Come un fiore tra le mine (Re...

By Elle_Jenny

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Mason vedeva solo nero. Non desiderava vedere più la luce in fondo al tunnel perché ormai era sceso a patti... More

Prologo di Mason
Prologo di Seb
Capitolo 1 - Mason
Capitolo 2 - Seb
Capitolo 4 - Seb
Capitolo 5 - Mason
Capitolo 6 - Seb
Capitolo 7 - Seb
Capitolo 8 - Mason
Capitolo 9 - Seb
Capitolo 10 - Mason
Capitolo 11 - Mason
Capitolo 12 - Seb
Capitolo 13 - Mason
Capitolo 14 - Seb e un po' di Mason
Capitolo 15 - Mason e un po' di Seb
Capitolo 16 - Seb
Capitolo 17 - Mason
Capitolo 18 - Mason
Capitolo 19 - Seb
Capitolo 20 - Mason
Capitolo 21 - Mason
Capitolo 22 - Seb
Capitolo 23 - Mason
Capitolo 24 - Mason e Seb
Capitolo 25 - Mason
Capitolo 26 - Seb
Capitolo 27 - Mason
Capitolo 28 - Seb
Capitolo 29 - Mason
Epilogo
Capitolo Speciale - Andy e Ben

Capitolo 3 - Mason

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By Elle_Jenny

«Allora, Mason, qual è la tua storia?»

Mason guardò la donna seduta sulla panchina alla sua destra con la coda dell'occhio. Stava osservando i loro cani rotolarsi tra le foglie secche del parco con il suo consueto mezzo sogghigno sulle labbra.

Era come al solito vestita principalmente di nero, dai pantaloni di jeans con gli strappi sulle ginocchia, agli anfibi e alla felpa con il cappuccio alzato sulla testa da cui fuoriuscivano riccioli tinti di blu. Aveva le mani tatuate, intrecciate tra di loro sulle ginocchia, un anello a forma di testa di leone sull'anulare destro e una fede sull'anulare sinistro. Aveva proprio l'aspetto di una metallara.

Non aveva un filo di trucco e sembrava molto più giovane della sua età, nonostante avesse quarant'anni.

Mason riportò gli occhi su Eva e su Baloo, così aveva scoperto chiamarsi il bassotto di Annie. Certo, ci era voluta molta fantasia nel dare ad un bassotto alto un centimetro scarso il nome di un orso, per quanto buono potesse essere nel film della Disney.

«Non è una storia con un lieto fine, Annie», replicò Mason.

Annie emise una sottospecie di risata, ma velata di amarezza. «Sai, per quanto mi riguarda ognuno di noi può avere più di una storia e non tutte con un lieto fine perché la vita è così: fatta di alti e bassi, per molti i bassi sono maggiori rispetto agli alti. Però, io ora non sono una scrittrice, sono solo una tatuatrice sboccata che da qualche mese se ne va in giro con un bassotto, ma sono certa che ogni scrittore su un singolo personaggio possa scrivere uno, due, tre libri e tutti con un finale diverso. Anche il mio primo libro non ha avuto un bel finale, anzi, tutt'altro, però ora sto vivendo il mio secondo libro insieme ad una meravigliosa moglie, un figlio cagasotto che spero prenda il buonsenso di Sabrina, ho questo puzzone di bassotto», disse, allungandosi verso Baloo per tirargli la piccola coda, il cagnolino ruotò verso la sua padrona ed abbaiò il suo malcontento. Annie sghignazzò.

«Poi ho mio nipote che purtroppo ha la mia stessa testa incasinata e un quasi genero, un professore saputello che il più delle volte mi fa venire voglia di prenderlo a pugni o di tatuargli un cazzo sulla fronte, ma non mi lamento molto. Almeno non è pazzo come Simon. Quindi, Mason, sono certa che potrai avere un altro finale, uno migliore, ma solo se sei tu a desiderarlo».

«Stai parlando con un'altra persona intelligente, finalmente» parlò Timothy, seduto a gambe incrociate sulle foglie secche, poco distante da Eva e Baloo.

Mason lo guardò, avvertendo quella fitta familiare e maledetta all'altezza del cuore. Sentiva la cassa toracica restringersi, all'inizio quel dolore lo aveva fatto rimanere senza fiato, lo aveva portato a boccheggiare, ma con il passare degli anni era diventato più sopportabile o, semplicemente, Mason era abituato a soffrire, da bravo masochista sadico qual era.

«È difficile, Annie», rispose Mason, mantenendo lo sguardo sul viso di Timothy.

Annie si abbassò per prendere sia la palla da tennis di Eva che la pallina di stoffa di Baloo, portò le braccia all'indietro e le lanciò per far fare una corsa ai loro cani. Le zampette di Baloo, mentre correva dietro Eva, erano ridicole e tenere allo stesso tempo.

Mason non avrebbe mai pronunciato l'aggettivo tenero ad alta voce.

«Esiste davvero un qualcosa che sia facile?» domandò retoricamente, per poi scuotere il capo «Oh, cazzo», gemette. «Queste sono proprio parole da depressa».

Mason abbozzò un sogghigno. Nel mentre Eva era ritornata con la sua palla da tennis bavosa stretta tra i denti; Baloo arrivò qualche istante dopo e per poco non inciampò nelle sue stesse zampe.

La risata di Timothy risuonò nelle sue orecchie come un eco lontano, ma era strano perché lo aveva sempre davanti agli occhi, seduto sul prato del parco ricoperto di foglie, ma era come se... come se la sua figura avesse iniziato a sbiadirsi.

«Avevo un uomo, un compagno. Si chiamava Timothy ed è stato per anni la mia persona. Quella persona che mi manteneva sulla retta via, come si suol dire. A lui devo molto, gli sarò per sempre grato. Lo... amerò per sempre. E detto da uno come me, scorbutico e brontolone, come dice sempre mia cugina Rachel, possono sembrare parole stonate, ma...» lasciò le ultime parole sospese nelle sua testa, senza riuscire a pronunciarle.

Mason manteneva gli occhi puntati in quelli grandissimi e marroni di Timothy e, nonostante fosse tutto frutto della sua testa piena di traumi, in quegli occhi riusciva ancora a vedere riflessi tutti gli anni che avevano trascorso insieme e quelli che purtroppo non avevano potuto trascorrere.

«Fa male?»

Mason girò il capo verso Annie, i suoi occhi grigi erano seri, ma allo stesso tempo comprensivi.

Annuì una singola volta. A lei era riuscita a dire più di quanto fosse riuscito a raccontare al suo terapista, una volta tornato negli Stati Uniti dopo la sua ultima missione in Siria. Non riusciva ancora a capire come quella donna, senza far nulla in particolare, riuscisse a farlo cantare come un usignolo.

Annie annuì, come se anche lei sapesse, come se anche lei si portasse dentro più dolore di quello che voleva mostrare. Iniziò a farsi girare attorno al dito l'anello a forma di testa di leone, poi passò alla fede, una semplice fascetta in oro bianco.

«Puoi avere un altro finale, Mason, però devi volerlo. Non ti dirò mai di lasciarti alle spalle il passato perché è impossibile farlo, fa parte di noi, ci ha resi quello che siamo, e se hai incontrato persone nella tua vita che ti hanno detto di dimenticare il passato allora erano degli idioti che della vita non capiscono un emerito cazzo. Il passato non va dimenticato, ma va accettato».

Aveva ragione. Mason lo sapeva, però... però... Ritornò a guardare Timothy, il quale era più silenzioso del solito, e strinse le mani in due pugni sulle gambe.

«Io credevo che sarebbe potuto morire per via del suo stupido lavoro. Faceva il vigile del fuoco. Invece, una strada bagnata di nevischio, un camion fuori strada, una distrazione... Sono state le cause di tutto. Sono passati sette anni, Annie, sono scappato in Siria per provare a dimenticare tutto, qualche volta ho anche sperato di morirci lì, ma sono ritornato più a pezzi di quando partii», le raccontò, le aprì parte di quel cuore a brandelli, rattoppato più volte, che ancora provava a battergli nel petto. Zoppicava dolorosamente, letteralmente, ma non mollava.

Avvertì la mano di Annie su una spalla, gliela strinse. «Non sprecare questa possibilità che ti è stata data, Mason. Tu hai bisogno di un altro finale».

Mason sbuffò. «Disse il vecchio saggio mentre osservava la luna», commentò sarcastico.

Annie sghignazzò. «Ehi, testa di cazzo, guarda che io sono molto saggia. Quando non lancio i pannolini pieni di merda di Jack addosso a mio nipote. È solo che certe volte mi fa incazzare, capisci?»

«Capisco che il momento serietà è finito».

Annie sogghignò. «Preferisci continuare a deprimerti?»

Mason negò con il capo, poi roteò gli occhi. «Andresti d'accordo con Rachel».

«Tua cugina?»

Mason annuì. «Già. Questa sera mi ha invitato a cena da lei, ma la mia voglia di andarci è pari a zero perché ho come la sensazione che stia per farmi un'imboscata. Sarebbe da lei, soprattutto se è riuscita a coinvolgere il mio...» Mason si interruppe ed aggrottò la fronte. Non diceva quelle parole da un sacco di tempo.

«Il tuo...?» chiese Annie.

«Migliore amico, idiota», lo rimbeccò Timothy, ritornando a parlare.

Mason sbatté le palpebre più volte. «Il mio... migliore amico. Evan. Lui è... il fratellastro di Timothy».

«Ah. Quindi anche lui deve essere una persona importante».

Mason annuì. Non aveva bisogno di pensarci. «Lo è», confermò.

Ne aveva avute altre di persone importanti, in passato. Solo che, arrivato a quel punto della sua vita di merda, Mason aveva iniziato a chiedersi se tutto quell'odio che aveva indirizzato verso una di quelle due persone fosse meritato, oppure... oppure, no.

«Sai, anche io odio socializzare perché per la maggior parte del tempo odio le persone, però, ahimè, ogni tanto ci tocca fare questo sacrificio», asserì Annie, ritornando a lanciare entrambe le palline ai loro cani, i quali schizzarono come saette a velocità diverse.

Mason sbuffò di nuovo. Sbuffare la propria irritazione era diventato da un po' il suo passatempo preferito.

Sarebbe diventato uno di quei vecchi asociali che chiamavano "disgraziato maledetto" ogni singola anima vivente che gli sarebbe passata davanti agli occhi.

«Preferirei ritornare a lanciarmi da un elicottero con un paracadute sgangherato, piuttosto».

«Evan, ti levi dai piedi?»

«Come faccio a levarmi dai piedi se sei su una sedia a rotelle? Al massimo, dovrei levarmi dalle rotelle».

Mason avrebbe voluto strozzarlo.

La sera precedente Evan lo aveva messo alle strette, lo aveva obbligato quasi con la forza a raccontargli ogni singolo evento che gli era successo in Siria; dell'incidente che gli aveva fatto quasi dire "ciao, hola, salut" ad una gamba e che gli aveva lasciato come ricordino un bel disturbo da stress post traumatico, come se non fosse già sufficientemente disturbato e traumatizzato da sette anni.

Però, nonostante la stizza di essersi dovuto subire una sottospecie di visita psichiatrica farlocca da parte di Evan, si ritrovò ad ammettere internamente che gli era mancato parlare con il suo migliore amico. Gli era mancata quella parte della sua vecchia vita che era stata occupata per anni e con irruenza da Evan Campbell.

«Ma Rachel doveva invitate per forza anche te?» domandò Mason mentre proseguiva a muoversi sulla sedia a rotelle verso casa di Rachel e Cody con Eva che trotterellava al suo fianco, come sempre, legata al guinzaglio. Non l'avrebbe mai lasciata a casa da sola, ormai quell'ammasso di pelo color sabbia era diventato la sua seconda ombra.

«In realtà, mi sono auto-invitato non appena ho saputo della cena», rispose Evan, continuando a ciondolare al suo fianco, rilassato, con le mani infilate nelle tasche dei jeans.

Quanta pazienza. Pazienza che non ho.

Casa McDowell-Reyes non distava molto da casa sua, quindi Mason aveva preferito non prendere l'automobile. Ancora doveva scendere a patti con molte cose, tra cui il non poter più guidare un'automobile qualsiasi, ma una speciale per disabili.

Rachel aveva preso quella casa principalmente perché così poteva raggiungere Alan e Belinda ogni volta che le veniva voglia di farsi viziare da suo padre e dalla sua matrigna. Senza contare che a pochi isolati di distanza si trovava anche il centro per ragazzi con sindrome di down che frequentava assiduamente Kyle, il fratello minore di Cody.

Ah, quel dannato Cody. Era un così bravo ragazzo che spesso a Mason era venuta voglia di strozzarlo. La troppa bontà gli faceva inacidire lo stomaco.

Cody era buono come Sebastian.

Frenò di colpo con la carrozzina. E ora per quale cazzo di motivo mi è venuto in mente Sebastian?

«Ehi, perché hai frenato all'improvviso? Aspetta!» Mason vide Evan materializzarsi davanti la sua sedia rotelle, gli mise una mano sulla gamba malandata ed iniziò a testarla, quasi a palparla.

«Ma che cazzo fai?» sbottò Mason, spingendo via la mano invadente di Evan.

«Stavo controllando se all'improvviso non ti si fosse staccata la gamba dal corpo», rispose Evan. Ebbe abbastanza faccia come il culo per pronunciare quella risposta assurda con serietà.

«Ma sei sicuro di avere trentatré anni, cazzo?»

Evan emise un singulto ferito e si portò una mano al petto. «Come osi pronunciare quel numero? Io ho diciannove anni».

Mason evitò di dirgli che mentalmente era rimasto sempre quell'adolescente chiacchierone ed invadente per cui aveva avuto una leggera sbandata molti anni prima.

Quando giunsero a casa di sua cugina e Cody, Mason stava ancora borbottando il suo malcontento contro Evan che, a differenza sua, sorrideva smagliante, apparendo effettivamente più giovane.

Mason aveva due anni meno di Evan, eppure, con lui la vita non era stata così magnanima. Sembrava già un vecchio scorbutico che malediceva questo mondo e quell'altro, brandendo un bastone. Il bastone ce l'aveva anche. Anzi, ne aveva due. Gli mancavano solo i capelli bianchi e gli occhiali da vista spessi come fondi di bottiglia.

Che amarezza, porca puttana.

Scosse il capo per scacciare gli ennesimi pensieri negativi, che erano giunti a far aumentare le paranoie in Mason, e si concentrò su casa di Rachel e Cody. Notò una Toyota bordeaux un po' sgangherata e familiare.

Una parte del suo cervello iniziò a formicolare perché aveva già visto quella Toyota qualche altra volta, proprio davanti il Centro Veterani di Rockford.

«C'è qualche altro ospite», constatò Evan. Poi scosse le spalle con noncuranza, tanto lui non aveva problemi a socializzare come Mason.

«Spero che sia stata la mamma a cucinare o che Rachel sia migliorata ed abbia smesso di bruciare anche i toast», continuò a dire Evan.

Mason fermò la sedia a rotelle dinnanzi il portone di ingresso, Eva gli leccò il dorso di una mano così Mason le fece una carezza tra le orecchie.

«Se Cody non è morto per denutrizione è solo grazie a Belinda», replicò Mason.

Evan sghignazzò e suonò tre volte il campanello.

«Una volta non bastava?» domandò Mason.

Evan abbassò gli occhi su di lui e gli sorrise, mettendosi le mani nelle tasche dei jeans. «Le persone speciali si annunciano per bene quando arrivano».

Mason roteò gli occhi al cielo. Ad Evan piaceva solo far fracasso ogni volta che ne aveva la possibilità, era quella la verità.

Ad aprirgli la porta fu proprio Rachel insieme alla sua pancia prominente. Mason la guardò e le disse: «Sembra che ti sia mangiata la ruota di scorta dell'auto».

Rachel gli diede uno scappellotto. «Non me ne frega niente che sei invalido», sibilò, poi gliene diede un altro.

«Strega», borbottò Mason.

Rachel lo ignorò e passò ad abbracciare Evan.

«Porca miseria, Evan... Perché sembro più vecchia di te?»

Evan scoccò un bacio sulla fronte di Rachel, poi le accarezzò la pancia. Mason non gliel'aveva mai accarezzata, non credeva di essere capace di compiere un gesto tanto dolce ed... intimo.

«Perché in Irlanda ho trovato un quadrifoglio, Rachel».

Rachel gli diede una spintarella scherzosa ed Evan si mise a sghignazzare.

«Ciao, Eva», disse Rachel, accarezzando il capo del cane. «Ho comprato dei nuovi biscotti solo per te». Eva, captando la parola "biscotti", scodinzolò ed abbaiò.

«Forza, entrate. Cody ha appena finito di arrostire gli hamburger e le salsicce. Poi, Belinda è stata così gentile da prepararci i suoi fantastici bagel».

«Fiu», sospirò Mason. «E anche questa volta ho scampato la morte».

Rachel lo guardò truce. «Questo tuo black humor mi fa venire sempre voglia di bucarti le ruote della sedia a rotelle».

Evan sghignazzò ed in un attimo circondò le spalle di Rachel con un braccio e strinse affettuosamente una spalla di Mason. «Ahh, cazzo. Quanto mi siete mancati».

Anche a Mason era mancato il loro trio, ma doveva continuare a fare la parte dell'ex militare ferito che odiava tutto e tutti.

Quando furono in prossimità della cucina, Mason vide la figura familiare di Cody, ma quel formicolio al cervello ritornò ad infastidirlo, seguito un attimo dopo dall'eco della voce ironica di Timothy che gli diceva: «Questa sera ti divertirai. Peccato che non posso più mangiare i pop-corn».

«Ehi, Evan!» esclamò Cody, alzandosi dalla sedia dove era seduto per correre ad abbracciare il nuovo arrivato.

«Ehi, McDowell! E così sei riuscito ad infornare la pagnotta, eh?» scherzò Evan, come al suo solito, dando qualche pacca dietro la schiena di Cody, il quale si imbarazzò.

Esistevano davvero dei ragazzi che si imbarazzavano ascoltando battute a sfondo sessuale, Cody ne era la dimostrazione.

«Evan, faccio finta di non aver sentito. Seb dov'è, Cody?» domandò Rachel a suo marito.

Seb. Ma che cazzo...

«Eccomi! Ero andato un attimo in bagno a lavarmi le mani!» esclamò quella voce.

Quella dannatissima voce.

Centinaia di campanelli d'allarme iniziarono a suonare contemporaneamente nella testa di Mason.

Una sirena allerta uragano prese il posto di quei campanelli un attimo dopo, quando Mason si ritrovò davanti Sebastian. Quel Sebastian. Essendo che, al momento, nella vita di Mason ce ne era solo uno e non stavano di certo parlando dell'aragosta canterina del film La Sirenetta.

Aveva una di quelle sue sciocche felpe troppo larghe con le stampe che gli avvolgevano il corpo magro e sempre quegli sciocchi capelli mezzi rosa, il cui ciuffo copriva in parte gli occhi azzurri, sgranati, non appena il ragazzo si accorse nella presenza di Mason.

Ha dell'eye-liner? Sì, ma anche se fosse, cosa cazzo me ne frega se si trucca gli occhi?

«Ragazzi, lui è Sebastian. Si è laureato da poco con il massimo dei voti e sarà per quest'anno accademico il mio assistente in università. Seb, lui è Evan, è più o meno il mio fratellastro. Mio padre e sua madre sono compagni da anni. E questo brontolone è mio cugino Mason».

«Ciao...» parlò Sebastian, sembrava pietrificato quasi quanto Mason. «Potete chiamarmi Seb».

Mason non lo avrebbe mai chiamato Seb. E, dannazione, tra le centinaia di studenti che affollavano il college di Rockford, Rachel doveva scegliere proprio Sebastian come assistente?

Mason sentì la risata sadica di Timothy. Si schiarì la voce solo per trattenersi dall'urlare: "Io lo so che c'è il tuo zampino, Timmy, cazzo!".

Mason si accorse che Eva aveva iniziato ad uggiolare e a scuotere il sedere per la felicità. Vide Sebastian abbassare gli occhi sul suo cane e sul suo viso si allargò un sorriso che, se non si fosse trovato seduto sulla sedia a rotelle, avrebbe spinto Mason con il culo per terra.

«Oddio, Eva, ma ci sei anche tu!» cinguettò Sebastian, accovacciandosi con le gambe per permettere ad Eva di assalirlo e riempirlo di bava e peli.

La sirena allerta uragano ritornò a rimbombargli nel cranio insieme alla risata soddisfatta di Timmy.

Poi Mason avvertì degli occhi addosso. Alzò, il capo e trovò Rachel che lo stava fissando con uno strano ed inquietante sorrisetto sulle labbra. Gli stava sfuggendo qualcosa e ne ebbe solo la conferma quando Rachel dichiarò con troppa enfasi: «Eva? Conosci mio cugino, Seb?»

Seb si rimise in piedi dopo aver dato un'ultima carezza ad Eva. Si pulì i palmi delle mani sui jeans ed iniziò a far viaggiare nervosamente gli occhi su tutti. «Beh, ecco, frequenta il Centro Veterani che gestiscono mio fratello Dylan e mia madre. L'ho incontrato lì qualche volta», raccontò.

Poi quegli occhi azzurri leggermente truccati furono nuovamente su Mason e il nervosismo che aveva notato in essi poco prima venne sostituto da un pizzico di... malizia.

«Buonasera, Mason Musone. Quale livello punta il tuo merdometro personale, questa sera?»

Evan scoppiò in una fragorosa risata ed ululò: «Oh, cazzo, 'fanculo l'Irlanda. Quanto mi sono mancati gli inciuci di Rockford!»





Nota di Jenny

Ehilà! Gli inciuci in questa nuova storia sono appena incominciati e non avete idea di quanto sia contenta di essere ritornata a far parlare Annie ed Evan.

💖😎

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