Il regno delle Cascate

By _Katniss_DiAngelo_

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La dinastia dei della Rovere regna da decadi a Shaalal, la Terra delle Cascate, e l'audace e intraprendente p... More

Capitolo 1 - Pietas
Capitolo 2 - Seth
Capitolo 3 - Fuoco fatuo
Capitolo 4 - Il prezzo dell'arte
Capitolo 5 - Dolore di famiglia
Capitolo 7 - Affinché tutto resti uguale
Capitolo 8 - Curiosità morbosa
Capitolo 9 - La Spada di Damocle

Capitolo 6 - Sangue e onore

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By _Katniss_DiAngelo_

Penelope cavalcò finché il sole non fu inghiottito dalle colline e sulla terra non calarono delle ombre bluastre.

Con il vento fra i capelli e le guance sporche di terra, avrebbe continuato a galoppare fino al fitto bosco, alla Valle di Lanuun o ai Ghiacciai del Nord, ma Artemide aveva bisogno di una tregua.

Inoltre, Penelope iniziava a sentire un piccolo languore allo stomaco. Quella sera non ci sarebbero stati stufato di agnello, arrosto di maiale, formaggi col miele e salmone affumicato.

Non avrebbe certo disprezzato una zuppa calda e un bicchiere di vino in qualche locanda, poi si ricordò di non avere con sé la parrucca di Seth. Sarebbe stato pericoloso girare in bella vista per le strade del villaggio nei panni della principessa.

Dopotutto, Elena non era male come cuoca. E il suo letto era sempre tiepido. Avrebbe raggiunto il suo appartamento e passato la notte da lei, per poi decidere il da farsi solo il mattino dopo.

Sarebbe dovuta tornare a palazzo, a un certo punto, lo sapeva, ma la rabbia che provava verso Leon in quel momento era così forte da farle avere in odio tutta l'aristocrazia di Shaalal. Lui, e tutti quelli che avevano sempre pensato di poterle dire cosa fare solo perché era una principessa.

L'aria era fresca e l'odore di mosto le pizzicava le narici, mentre i grilli cantavano e qualche rettile si nascondeva in mezzo al fogliame, in attesa che le due intruse andassero via.

Penelope si era persa in quelle riflessioni mentre vagava per il vigneto insieme ad Artemide.

Quando le fece fare dietrofront, in direzione del villaggio, le accarezzò il muso e le sussurrò all'orecchio di resistere per ancora un ultimo, piccolo sforzo, poi si sarebbero riposate e rifocillate.

Alzò lo sguardo verso le abitazioni in lontananza, piccoli puntini sparsi in mezzo a un dedalo di sentieri, ponti e affluenti, e si sentì rabbrividire fin dentro le ossa.

Spire di fumo grigio si levavano verso l'alto contro una notte cupa e nuvolosa.

Sembrava che qualcuno avesse appiccato diversi incendi in giro per le strade. Vista la quantità di focolai, almeno sei o sette, non poteva che trattarsi di un fenomeno doloso.

Insieme a un soffio di vento arrivò un terribile odore di paglia e legna bruciata. Qualunque cosa stesse succedendo in paese, non era niente di buono.

Senza pensarci due volte, spronò Artemide e partì al galoppo. Quando fu abbastanza vicina al villaggio, balzò giù e legò la giumenta a una staccionata.

Le strade principali di Als erano nel caos: sentiva il rumore di passi frettolosi e grida di incitamento, rabbia o paura.

Il popolo era in piena rivolta e solo una cosa era chiara in mezzo a quel marasma: ce l'avevano con la famiglia reale.

«Abbassò re Giacomo! Lunga vita alla regina Clorinda!»

«Siamo stanchi di essere i suoi schiavi!»

Se fosse uscita da lì, era probabile che l'avrebbero lapidata all'istante. Era pericoloso, ma di sicuro qualcuno era già andato ad avvertire a palazzo. Lei doveva sapere che cosa stava succedendo di preciso.

Sostenitori dell'una e dell'altra fazione c'erano stati fin dall'inizio della Guerra Dinastica, ma Penelope non aveva mai assistito a un'opposizione di questa portata da parte dei civili.

Per quanto non fosse un'idea grandiosa, vide del bucato steso e decise che, anche se non poteva passare per Seth, poteva spacciarsi per una popolana: si nascose dietro un pozzo, dove abbandonò la tenuta da addestramento per un lungo abito smesso e sdrucito che aveva trovato steso fuori da una finestra, probabilmente di proprietà di qualche artigiana o vasaia, a giudicare dalle macchie ormai secche sulla gonna. Nascose la cintura con i pugnali sotto al vestito e raccolse i lunghi capelli sotto una bandana per nasconderli come meglio poteva. Non era molto, ma era pur sempre qualcosa.

Si mescolò al resto della folla radunata nella piazza e riuscì a udire il racconto di un banditore ambulante.

«Dobbiamo attaccare stanotte! Se creiamo abbastanza disordine nei campi, attireremo lì parte delle guardie e spianeremo la strada alle guardie della regina Clorinda! Dobbiamo dimostrare da che parte stiamo! Uniti saremo più forti, non riusciranno a fronteggiare sia noi che loro!»

L'uomo aveva abiti da panettiere sporchi di farina e reggeva una torcia che divampava nel crepuscolo. Penelope capì che avevano intenzione di dar fuoco ai raccolti.

«Siete impazziti!» gridò una donna tra la folla. «Quello è anche il frutto del nostro lavoro, sudore e sangue che noi abbiamo buttato lavorando notte e giorno!»

«Lavorando per chi?» ruggì un'altra ragazza. «È un impostore bugiardo. Il figlio bastardo di Giacomo I! È Clorinda la vera erede al trono dei della Rovere!»

«Non vi rendete conto che vi state rovinando con le vostre mani!» gridava qualcuno dalla folla.

«Giacomo II è un sovrano magnanimo e imparziale!»

«Allora perché lui è a palazzo a gustare caviale e noi qui a spaccarci la schiena per fare il suo pane? Perché non viene lui a lavorare nei campi?»

Penelope trattenne l'istinto di urlare. Sapeva che il popolo aveva fame, ma era colpa della guerra, non di suo padre, e dei danni che i nemici causavano ai raccolti o ai canali dell'acqua. Quegli uomini e quelle donne, credendo di fare un favore a Clorinda, avrebbero distrutto solo parte delle loro stesse risorse. Ma la rabbia che provavano per una guerra che non li riguardava li rendeva stanchi e sprovveduti.

Poiché lo capiva, affondò le unghie nei palmi e tenne a freno la lingua. Non sarebbe servito a niente.

«Mio cugino lavora alla sua corte come inserviente e mi racconta sempre di quanto tratti tutti alla pari! I suoi banchetti, per esempio, sono aperti a tutti!»

«Ma chi è che cucina per tutta quella marmaglia?» ruggì il banditore. «Di sicuro non lui o la sua supponente famiglia?»

«Supponente?» urlò a quel punto Penelope. «Non esiste sovrana più magnanima della regina Ginevra!»

Un licantropo si girò verso di lei. «Ma se ha sempre una scopa su per il c...»

Penelope non lo lasciò finire. Gli si avventò contro e gli tirò un pugno sulla mascella.

Il lupo indietreggiò, poi cercò di metterle le mani alla gola, ma la principessa riuscì a bloccargli il polso e, con una buona probabilità, a romperglielo.

Non erano gli unici, tra la folla, ad essere passati alle mani.

Penelope si beccò una gomitata sul mento che le riempì la bocca di sangue e ferro. Sputò per terra e sferrò un calcio all'uomo calvo e tarchiato che le stava davanti.

Si sentì tirare indietro per la collottola ed era già pronta ad afferrare il suo avversario per i capelli, quando riconobbe le ciocche d'ebano che le volteggiavano intorno come rami d'oro.

«Che stai facendo? Lasciami!»

«Zitta e cammina!» le urlò di rimando Elena.

Chiunque altro sarebbe stato impiccato per aver parlato in quel modo alla principessa, ma Elena lo disse in modo così autoritario da lasciarla ammutolita.

La ragazza la trascinò con sé fino a un vicolo e per poco non la fece sbattere contro il muro, tanta fu la violenza con cui la strattonò quando ebbe mollato la presa.

«Che diamine ti è saltato in mente?»

«Ah, a me?»

«A te!»

Elena aveva il viso infuocato e le parlava a un soffio dal naso. Sembrava sul punto di darle uno schiaffo. Penelope era sul punto di farle notare quanto quell'aria minacciosa fosse eccitante, ma non voleva darle un incentivo in più per alzarle le mani.

«Cosa credevi di fare? È inutile che ti conci come una poveraccia, se poi ti manca solo una corona di diamanti per far capire a tutti chi sei! Hai davvero così poco buonsenso da esporti in questo modo ridicolo? E poi, questo vestito ti sta malissimo e la bandana ti spegne quei fottutissimi occhi d'ambra, dove sono le cose di Seth? Sei un'irresponsabile!» continuò a sbraitare.

Penelope fece la cosa più stupida che si potesse fare. Ancor di più che sbandierare di essere la principessa in una piazza piena di oppositori.

La afferrò per la nuca e la baciò. Fu un istinto primordiale, dettato dal bisogno di farla smettere di preoccuparsi così per lei. Sapeva cavarsela benissimo da sola.

Elena dapprima dischiuse le labbra, poi la respinse. «Ti ho fatta eccitare con la mia apprensione?»

Penelope scoppiò a ridere e la lasciò andare. «Ho bisogno che tu faccia una cosa per me. Troverai Artemide legata al pozzo dietro la piazza del mercato. Prendila e corri a palazzo. Chiedi di Leon di Montenegro, lui sa chi sei, si fiderà. Avvisali che sto bene e di non preoccuparsi per me. Dagli tutte le informazioni che puoi su quanto sta accadendo qui.»

Elena annuì, risoluta. Prima di andare, estrasse dalla tasca del grembiule un mazzo di chiavi e gliele mise in mano.

«Nel caso avessi bisogno di un posto sicuro.»

«Grazie.»

«Stai attenta.»

«Anche tu.»

Non si scambiarono effusioni nel salutarsi, perché quei gesti parlavano già da sé della stima e fiducia reciproche che le legavano.

Quando Elena fu andata via, fu come ritornare a sentire il mondo dopo essersi immersi sott'acqua: il villaggio era ancora nel caos.

Si interrogò su cosa poteva fare per rendersi utile da lì. Non aveva con sé la spada, ma due pugnali nascosti negli stivali. Piuttosto che gettarsi nella calca come una pazza e fomentare l'agitazione generale, sarebbe stato meglio dare una mano a bambini e persone in difficoltà che erano rimaste ferite o non sapevano come mettersi al sicuro. A fronteggiare la rivolta ci avrebbe pensato già la guardia reale.

Così Penelope nascose meglio i capelli sotto la bandana e si mise in perlustrazione.

Rannicchiato in un angolo, trovò un bambino con la guancia sporca di sangue, ma era più spaventato che altro. Penelope gli pulì il graffio con un lembo bagnato del vestito bagnato e lo aiutò a ritrovare la strada di casa, nei pressi della quale la madre lo stava già cercando.

Si imbatté in una donna in preda a un attacco isterico che aveva perso il padre anziano nella calca e la aiutò a calmare il respiro tenendole le mani.

«Tu non l'hai visto, vero?»

«No, ma non gli sarà di nessun aiuto così. Respiri insieme a me e poi torni a cercarlo, va bene? Non si sarà allontanato molto. Ancora un respiro, brava, così, a fondo.»

Poi fu il turno di una ragazzina che si era slogata la caviglia, cui fece una medicazione di fortuna prima di lasciarla ai genitori.

Non sapeva se quelle persone fossero con o contro suo padre, ma avevano bisogno di aiuto. Che fossero o meno in mezzo alla folla a urlare e agitare fiaccole, erano tutti loro le vere vittime della guerra.

Mentre percorreva il lungofiume, si imbatté in una colluttazione quasi bizzarra: un nano era a cavalcioni sulla schiena di una driade distesa per terra e la strattonava per i capelli. Non esitò a strapparglielo di dosso e, dopo alcune sgomitate, lo gettò nel fiume, augurandosi che affogasse.

La driade riusciva a stare in piedi da sola, così Penelope continuò il suo giro.

Vide una figura accartocciata vicino al ponte, probabilmente ferita, e una guardia che stava per attaccarla. Estrasse i pugnali e corse in quella direzione.

Penelope e la guardia si scontrarono. Rabbrividì quando si accorse che portava lo stemma di suo padre, ma non si tirò indietro: non era prendendosela con i civili indifesi che avrebbero risolto la situazione.

La guardia era veloce, ma Penelope riuscì a parare ogni colpo combattendo a due mani. Sentì il bruciore della lama sul braccio e, senza fermarsi, contrattaccò con un affondo all'altezza delle anche.

Riuscì a colpirlo, ma la guardia le tirò un colpo d'elsa contro lo sterno. Penelope indietreggiò, cercando di non vomitare.

Con la coda dell'occhio, credette di vedere la figura per terra allungare un braccio e cercare di far cadere la guardia, ma quella fu più sveglia e gli pestò la mano. Penelope approfittò della distrazione per lanciarglisi addosso. Atterrò l'avversario e d'istinto gli sbatté la testa sul selciato.

Quello perse i sensi e lei rabbrividì, chiedendosi se l'avesse ucciso.

Non era in grado di razionalizzare la cosa in quell'istante. Era ferita, con la vista che sfarfallava per la stanchezza.

Si voltò verso la figura che aveva cercato di aiutarla e credette di star avendo un'allucinazione.

Lo riconobbe anche senza armatura.

Era seminascosto nell'ombra, a pancia in giù, con i capelli sporchi di sangue e una mano premuta sul torace; l'altra, ancora protesta verso di lei, era rossa e gonfia.

Portava dei semplici abiti da giorno borghesi, ma quando alzò il viso martoriato nella sua direzione, non ebbe dubbi: era il Primo Cavaliere Ross.

Se l'avesse lasciato lì, in quelle condizioni, sarebbe morto.

Razionalmente, quale sarebbe stato il problema? La gente moriva ogni giorno, in guerra, e lui combatteva in prima linea tra le fila dei nemici.

Eppure, gli doveva la vita.

Ross provò a dire qualcosa, ma riuscì solo a sputare un grumo di sangue e saliva.

La consapevolezza arrivò come una frustata sulla schiena. Era la stessa sensazione che aveva provato in battaglia, quando si era trovata davanti "lo spietato Primo Cavaliere Ross di Lungofiume", che poi era solo un ragazzo forse poco più grande di lei. 

Era assurdo. Tutto quel sangue e quel dolore erano ingredienti inutili di una miscela mortale, il cui esito sarebbe stato inevitabile, indipendentemente da quale fazione avesse colpito. A diciotto anni, meritavano davvero questo? Che senso aveva? 

Tutte quelle belle parole sul combattere per difendersi, sull'onore e il lignaggio, sul bene e la giustizia... Se si guardava adesso, con le mani macchiate di sangue e l'orgoglio ferito, non sapeva se le era rimasto ancora qualcosa di quegli insegnamenti.

Non era così che avrebbe voluto essere. Ripensò a tutti i poemi che aveva letto e a quello che i suoi beniamini le avevano insegnato: l'onore di Achille. La determinazione di Ercole. L'astuzia di Ulisse. La dannata pietas di Enea. Iniziava a odiare quella parola.

Con il terribile presentimento che se ne sarebbe pentita molto presto, prese il Primo Cavaliere sotto braccio e lo trascinò via. 

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