𝐀𝐔𝐃𝐄𝐍𝐓𝐄𝐒 π…πŽπ‘π“π”π...

Por workingclasscheroine

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Quando Paul arriva all'UniversitΓ  di Cambridge, il suo obiettivo Γ¨ quello di far scorrere tutto liscio fino a... MΓ‘s

CAST
1. The Prime Minister
2. The Breakfast Club
3. The Lord of the Rings
4. The Sleeping Beauty
5. The Secret We Keep
6. The Saturday Night Fever
7. The Tea Party
8. The Mistery Gang
9. The Fight Club
10. The Concussion
11. The Unintended Mask
12. The Backs
13. The Punt Tour
14. The Reason Why
15. The Lunch Date
16. The Dancing Queen
17. The Birthday Boy
18. The Broken Ones
19. The Patched Hearts
20. The Carpe Diem
21. The Red Skirt
22. The Allied Powers
23. The Art of War
24. The Plot Twist
25. The Ruthless Voice
26. The Kafka Trap
27. The Car Ride
28. The Double Date
29. The Drunk Calling
30. The Re-Education Program
31. The Romantic Comedy
32. The F*cking Sheets
33. The Unexpected Visitor
34. The Invisible Charybdis
35. The Question Game
36. The Absent Guard
37. The Final Duel
38. The Scared Child
39. The Last Trip
40. The Monet Affair
42. The Little Brother
43. The Longest Dinner
44. The Unsolicited Opinions
45. The Unequal Struggle
46. The First Rule
47. The Lovely Bastard
48. The Crystal Boy
49. The CatkinsοΏΌ' Philosophy
50. The Pool Party
51. The Immortal Youth
52. The White Nights
53. The Unfamiliar Familiarity
54. The Unshakable Complicity
55. The Water Strider
56. The Breakfast Fail
57. The Safe Haven
58. The Baby's Name
59. The Second Mouse
60. The Eagle
61. The Ghost of Christmas Past
62. The Mix Cd
63. The Haunted House
64. The Prodigal Son
65. The Bench

41. The Fallen Angel

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Por workingclasscheroine

Finisco per cenare con Shiva e Phineas, lasciandomi trascinare dalle preghiere del primo, e mi offro persino di cucinare.

Chissà perché, dato che so benissimo di non esserne capace.

Sono immerso nel senso di colpa, non voglio altro che essere servizievole nei confronti degli altri.

Voglio essere il Gesù Cristo del loro maledetto dolore, voglio slacciare le Nike consunte di Phineas e gli stivaletti scamosciati di Shiva per lavare loro i piedi, piantarmi dei chiodi tra i tendini e decorare le pareti di questa sala.

Nel frigo abbiamo solo delle uova avanzate dall'ultima trovata culinaria di Shiva, e mi rassegno a romperle semplicemente in un piatto, allungandole con un goccio di latte perché bastino per tutti.

Mentre la forchetta si agita nel miscuglio, rompendo la perfetta simmetria dei colori, non posso fare a meno di pensare a quanto sia facile, per me, creare disordine.

Rovescio il composto nella padella, con le mani che tremano, e attendo che inizi a raggrumarsi.

Il mio problema è ovviare al disordine, ricostruire.

E la padella è troppo piccola, o il resto è troppo liquido, e la mia frittata stenta a prendere una forma definita.

Sento, stupidamente, gli occhi riempirsi di lacrime.

Perché questa è una sciocchezza, è solo una stupida frittata.

Ma, tra le mille altre cose, io non so fare neanche questo.

Tutto ciò che agli occhi altrui è semplice a me appare insormontabile, come se vivere mi costasse più fatica rispetto agli altri.

"Tutto ok?"

Phineas si sporge verso i fornelli, le mani ben salde sul bordo del ripiano, per controllare come stia andando.

Nel farlo, lancia una discreta occhiata alla mia espressione.

Stringo forte le labbra, raschio la spatola sui bordi.

"È una merda di frittata" commento, e ancora, non so spiegarmi perché mi venga da piangere.

"Non è una merda di frittata" mi corregge Phineas, sorridente. "Sono delle ottime uova strapazzate. Dammi qui"

Mi sfila di mano la spatola, distruggendo il tutto fino a renderlo effettivamente simile a quanto promesso.

"Visto? Tutto si può risolvere, Cass" accenna, sfiorandomi la spalla con le dita. "Ogni disastro ha le proprie potenzialità"

Non chiede altro, non indaga il motivo del mio crollo.

Mi passa semplicemente un braccio intorno alle spalle, stringendo brevemente.

Non facciamo menzione, a tavola, di ciò che è successo.

Phineas ci racconta dei suoi pazienti, divertito e affascinato da quel nuovo mondo che va dispiegandosi sotto i suoi occhi, e come sempre il suo sorriso è il diversivo migliore per la tristezza altrui.

"Il signor Wilkinson è un uomo adorabile. Un simpatico vecchietto che non ci sta più con la testa" afferma, serenamente. "Il problema, con lui, sono i turni notturni. Una notte mi ha chiamato, e mi ha chiesto di far scendere quella donna dal soffitto. C'è mancato poco che mi rintanassi sotto il camice del primario piangendo per il terrore"

Ridiamo delle avventure paranormali dei pazienti di Phineas, e mi chiedo cosa mi sia saltato in testa stamattina: io ho bisogno di loro.

Ho bisogno di questo continuo ribilanciamento, della serenità che riescono a trasmettermi, del modo in cui mettono ogni cosa al suo posto dentro di me.

Rifiuto con un sorriso la proposta di unirmi a loro in Sala Comune, e rivolgo un cenno a Shiva per assicurargli che tutto va bene.

"Devo consegnare un saggio alla Tartaruga, entro questo fine settimana" mi giustifico. "Sarà meglio che mi metta al lavoro"

"Venerdì ci sarà la cena con Mo" sottolinea Phineas, ridendo. "Sarà meglio per te che tu ci sia"

Shiva mi scocca un'occhiata inquisitoria.

"Già" scandisce, senza distogliere gli occhi dai miei. "Sarà meglio per te che tu ci sia"

I sottintesi nelle sue parole sono come una coltellata al petto.

Ma, ancora, non è un rimprovero.

Ha bisogno di essere rassicurato, questo posso capirlo.

Per chissà quanto tempo ancora, nel non vedermi arrivare, Shiva sarà colto dalla paura che io sia fuggito via: è una condanna a cui non può sottrarsi.

E neanch'io posso curare quella ferita.

Nessuna delle mie parole potrebbe.

Non si fida di me.

Qualcosa si è incrinato, tra noi, qualcosa che nel vento inizia a vacillare.

Ma getterò nuova fondamenta, se necessario. E se questo non sarà sufficiente farò fondamenta del mio corpo, mura delle mie braccia, e sopporterò il peso che mi grava sulla schiena.

Il vento potrà turbinare a lungo, la tempesta farsi eterna.

Ma io resterò qui.

"Ci sarò" assicuro a entrambi, perché questa è l'unica cosa che posso dire. "Sempre"

Shiva tentenna, nel lasciarmi andar via, come fosse a un passo dall'alzarsi in piedi e stringermi per la mano, ma si trattiene.

Mi sta dando una possibilità.

E per ora questo è il massimo che possa chiedergli.

Sorrido a entrambi mentre si allontanano, intenerito dal modo in cui Shiva, più alto di Phineas, inclina naturalmente la testa per ascoltarne i sussurri concitati.

Mi infilo a mia volta nei corridoi, rigirandomi tra le dita le chiavi della 607. Mi piace questa sensazione: avere le chiavi di casa propria in mano, la certezza che nulla sia mutato in mia assenza.

Ci saranno gli occhiali di Churchill abbandonati, come sempre, sulla sua scrivania. Le sue coperte perfettamente ordinate e le mie attorcigliate in fondo, il suo profumo ancora sul mio cuscino.

E poi i miei libri sparsi in giro, coricati a faccia in giù per mantenere il segno, e la mia sedia sepolta sotto un cumulo di vestiti.

La copia di L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello che Phineas mi ha regalato, un dolce tentativo di ravvicinare i suoi interessi ai miei. Sul muro la lista di film che Shiva mi ha imposto di vedere, almeno una volta nella vita.

Stringo le chiavi con più forza, riscaldando il metallo freddo contro il palmo.

Sono a casa.

Devo smetterla di avere sempre paura.

"Paul McCartney!"

Mi blocco, ormai di fronte la porta, e soffoco la necessità di sbuffare.

Non c'è verso di trovare pace, in questo maledetto posto.

"Mi dica, signora Hyde" concedo, rassegnato, mentre lei corre sulle piccole gambe per raggiungermi.

A volte mi chiedo come faccia a ricordare il nome di ogni singolo studente che varca le porte del dormitorio.

C'è qualcosa di tenero in questo, immagino. Ho come l'impressione che il Cerbero si senta più madre che sorvegliante.

"Oh, mio caro. Ti ho cercato per tutto il giorno" ansima, portandosi una mano al petto per calmare l'affanno. "La tua famiglia ha chiamato non meno di cinquanta volte. Vogliono sapere come stai. È successo qualcosa?"

"Nulla di grave" taglio corto, e immediatamente gli occhi del Cerbero si assottigliano per il sospetto. "Se richiamano, per favore, dica loro che sto bene"

Poi, prima che possa chiedere altro, sussurro una veloce buonanotte e mi chiudo la porta alle spalle.

Passo il resto della serata a rimettere in ordine la distruzione che, come sempre, tendo a lasciarmi dietro.

Shiva è stato onesto, nel rapporto reso: si è limitato a gettare tutto quel che poteva nel mio armadio, che ora versa in condizioni pietose.

Faccio partire la riproduzione casuale, riempiendo la stanza di musica prima che la mia testa possa riempirsi di pensieri.

Rimettere in ordine ha un qualcosa di rilassante.

Come quando da bambino sbucciavo le ginocchia contro il pavimento e poi, dopo alcuni giorni, grattavo via la crosta solo per rendermi conto che c'era pelle nuova ad attendermi, che quella ferita era molto meno disastrosa di quanto sembrasse a primo impatto.

Sul comodino, accuratamente separato da tutto quel disastro, Shiva ha lasciato il mio anello.

Rimetterlo al dito è come tornare a respirare.

Al di là del disordine inizia a ricomparire la mia vita, ancora fatta di vestiti sulle sedie e libri ribaltati, ma sempre mia.

Churchill non è ancora tornato, e non torna nelle ore successive.

Mi siedo di fronte alla scrivania, lo schermo lattiginoso del computer che ricambia il mio sguardo, e sfoglio distrattamente i libri per cercare nuovi spunti su cui basare il mio saggio.

Ho scritto a malapena una mezza pagina, quando sento infine delle mani posarsi sulle mie spalle.

Sussulto, riaprendo di scatto gli occhi.

"Buongiorno" scherza Churchill, mentre mi raddrizzo. "Ti eri addormentato?"

"Che domanda stupida" commento, soffocando uno sbadiglio contro il palmo. "Che ore sono?"

"Le tre del mattino"

"Fanculo"

Ride.

"Lullaby, non li costruisco io, gli orologi"

Lo ignoro, e lancio un'occhiata disperata allo schermo, alle poche righe che sono riuscito a collezionare prima di crollare sulla tastiera.

"Devo finire il saggio che il tuo fottuto maestro Jedi mi ha costretto a ricominciare" mi lamento, secco, e mi scrollo perché allontani le mani dalle mie spalle.

Ovviamente, non lo fa.

La stretta si rafforza, i suoi pollici disegnano cerchi concentrici appena sopra le scapole, alla base del collo.

È una sensazione piacevole, che mi chiude le palpebre per qualche attimo.

"È tardi, per studiare" sussurra Churchill, con più dolcezza. "Domattina Cicerone sarà ancora lì"

Mi lascio sfuggire un sospiro, abbandono la testa contro di lui nello sforzo di incrociare il suo sguardo.

Ha gli occhi lucidi e vagamente distanti, l'ombra di un sorriso che aleggia sulle sue labbra.

"Sei ubriaco?" chiedo, ma è una domanda del tutto retorica.

Ride, facendo ruotare la sedia su se stessa fino a posizionarmi davanti a lui.

Si china su di me, entrambe le mani sui braccioli.

"Colpevole, vostro onore" mi sussurra all'orecchio, divertito. "Dovrebbe punirmi. Sono un bambino davvero molto, molto cattivo"

Mi strappa un sorriso e uno spintone piccato, volto se non altro ad assicurarmi un margine di movimento, di distanza.

Avere Churchill così vicino mi fa sempre sentire terribilmente bene e terribilmente in trappola.

"Perché così allegro?" chiedo, alzandomi in piedi per riportarci in una posizione di parità.

Lui sorride, allaccia le dita intorno al mio avambraccio.

"Ho avuto una nottata movimentata" annuncia, quasi orgoglioso. "Volevo festeggiare"

Fa per fare un passo indietro, rischiando di rovinare a terra. Sospiro, afferrandolo dal bordo del cappotto per evitargli la caduta.

Il contraccolpo me lo riporta vicino, i suoi occhi lucidi e brillanti e le sue guance scarlatte a un soffio dalla mia espressione corrucciata.

"Che tipo di notte movimentata?" chiedo, annoiato.

Scuote la testa, ridendo, mi posa un indice sulle labbra.

La lieve sensazione di sfregamento mi zittisce all'istante.

"Shh" mormora, stupidamente. "Un gentiluomo non racconta certi dettagli"

La consapevolezza mi si schianta in viso come uno schiaffo, e neanch'io saprei dire cos'è a infastidirmi così tanto.

Mentre io vivevo delle ore infernali, mentre il mondo attorno a me collassava su se stesso, ingabbiandomi in una morsa, lui era con Cyn.

"Te lo assicuro, Churchill" commento quindi, allontanando le sue mani, "Non c'è niente che mi interessi meno dei tuoi dettagli"

"Non litighiamo, Mandy" impone, senza scostarsi.

"Non stiamo litigando"

Blocca le mie dita tra le sue per impedirmi di lottare ancora, incrociandole a mezz'aria.

Sorride, un misto tra sarcasmo e rassegnazione.

"Vieni a dormire" ordina poi, glissando sulla questione.

"Devo studiare, Church" gli ricordo, esasperato. "Il tuo paparino si aspetta una mia mail entro venerdì sera"

Mi trascina di peso, senza badare alle mie lamentele e ai piedi che continuo a puntare a terra.

"Puoi studiare domani" suggerisce, "C'è ancora un sacco di tempo fino a venerdì sera"

"Churchill"

La mia voce è fredda, irritata.

È sempre così: lui che vive la vita a mille, senza curarsi delle esigenze di nessun altro.

Churchill plasma il mondo e le persone a suo piacimento, facendone ciò che desidera e finché lo desidera. Poi, quando si annoia, passa avanti e si aspetta che tu sia ancora lì ad aspettarlo, nel caso cambiasse idea.

Sta studiando il mio volto, adesso, battendo freneticamente le palpebre per tenermi a fuoco.

Si prende del tempo, prima di tornare a parlare.

Siede sul letto, gettando sul fondo il cappotto. Si sfila a fatica i jeans e il maglione.

Resta con addosso una t-shirt bianca e ovviamente mia.

Non si infila tra le coperte, limitandosi a spingersi indietro fino a poggiare la schiena contro il muro.

Rimane con i gomiti poggiati sulle ginocchia e il volto tra le mani, gli occhi ancora fissi su di me e le lunghe gambe nude che devo forzarmi di non guardare.

"Per favore" mormora, semplicemente. Sembra frustrato, un bambino cui è stato sottratto il giocattolo preferito. "Non so spiegare il perché tu mi sia mancato così tanto, oggi"

Ed eccolo ancora, il mondo che si piega al suo volere.

La rabbia mi abbandona in un istante, lavata via dalle sue parole e dal tormento nel suo sguardo.

Un vago senso di colpa mi punge il petto, in prossimità dello sterno, e devo mordermi con forza la lingua per evitare di raccontargli ciò che stavo per fare oggi.

È incredibile come riesca a scovare sempre il punto debole di qualcuno, seppur senza volerlo.

"Cinque minuti e poi torno a studiare" impongo, ancora piccato. "E infila dei pantaloni, cazzo".

Sorride, senza obbedire. Batte una mano sul materasso per invitarmi a sedere accanto a lui.

Eseguo, ancora reticente, ma abbandono comunque la testa contro la sua spalla.

"Se ti rompe così tanto il cazzo è perché gli piaci" spiega tra i miei capelli, la sua voce innaturalmente impastata dall'alcol. "La Tartaruga, intendo"

Sbuffo.

"Immagina se non gli piacessi"

La sua spalla mi trema contro la guancia mentre ride, silenziosamente.

"Non riesco a immaginarlo" confessa. "Tu piaci a tutti"

Sollevo appena lo sguardo, rifilandogli un'occhiata sarcastica.

"Quello sei tu, Church. Non io" lo correggo, annoiato.

I suoi occhi brillano nella penombra. Adoro quell'espressione.

"È vero, io piaccio a tutti" concorda, e la sua totale assenza di modestia mi strappa un sorriso. Non è arrogante, solo brutalmente onesto. "Ma anche tu. In modo diverso, forse"

"In quale modo?"

"C'è qualcosa in te che costringe alla resa" mormora, quieto. Le sue dita trovano immediatamente le mie. "Un incantesimo che impedisce a chiunque di dirti di no"

"Stai esagerando"

Lo dico senza riflettere, e senza neanche soffermarmi su ciò che sto dicendo.

Voglio solo che continui a parlare.

"Qual è l'ultima volta in cui io ti ho detto di no?" chiede, divertito.

Giocherella con le mie dita, fa scorrere lungo la falange l'anello che mi cinge il medio.

"Non me lo ricordo" ammetto, distratto dal calore della sua pelle sulla mia.

Ride.

"Appunto" conferma, abbandonando la testa contro la mia. "E che tu ci creda o meno, sono un tipo che dice di no molto spesso"

È raro che si apra in questo modo.

Io e lui parliamo così tanto, e di tutto, che conosco il suo parere su pressoché qualsiasi cosa.

Ma non lo ho mai sentito parlare di me.

L'affetto di Churchill verso tutti noi è sempre concreto, tattile, fatto di mani e sorrisi e solo molto più raramente di parole.

"La differenza tra noi, Church" sussurro, "È che l'amore delle persone ti inebria tanto quanto soffoca me"

Ancora: voglio solo che continui a parlare, che le sue parole mettano a tacere il roboante oceano di pensieri che mi lambisce la gola.

"Non è vero" mi contraddice, e la sua voce è sicura, ferma. "Non tutto l'amore. Non il mio. Non quello di Phineas. Non quello di Shiva"

Sospiro, sguscio via dalla sua presa per stendermi sul letto, al di sopra delle coperte.

Anche solo restare seduto mi costa fatica.

Si stende accanto a me, ignorando i miei occhi fissi sul soffitto, si rannicchia al mio fianco per cercare calore.

"No, non tutto l'amore" concedo, ma so di star mentendo nel momento stesso in cui le parole lasciano la mia bocca.

La rabbia che provo verso Churchill in questo momento è più che soffocante.

Mi attanaglia le viscere in ogni punto, come una scarica elettrica che percorre incessantemente il mio corpo.

A nulla serve il calore del suo corpo accanto al mio, la panacea delle sue parole, il suo braccio che mi cinge i fianchi.

Una volta mi aveva detto che io speravo di vederlo sbagliare perché volevo vederlo logorarsi nel pensiero di non esserci stato per me, quando più avevo avuto bisogno di lui.

Aveva ragione, in parte, ma la realtà è più complessa di così.

Solo ora, mentre riposa accanto a me e lo ascolto dire tutte quelle parole che credevo potessero guarirmi, mi rendo conto della distanza creatasi tra noi.

Io non volevo vederlo sbagliare perché l'idea lo lacerasse.

Volevo vederlo sbagliare perché l'idea lacerasse me.

Avevo bisogno di liberarmi dalla convinzione che, qualsiasi cosa accada, lo troverò sempre accanto a me.

Perché questo non è normale.

Non è normale.

Riporre così tanta fiducia in una persona sola, così tanto abbandono; non può andare a finire bene.

Avevo bisogno di ricordare che è umano, e che come tale è fallibile.

E ora lo so: Churchill non è un eroe, non il mio.

È solo un ragazzo.

Mi volto sul fianco. Se incontrassi i suoi occhi, forse, anche questi pensieri verrebbero lavati via. Mi sorriderebbe e tornerebbe ad essere infallibile, leggerebbe nel mio sguardo ognuna di queste paure e ricostruirebbe il filo contorto dei miei pensieri.

Ma dorme, con i capelli scompigliati e la bocca schiusa, e sembra più giovane di quel che è.

Riavvio una delle ciocche che gli ricade sugli occhi, delicatamente.

"Anche tu mi sei mancato, oggi" confesso, ora che non può sentirmi.

Poi, prima di potermi pentire, mi alzo.

Stanotte dormirò nel mio letto.



Note

:)))) rollercoaster di emozioni.

Love you,

H.

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