Come un fiore tra le mine (Re...

By Elle_Jenny

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Mason vedeva solo nero. Non desiderava vedere più la luce in fondo al tunnel perché ormai era sceso a patti... More

Prologo di Mason
Prologo di Seb
Capitolo 1 - Mason
Capitolo 2 - Seb
Capitolo 3 - Mason
Capitolo 4 - Seb
Capitolo 5 - Mason
Capitolo 7 - Seb
Capitolo 8 - Mason
Capitolo 9 - Seb
Capitolo 10 - Mason
Capitolo 11 - Mason
Capitolo 12 - Seb
Capitolo 13 - Mason
Capitolo 14 - Seb e un po' di Mason
Capitolo 15 - Mason e un po' di Seb
Capitolo 16 - Seb
Capitolo 17 - Mason
Capitolo 18 - Mason
Capitolo 19 - Seb
Capitolo 20 - Mason
Capitolo 21 - Mason
Capitolo 22 - Seb
Capitolo 23 - Mason
Capitolo 24 - Mason e Seb
Capitolo 25 - Mason
Capitolo 26 - Seb
Capitolo 27 - Mason
Capitolo 28 - Seb
Capitolo 29 - Mason
Epilogo
Capitolo Speciale - Andy e Ben

Capitolo 6 - Seb

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By Elle_Jenny

Seb era quasi tentato di serrare gli occhi, tapparsi le orecchie con le mani ed accucciarsi sotto la sedia perché il tum-tum-tum accelerato del suo battito cardiaco si stava tramutando in un frastuono assordante.

Toby passò al suo fianco insieme a Bonny, il meticcio nero di taglia media, la quale era diventata anche lei una veterana della pet therapy perché quella bestiola dolcissima si era scoperta sorprendentemente portata nel confortare i cuori spezzati. Il suo migliore amico gli aveva confidato che nutriva particolari speranze in uno dei veterani che partecipava assiduamente alle sedute, Travis Miller. Quell'uomo, da come gli aveva raccontato Dylan, soffriva di disturbo da stress post traumatico da tre anni, ma si illuminava ogni volta che vedeva Bonny quindi anche Seb aveva iniziato a sperare che Travis si convincesse ad adottarla. Bonny si trovava in canile da cinque anni, da quando era solo una cucciola.

Distratto un attimo dalla presenza di Bonny, Seb non si era minimamente accorto che Toby aveva alzato una mano e non aveva potuto evitare che gli colpisse con il palmo la nuca. Lo schioccò della pelle contro altra pelle gli rimbombò nel cranio.

Seb sibilò l'aria tra i denti. «Ahi, perché mi picchi?»

Toby lo adocchiò da sotto la visiera del suo capellino da baseball. Due lucenti occhi castani con sfumature verde scuro lo stavano fissando, semi-nascosti dai riccioli marroni. Il suo migliore amico era sempre bellissimo, peccato per il suo carattere ingestibile, ma Seb sapeva che sotto la montagna di parolacce che sparava al minuto c'era un cuore tenero. Bisognava prima beccarsi gli insulti molte volte per poterlo scoprire.

Seb non aveva mai avuto particolare empatia verso gli altri suoi coetanei perché, non appena aveva provato ad approcciarsi con loro in passato era sempre andata a finire una schifezza, ma quando aveva visto Toby tutto imbronciato la prima volta, il suo subconscio gli aveva ordinato di avvicinarsi a lui e di provare a farselo amico. Aveva fatto bene per una volta ad ascoltare il suo sesto senso.

«Perché non posso picchiare quel deficiente di Mason. Per ora. Datti una calmata, Seb. Lo so che sei incazzato con quel tipo, ma stavi tremando. Cristo, Thomas mi ucciderà. Questa volta non me la farà passare liscia», borbottò prima di allontanarsi da Seb.

Toby lasciò Bonny e gli altri cani liberi di girare per la palestra del Centro Veterani, tra quella decina di uomini e donne, entusiasti di avere quelle bestiole scodinzolanti da coccolare.

Sanji gli poggiò il muso tra le ginocchia, Seb iniziò a giocherellare con le sue orecchie e avvertì il suo battito cardiaco che ritornava a stabilizzarsi. «Grazie, Sanji», sussurrò, guardando gli occhioni marroni del suo golden retriever. Sanji scodinzolò e Seb interpretò quel gesto come se il suo cane avesse voluto dirgli: "Prego, non c'è di che".

Seb si fece finalmente coraggio, alzò lo sguardo e fissò gli occhi prima su Mason. Riuscì a scorgere la rigidità delle mascelle dell'uomo che, ad occhi bassi, aveva afferrato il viso peloso di Eva. Anche il veterano stava utilizzando il suo cane come un tranquillante naturale.

Al suo fianco, Evan fissava il suo amico con una gamba piegata sul ginocchio dell'altra e un braccio poggiato sullo schienale della sedia dove era seduto Jamie. Sembrava avere una postura rilassata, ma dai tratti tesi del suo viso si capiva perfettamente che tutto era tranne che rilassato.

Ascoltando Evan chiamare Jamie "fratellino", Seb era finalmente riuscito a collegare tutti i pezzi nella sua testa, comprese perché quando aveva visto Evan a cena dalla professoressa Reyes aveva avvertito uno strano senso di familiarità. La sua memoria non si sbagliava mai. Per quanto i due ragazzi potessero sembrare diversi ad un primo approccio, in realtà, avevano molti tratti comuni. Stessi occhi intelligenti, stesso colore di capelli, stesso naso dritto ed entrambi avevano un ottima genetica che gli faceva apparire come degli eterni diciottenni.

Gli altri veterani erano abbastanza comprensivi e, senza che nessuno avesse detto loro niente, evitarono di fissare Mason per non aumentare in lui l'agitazione. Mason era come un animale selvatico, non bisognava compiere passi falsi. Ma i veterani lì dentro dovevano conoscerlo, dovevano sapere che l'uomo faceva fatica a parlare, ma che quella volta era stato messo con le spalle a muro.

Mason aveva bisogno di chiudere delle porte altrimenti non sarebbe mai riuscito ad aprire il famoso portone che gli avrebbe permesso di far entrare un po' di luce perché all'interno di quell'uomo c'era solo buio.

Non aveva mai alzato la voce con lui, anzi, forse Seb non aveva mai alzato la voce in generale, ma Jamie, a prescindere da ciò che era successo nel loro passato, non si meritava quel trattamento ed era ormai risaputo che Mason gli faceva sfarfallare il cervello, quindi alla fine anche Seb si era ritrovato ad unirsi al club "urliamo tutti contro Mason Musone".

Si era beccato urla ed insulti, ovviamente. Si era sentito ferito, ma quello era perché era sempre troppo sensibile e perché quell'uomo dagli occhi cupi, ahimè, lo intrigava. Era attratto inspiegabile te da lui. Però, non si era pentito di avergliele cantate a suo modo.

Dylan si era seduto sulla sua solita sedia, continuava a tamburellare la sua penna sulla cartellina rossa. Al suo fianco era giunto Bill Paterson, lo psicologo del centro che partecipava ad ogni seduta di pet therapy.

Entrambi gli uomini dissero qualcosa ma Seb non aveva idea di cosa avessero detto perché era ritornato a fissare il viso teso di Mason. Aveva delle occhiaie violacee sotto agli occhi e i bicipiti contratti. Il pomo d'Adamo sussultò quando deglutì, poi annuì bruscamente con il capo, ma Seb nuovamente non seppe a cosa avesse annuito.

Sbatté gli occhi. Doveva darsela davvero una calmata, Toby aveva ragione.

«Io...», iniziò a dire Mason, aveva la voce rauca e gli occhi sempre puntati su Eva, la quale, fedelmente, rimaneva al fianco del suo padrone. «Io non volevo far parte dell'esercito. L'uniforme non mi era mia interessata, non mi interessava nemmeno la scuola. Non sono mai stato una cima ed ero troppo irrequieto per riuscire a stare ore fermo ad ascoltare i professori. Poi sono arrivato a Rockford. Cioè, i miei genitori mi spedirono qui con la forza, io non volevo nemmeno venirci. In realtà, non sapevo nemmeno io cosa volessi. Ma, poi...» Mason terminò il suo racconto, chiuse gli occhi e si aggrappò al suo cane come se avesse improvvisamente paura di affondare.

Si udì un singhiozzo. Seb vide Jamie che aveva abbassato il capo, le sue spalle tremavano ed Evan gli stringeva una mano. Lui sembrava più forte, ma Seb, che era sempre un buono osservatore, comprese dalla rigidità del suo corpo che si stava trattenendo per suo fratello.

Anche a Seb stava venendo voglia di piangere. Anche Seb si trattenne e continuò a far finta di essere forte.

«Con i tuoi tempi e senza portare fretta, Mason. Hai già detto più parole di quanto mi aspettassi», dichiarò lo psicologo. Bill non scriveva, Dylan sì. Seb aveva voglia di fregargli quella dannata cartellina rossa piena di fogli per capire cosa diavolo scrivesse ogni volta.

Mason annuì di nuovo, le sue spalle si piegarono in avanti, Seb lo interpretò come... un segno di sconfitta.

Seb strinse le mani in due pugni, lui che amava gli abbracci aveva iniziato ad avvertire una necessità crescente di correre ad abbracciarlo, nonostante rischiasse di ritrovarsi con entrambe le braccia tranciate di netto.

«Poi mi sono ritrovato a casa di mio zio Alan, a lavorare con lui. Con il tempo ho scoperto che potate siepi, falciare prati e concimare fiori mi piaceva, mi... calmava». Mason scosse il capo, con quel gesto sembrava voler dimostrare che concimare fiori fosse una cosa stupida, ma non era una stupidità se era un'attività che lo faceva stare bene.

«I vicini di mio zio erano, però... Erano degli impiccioni», continuò a raccontare e le sue labbra si mossero come se avesse voluto sorridere. Finalmente e molto cautamente, alzò gli occhi azzurri su Evan e Jamie. Evan sogghignava, ma aveva gli occhi lucidi, Jamie non riusciva a smettere di piangere. «Mi sono ritrovato immischiato nella loro confusione e... mi piaceva anche quella. Per la prima volta avevo iniziato a sentirmi per davvero parte di una famiglia».

Seb si portò una mano al centro del cuore. Si sentiva lo sguardo di Toby addosso.

«Poi...» ritornò a parlare Mason, fissava un punto imprecisato davanti a sé. «Poi è arrivato Timothy. Timmy».

Non c'era mai stato così tanto silenzio sia da parte dei cani che dei veterani in quella palestra.

Timmy. Seb aveva già sentito quel nome uscire dalle labbra di Mason, la sera della cena a casa di Rachel, quando era andato a chiamarlo in giardino.

«Ci vuoi parlare di Timmy, Mason?» domandò, cautamente, lo psicologo.

«No», asserì Mason, brusco. Jamie emise un altro singhiozzo. «Ma so che Timmy vorrebbe che si parlasse di lui, vorrebbe che io trovassi un modo per andare avanti insieme alla mia sedia a rotelle. Timmy era... è l'amore della mia vita. L'unico santo che è stato in grado di cambiare in meglio questa testa di cazzo che mi pesa sul collo», raccontò, una singola lacrima gli rigò una guancia, ma Mason fu lesto nel far sparire la sua presenza con un colpo di mano.

Guardò Evan e Jamie. Seb stava quasi per boccheggiare. Toby comparve di nuovo al suo fianco ed alzò una mano per stringergli una spalla. Seb afferrò la mano del suo migliore amico e la strinse, quasi la stritolò, ma Toby non disse nulla e si lasciò stritolare.

«Timmy era il loro fratellastro», disse, guardando i due fratelli.

«Merda, l'ha detto, alla fine», mormorò Toby.

Seb alzò di scatto gli occhi sul suo amico. «Tu lo sapevi?» gli domandò, sconvolto.

Toby lo guardò e si limitò ad annuire.

«C'è altro che vuoi dire su Timmy?» domandò ancora Bill.

Mason negò, si aggrappò al collare di Eva come se quello fosse la sua unica àncora in quel momento così intenso e faticoso.

«Timmy non doveva morire, doveva continuare a stare al mio fianco. Ma...» parlò continuando a guardare quel punto imprecisato davanti a sé. «Ma sto iniziando ad accettare il fatto che io sia vivo, nonostante mi sia scoppiata una mina anti-uomo ad uno sputo di distanza. Se non sono morto quel giorno in Siria, significa che devo farmene una ragione ed andare avanti anche senza di lui», continuò a dire. Girò il capo verso Jamie ed Evan.

Evan continuava a resistere. Jamie era devastato dal dolore.

«Evan, io... ti voglio bene. Non te l'ho mai detto. E Jamie... mi dispiace, cazzo. Proverò ad andare avanti», aggiunse prima di richiamare Eva, ruotare sulla sua sedia a rotelle, facendo stridere le ruote contro il pavimento in PVC della palestra. Si diresse verso l'uscita della palestra, Jamie e Seb balzarono in piedi, pronti a seguirlo, ma vennero fermati da Evan e Toby.

Jamie si afflosciò tra le braccia del fratello, Seb invece allontanò la mano di Toby.

«No!» esclamò. «Sanji, vieni. Vai da Eva».

«Seb, testa di cazzo, vieni qui. Lascialo stare!» urlò Toby alle sue spalle, ma era troppo tardi. I piedi di Seb si mossero in automatico, seguiti dalle zampe del suo cane.

Quando arrivò fuori dalla palestra del centro, iniziò a guardarsi intorno, tra le file di auto parcheggiate, alla ricerca di quella testa dura di Mason.

«Dove sei? Non puoi essere già sparito», mormorò Seb, gli occhi nervosi che continuavano a scandagliare il parcheggio. Sanji odorava a terra alla ricerca di tracce della sua amica.

«No, no! Lasciami in pace!»

Seb scattò sul posto e corse verso la voce alterata di Mason, lo trovò vicino ad un'auto blu, adattata per disabili. Doveva essere la sua.

Seb si posizionò accanto ad un'altra auto e bisbigliò a Sanji di stare buono.

«Ho fatto quello che volevano tutti, ho parlato, mi sono sfogato. Mi sono aperto. Ora, però, voglio essere lasciato in pace, Timmy».

«Timmy», mormorò Seb.

Cosa sta succedendo?

Mason si afferrò il capo rasato, si sarebbe tirato via manciate di capelli se non avesse ancora quel taglio militare.

«No, no... Lo so, lo so che devo lasciarti andare. Ma non ce la faccio», continuò a dire, abbassando il tono di voce. «Fa male».

Seb aveva gli occhi larghi come piattini, si portò una mano al petto. Quel tum-tum-tum agitato ritornò a rimbombargli nel cranio.

Seb non era stupido, anche se molte persone negli anni avevano provato a farlo passare per tale o per imbroglione per via della sua memoria fotografica. Aveva capito cosa stesse tormentando quell'uomo: il forte dolore e la perdita del suo compagno lo avevano portato a vedere il suo... fantasma.

«No, Timmy, a quanto pare otto anni non mi sono bastati. Sono lento», parlò Mason, fissando sempre quel punto imprecisato davanti a sé. Quel punto imprecisato in realtà era occupato dalla presenza di Timmy che poteva vedere solo Mason.

«Seb... Seb... Cosa devo farci con Seb? Cosa deve farci un ragazzo così giovane con un relitto come me!»

Seb sussultò, Sanji abbaiò. Mason ruotò il capo e si accorse della presenza di Seb. Dalla sua occhiata torva e sorpresa allo stesso tempo, Seb comprese che Mason doveva aver capito di essere stato ascoltato. Di essere stato ascoltato mentre dialogava con l'anima del suo compagno deceduto.

Lo guardò con occhi azzurri iniettati di sangue e gli urlò poco dopo: «Vai via!»

E Seb lo fece, non seppe cos'altro fare.

Quando ritornò dentro la palestra con le lacrime che gli umidivano le guance, Toby gli andò incontro, lo guardò e gli disse con il suo solito tono brusco: «Vieni a casa con me».

«Stai benissimo, Seb», affermò Diana, la sorella minore di Toby, mentre dava un'ultima acconciata ai capelli di Seb, freschi di tinta. «Sei un super figo».

La ragazzina gli sorrideva cordiale attraverso lo specchio, Seb fissava il suo riflesso con i nuovi capelli. Si vedeva carino, alcune volte si era trovato sexy, ma mai un super figo.

«Lo pensi davvero?» domandò Seb a Diana.

Diana posò le mani sulle sue spalle mentre continuava ad osservarlo dallo specchio. La piccola Diana era più pacata e non era sboccata come Toby, ma entrambi i fratelli Clark avevano quello sguardo alla "non accetto stronzate, quello che dico è legge".

«Seb, non ci provo con te solo perché la patata non è il tuo ortaggio preferito e perché sei il migliore amico di mio fratello».

Seb contorse le labbra in una smorfia. «Cazzo, Di. Sarebbe un po' come fare un incesto», replicò.

Diana fece la stessa smorfia ed annuì.

Era andato a casa di Toby, Diana lo aveva visto intristito e che non spiccicava parola. Non era da Seb non spiccicare una parola, ma non aveva avuto intenzione di dire cosa lo avesse intristito, non avrebbe mai confessato cosa avesse scoperto su Mason, non era giusto. Era una cosa privata. Mason non aveva ancora superato il lutto e il dolore faceva compiere al cervello azioni complesse, come immaginarsi di parlare con le persone perse.

Tra l'altro, Toby gli aveva raccontato tutta la faccenda di Jamie, di come avesse scoperto dell'esistenza di Timothy il giorno del suo compleanno e di come lo stesso Jamie lo aveva pregato di aiutarlo ad incontrare Mason.

Seb non gli aveva chiesto se sapesse come fosse morto il compagno di Mason. Toby non gli aveva detto se sapesse come quell'uomo fosse deceduto.

Era tutto una grandissima montagna di merda.

Diana, per provare a migliorare l'umore di Seb, gli aveva proposto di andare a fare un giro al Walmart così da procurarsi delle tinte per capelli. Seb aveva accettato, avrebbe accettato qualsiasi cosa pur di distrarsi e quei capelli mezzi colorati, tra l'altro, lo avevano stancato già da un po'.

«Wow, sono quasi tentato di farmi anche io la tinta ai capelli», disse Toby, guardando anche lui con un sogghigno cosa aveva combinato Diana ai capelli del suo migliore amico, che da mezzi rosa e mezzi castani erano stati decolorati, erano stati tinti di grigio per evitare che sembrassero giallo paglia e i ciuffi laterali del viso erano diventati viola. Un bel cambiamento.

Seb ruotò sulla sedia ed osservò i riccioli del suo migliore amico. «I tuoi capelli stanno benissimo così. Non diventare anche tu schiavo delle tinte».

Toby si guardò allo specchio e si passò una mano tra i capelli. «Non li tingerò. Thomas non mi perdonerebbe mai e per un po' voglio tenermelo buono», rispose, facendo un occhiolino a Seb e a sua sorella Diana, la quale sbuffò e roteò gli occhi al cielo.

Si sentì un gran trambusto e poco dopo una palla di pelo nero, seguita da una ciabatta infradito, ruzzolarono entrambi nella camera di Toby.

«Gesù, Batman. Quella è l'infradito di papà. Se Samuel la vede non ti darà più le tue crocchette preferite per ben un giorno», affermò Toby, afferrando la ciabatta rosicchiata dal suo cane, il quale un giorno era stato un cucciolo di meticcio, ma con il tempo si stava tramutando in un San Bernardo.

Il cane starnutì, perse un filo di bava dalla lingua e scodinzolò. Aveva il muso più tonto di quello di Sanji.

«Batman sembra molto intimorito dalla minaccia del dottor Clark», constatò Seb, dando un colpetto con la Vans contro la coscia cicciona del cane di Toby.

Il suo migliore amico sospirò. «Il punto di forza di questo cane è proprio quel muso». Toby prese in braccio il suo cane che quasi era grande quanto lui. Lo guardò, si fece dare una leccata in faccia, poi socchiuse gli occhi e Seb li sgranò.

Quello era lo sguardo da idea malefica.

«Batman», disse ancora. Poi si girò verso Seb e ripeté: «Batman».

«Lo hai tra le braccia e ti sta riempiendo di peli».

Toby scosse il capo e rimise il cane a terra. «Non hai capito. Noi questa sera andremo nella tana di Batman. Tutti alla bat-caverna. Tranne te, Diana. Tu sei ancora piccola per il cazzo. Non farmi finire in galera».

Diana divenne rossa, Seb scoppiò a ridere e si sentì più leggero. Balzò in piedi per racchiudere il suo migliore amico sboccato in un caldo abbraccio.

«Cazzo, Seb... Ritorna a rispettare il mio spazio vitale, per favore».

Seb gli diede anche un bacio sulla fronte. Toby lo mandò a farsi fottere.





Nota di Jenny

Ed è giunta un'altra domenica, è giugno, cheansialestate.

Comunque, questo capitolo è stato abbastanza intenso, far aprire una parte del cuore di Mason è stato complicato anche per me, ma manca ancora un'altra parte e ci vorrà un altro po' di tempo affinché riesca ad aprire anche quella.

Detto ciò, ho terminato nuovamente il capitolo sul più bello, ma i veterani capiranno cosa io intenda per tana di Batman.

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