo 45. Una Mattina - Ludovico Einaudi
Capitolo 46. Interstellar - Hans Zimmer
Capitolo 47. Irene - Nico Pistolesi
Sipario. Angela - The Lumineers
Epilogo - The Song of the Golden Dragon - Estas Tonne

Capitolo 28. Welcome Home, Son - Radical Face

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بواسطة SusannaChelotti

Bloccata.

Su WhatsApp. Su Facebook. E Instagram. Bloccato qualsiasi contenuto visibile su tutti i social. Me ne accorsi subito quando, la sera in cui avevo lasciato Dino, avevo aperto i social per cercare le nostre ultime conversazioni. Per rileggere i nostri dialoghi, per rivivere quei pochi momenti vissuti insieme, attraverso dei portali. Tutto il resto, la parte bella, quella che avevamo condiviso fra quelle quattro mura di casa mia, era impressa solo nella mia mente.

Dino mi aveva cancellato dalla sua vita non appena aveva messo piede fuori da lì. Era davvero sparito, come gli avevo ordinato. Chi poteva biasimarlo. Chi poteva indovinare quello che avesse passato. Ciò a cui aveva rinunciato, per stare con me. Sperai tanto di arrivare al punto in cui, dopo molto tempo, un tempo inquantificabile, avrebbe capito ciò che era successo fra noi. Io non ero in grado di farlo, adesso. Non ero in grado di spiegarglielo. Sperai anche che, come una luce in fondo al tunnel, riuscisse a riprendere la sua strada, quella per cui aveva tanto faticato.

Ci riuscì. Diventò qualcuno. Ma non quel qualcuno che la maggior parte dei suoi coetanei sogna di diventare. Non era la popolarità, le visualizzazioni a tutti i costi, la sua ambizione. Era l'opportunità di vivere per ciò che amava, vivere per la musica, vivere di musica, dare voce a ciò che sentiva dentro, al suo amore, al suo dolore, come faceva Nicla a suo tempo.

Molti anni dopo, ascoltando i suoi pezzi, immaginai che tanto di quel dolore fosse stato causato dalla nostra rottura. Ne scorgevo delle tracce, tra le varie inclinazioni del suo timbro su alcune frasi. Da quei brani, da quella voce che, anno dopo anno, si faceva più scura, più tormentata, più densa di significato, più matura.

E nel frattempo, come una nube che si scarica dopo essere stata troppo a lungo gonfia e nera nel cielo, arrivò il momento per me di toccare tutto il fondo ed esplodere.

Di raschiarlo, quel fondo, fino a sentire le unghie spezzarsi.

Teresa quella sera era corsa sul porticato, trovandomi lì, rannicchiata sul lettino, mentre papà rientrava dopo aver cenato con Alex, Melanie e il piccolo Giò. Lei credeva che mi fossi trascinata in camera, dopo averci sentito litigare. Pensava di lasciarmi stare ma poi aveva bussato, trovando la stanza vuota.

"Lascia che ti aiuti." Mi aveva sussurrato, dolcemente. Lo fece, mi sostenne, come aveva sempre fatto dopo che la vita mi aveva fatto a pezzi.

Questa volta, molti pezzi erano veramente piccoli e difficili da ritrovare, si erano insediati tra le assi di legno del porticato, come alcune schegge laccate di rosso che ne marchiavano una parte, davanti a uno dei lettini.

Mi aveva sollevato, tenendomi per le spalle, scossa ancora da brividi, sotto choc. Papà mi aveva portato un trapuntino di cotone per ripararmi dall'umidità serale, e mi aveva tenuto abbracciata a sé lasciando che mi accomodassi su di lui sul divano, come quando ero piccola e mi faceva male un dente. Mi addormentai tra le sue braccia. Tornai bambina, una bambina di 33 anni.

"Quindi ti ha bloccato eh? Ma nemmeno i tag?" continuava a chiedere Emma, al telefono. Mi portai la sciarpa azzurra sulla faccia, sdraiata sul letto, una di quelle notti insonni successive.

"Niente di niente, Emma. Sembra che Dino non sia mai esistito."

"Aspetta un secondo..." la sentii spippolare sul suo telefono, poi esclamare: "Cazzo, Emi. Ha bloccato anche me! Non lo riesco a trovare su nessun social. Incredibile, che stronzo" la stronza ero io, veramente. La sua era solo una reazione. Ben comprensibile.

"Ma non era per spiarlo."

"Noooo, certo che no."

"Scema." Mi strusciai il grosso cerotto sull'orecchio sinistro, o ciò che restava di esso. Cominciavo a sentire il destro in fiamme, e non poter cambiare lato per ascoltare la telefonata per me era diventato piuttosto scomodo. La misi in vivavoce: "volevo rileggere gli ultimi messaggi."

"Ma sì, dai. Facciamoci del male."

"No, per niente. Non male. Era per stare bene. Per rivivere alcune cose, tutto qua."

"Certo che una botta da ultimo gliela potevi dare." Emma mi sentì ridere dall'altra parte, e mi immaginai la sua faccia sorniona e astuta: "mi fa piacere che ridi. Era tanto che non ti sentivo fare una risata. E sono fiera di essere stata l'artefice di ciò." Le sorrisi di nuovo, anche se non poteva vedermi.

"Ti voglio tanto bene, Emma."

Sentii Emma fare un sospiro, trattenendo le sue parole. Stava sicuramente trattenendo uno sbuffo di emozione che non avrebbe mai osato mostrarmi. La conoscevo fin troppo bene.

"Anch'io te ne voglio tanto, piccola puttanella."

Passai il resto di quell'estate alla larga dai social, ma a fare lo stradello tra casa Koll e l'ospedale, per i controlli di routine, visite specialistiche, documenti da firmare, fogli di richieste per ulteriori interventi. Dovevano fare i dovuti accertamenti, prima di programmare le prossime operazioni sulla mia faccia. E non sarebbe certo stata una passeggiata. Soprattutto, il risultato non era certo, ma io ero certa di una cosa. Più mi riappropriavo della parte mancante della mia faccia, più mi avvicinavo alla pace dentro di me. Me lo dovevo, e il sacrificio valeva ciò che avrei ottenuto dopo. Non mi importava quanto ci volesse, o quanti soldi, o quanta pelle dovessero togliermi dalle gambe o dal sedere per mettermela sul viso. Avrei attinto a tutti i miei pochi risparmi, mi sarei spellata viva, pur di riguadagnarmi il resto della mia faccia.

Fu uno dei motivi per cui chiesi a Ignazio di tornare al lavoro, dopo quel Natale. Lui acconsentì, non aveva mai messo in dubbio le mie intenzioni sul posto di lavoro, mi disse che la sua porta era sempre aperta per me.

Alla radio, un pomeriggio che stavo trascorrendo con Teresa a sbucciare le patate per uno stufato, passò un pezzo vecchissimo, Welcome home, dei Radical Face, e mi colpì una frase, che diceva Guarisci le cicatrici che ho sulla schiena, non ho più bisogno di loro. Era la fine di settembre, ed era tempo per me di tornare a casa. Guardai Teresa negli occhi, mentre mi bloccavo con il pelapatate in una mano, e una patata nell'altra.

"Che succede, tesoro mio?"

"Domani torno a casa mia."

Teresa allargò gli occhi in un'espressione a metà tra sorpresa e ammirazione.

Dovevo farlo da sola, era arrivato il momento. Appena ebbi salutato papà e Teresa, restando a lungo immersa nel loro abbraccio, salii sul mezzo pubblico, con la mia sciarpa azzurra avvolta attorno al viso, e li salutai con la mano, con una piccola borsa a tracolla. Le costole erano tornate al loro posto, come era giusto che fosse.

I passaggi furono semplici e meccanici, come scontate furono le sensazioni a seguire, a partire dalla salita al quarto piano in ascensore. Sfiorai le ante di legno scuro di quella vecchia scatola che mi stava riportando al mio appartamento come se fosse una vecchia amica, e ne aspirai l'odore di marcio e tabacco vecchio.

Mi avvolse il ricordo dei nostri baci lì dentro.

Ero davanti alla porta di casa mia, e feci un lungo sospiro, immaginando quante volte Dino aveva atteso qui davanti prima che gli aprissi la porta, prima che il suo scompiglio, il suo adorabile disordine si mescolasse al mio scompiglio e al mio disordine. Prima che gli consegnassi le sue personalissime chiavi.

Ed eccole lì, le sue chiavi. Le aveva appoggiate accuratamente sul piattino di ceramica sopra il mobile di ingresso, la targhetta Don't do stupid shit ben visibile. Nessun biglietto d'addio, nessuna traccia, in totale coerenza con il resto dell'appartamento, silenzioso e pacifico, che mi riaccoglieva tra le sue braccia come una tenda piantata e abbandonata su un'isola deserta. Mentre posavo lentamente la mia borsa a terra, delle zampe pelose si avvicinarono, i corpi dei miei gatti contro le mie gambe, un miagolio di scontento e stizza.

Perché ci hai abbandonato? Sembravano chiedere i loro musetti imbronciati.

"Tesori miei." Mugolai, felice di rivederli. Li presi delicatamente in braccio, accucciandomi su di loro, e affondando il viso tra i loro colli pelosi, inebriandomi delle loro fusa affannate. Li lasciai andare dopo qualche minuto, rinvigorita dalla loro accoglienza, e percorsi il resto dell'appartamento, camminando lungo il corridoio avvolto nell'oscurità. Un corridoio vuoto, che portava ancora i segni del manubrio della mia bicicletta sul punto dove usavo appoggiarla. Adesso della mia bici restava solo quell'intonaco scorticato. Scorticato come la mia faccia.

Cominciai dalla camera.

Il letto era rifatto abbastanza male, così come lo avevo lasciato la mattina dell'incidente, e nessuno l'aveva toccato. Aprii le ante dell'armadio, cercando una qualsiasi traccia di Dino. Niente. Neanche il suo odore. Trattenni il respiro, perché sapevo che dovevo farlo, dovevo voltarmi verso la parete accanto al letto e vederle. Vedere quelle foto.

Mi voltai.

Ed erano sempre lì.

I nostri ricordi.

Le nostre facce sorridenti, i miei occhi socchiusi, i miei sorrisi presi alla sprovvista.

I suoi baci nelle istantanee, le sue labbra piegate all'insù come se fossero sul punto di fare una battuta, le braccia tese e dure sotto le magliette dai colori più contronatura possibili. La foglia argentata che brillava sul suo petto.

Mi avvicinai cauta, sfiorando le cornici delle foto.

E c'era anche quella. La foto che Dino aveva voluto portare via con sé, nel suo viaggio a Londra. Sentii salire le lacrime, poco prima di ricacciarle indietro con forza.

L'aveva rimessa al suo posto. Non aveva voluto tenerla con sé.

"L'ha rimessa a posto." Constatai a voce alta, rimettendola dritta e parallela alle altre. Sembrava che l'avesse riappesa al chiodo con nervosismo. Il muro scrostato tutto intorno.

Poi la Stanza della Musica.

Spalancai la porta sentendo odore di rinchiuso. Mi avvicinai alla portafinestra che dava sul piccolo balcone per cambiare l'aria alla stanza e passai la mano sul mio pianoforte, percependo un velo di polvere. Dopo averlo pulito con cura, aprii il coperchio, togliendo il tappetino rosso e sfiorando qualche tasto, suonando qualche nota a caso. Lo sguardo si spostò sui due lati della tastiera: erano anch'essi vuoti, come la mia anima.

Aveva ripreso l'anello.

Quello che avevo preso in prestito.

Quello che un giorno avevo appoggiato al lato dei tasti per finire di scrivere Emilia.

Si era ripreso l'anello ma aveva mollato la nostra foto.

Era sparita ogni sua traccia, odore, ogni indizio del suo passaggio. Restavano solo le nostre foto.

Le foto con la mia faccia ancora intera e la nostra storia, sfumata nell'ultimo bagliore di un tramonto estivo.

Mi sedetti sul panchetto.

Ero sola.

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