Slave (18+)

By martixlevi

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𝘭𝘦𝘷𝘪 𝘢𝘤𝘬𝘦𝘳𝘮𝘢𝘯 𝘹 𝑜𝑐 sesso, in ogni sua forma e angolazione, l'antinomia che vive in tutti noi... More

introduzione
estetica
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By martixlevi

CAPITOLO SEDICI
IL MIO DONO È IL DOLORE

La bella e tiepida serata di un autunno particolarmente mite, faceva fremere sulla sedia Abigail, che avrebbe voluto uscire da quella stanza per andarsi a fare una lunga passeggiata. Nel cuore della notte, il bussare insistente alla porta, fece precipitare la mora dal mondo dei sogni. Sdraiata sul letto, sentii la porta aprirsi improvvisamente.

"Alzati." era la voce di Levi.

"Che vuoi?" domandó la ragazza, senza voltarsi.

"Vieni con me." ordinó.

La tensione era palpabile. Era stravolta al punto che non riusciva a parlare, così accettó senza fare discussioni. Poi con uno sforzo riuscì a dire: "Dove dobbiamo andare stavolta?"

"Lo vedrai." Abigail cercava di contenere l'angoscia che la stava attanagliando, ma le mani le tremavano e sentiva il cuore esploderle nel petto. Anche Levi non stava vivendo momenti tranquilli.

Si affacció dalla finestra che dava sulla strada più importante della città sotterranea: alle tre di notte non si vedeva in giro anima viva, "Non c'è nessuno fuori, non possiamo uscire domani mattina?" esordì cercando di essere convincente.

"No." il tono di voce di Levi era forte e deciso. Aprii la porta e le fece cenno di seguirlo.

Si avviarono a piedi lungo la strada che avevano percorso lei ed Hanji, cambiando però completamente direzione. Abigail non aveva idea di dove la stava portando. La notte emanava nel silenzio, un'atmosfera singolare: il buio aveva un odore lugubre.

Levi era un amante della notte. Lo aveva sempre affascinato, forse perchè amava le stelle e queste si potevano vedere solo di notte. In realtà credeva che c'era dell'altro: la notte era serena, silenziosa e si spingeva alla solitudine, ma anche ad un pensiero più profondo. Amava la notte e tutti i suoi odori, i suoi sogni, i suoi desideri. Spesso come era successo quella notte, si aggirava per le vie della città, mentre tutti dormivano o erano intenti a far baldoria in qualche locale pieno di amori che stavano per nascendere o di amori che stavano per finire, ecco, mentre gli altri si divertivano così, lui si divertiva a girovagare per la città, guardando le piazze, le strade e i vicoli illuminati.

Quando si andava di fretta non ci si accorgeva di quello che ci stava intorno, si dava per scontato. Invece, durante la notte, dove tutto era più lento, si riusciva a scorgere stati d'animo non solo delle persone, ma anche delle cose.

Così si aggiravano per le strade illuminate di color giallognolo dai lampioni che riflettevano una luce serena e dolce, riuscivano a scorgere alcuni vicoli e alcune case piene di storia. Si fermarono di fronte un edificio abbastanza grande, vecchio e sporco all'esterno. Il cortile era ricoperto dalle erbacce. Era di una casa abbandonata. Il giardino era per niente curato e le erbacce si arrampicavano su per i muri fatiscenti. La porta era di legno, massiccia, all'antica.

"Perché siamo qui?"

"Vorresti unirti a noi, no?" le chiese Levi.

"Non ho ancora deciso, lo sai anche tu."

"Ma ti piacerebbe?"

"Levi, cazzo, perché mi hai portata qui?" sbraitó Abigail.

"Entra." ordinó il corvino.

L'entrata dava sul salotto, un'ampia stanza buia con al centro una rampa di scale, arreddata alla vecchia maniera con antichi mobili e divani in pelle. Nella parete a destra c'era un grande arco che si affacciava alla cucina inutilizzata da molto tempo. Se si salivano le rampe di scale del salotto, c'era un ingresso arredato solo con qualche quadro e una libreria piena di vecchi libri polverosi.

"Che brutto qui, sembra una casa abbandonata."

"Lo è." disse Levi.

"Mi fai paura."

"Dammi la mano, ti porto in un posto."

Abigail sobbalzó quando le loro mani si toccarono e si unirono in un'unica stretta. Le dita si incrociarono perfettamente, come se fossero state fatte le une per l'altre. Era bello che dove finivano le sue dita, dovevano in qualche modo incominciare quelle di Levi.

Continuarono a camminare. L'ingresso aveva 2 porte. La prima era un'ampia camera buia con un letto matrimoniale, un armadio, un grande tappeto che ricopriva gran parte della stanza, una scrivania colma di libri polverosi. La seconda stanza era ampia anche questa e con un grosso tappeto che ricropriva un'ampia zona della stanza. Aveva un letto matrimoniale, una scrivania e dei libri. Appoggiata a una poltrona c'era una divisa da militare. Se si continuava a salire le scale, c'era un corridoio lungo e tenebroso. Una porta si affacciava al bagno, mai utilizzato e pieno di ragnatele.

"Guarda." Levi indicó una piccola porta, alla fine del corridoio, che nessuno aveva mai visto aperta, "Vai lì."

Abigail obbedì e, sopraffatta dalla curiosità, andó verso quella porticina piena di polvere. La spinse più forte che poteva, dopo un grande sforzo, riuscii ad aprirla completamente. Tutto ciò che riusciva a vedere era nero, il buio, la stanza non era illuminata. "Che c'è qui?" chiese, si sentii il suo eco.

Il corvino accese l'interruttore della luce, posto accanto la porta d'ingresso, e una forte luce acceccó gli occhi di entrambi per un momento. Quando riuscirono a riaprirli, Abigail si sentii il cuore esplodere nel petto. Vide di fronte ai suoi occhi una grande varietà di armi, pistole, coltelli, fucili, e altra roba che neanche conosceva.

"Con ogni singola arma qui, abbiamo ucciso una persona. Tutte, non se ne salva neanche una." disse.

"Mi hai portata qui per spaventarmi? Pensi che io, poliziotta militare, mi terrorizzi vedendo delle armi?" Abigail era più forte di quello che pensava.

"Si, era quello l'intento. Più che queste, speravo ti spaventassero le mie parole."

"Parla allora, vediamo se ci riesci." lo provocò la ragazza.

Era paralizzata da un bisogno sconosciuto, completamente ammaliata. Stava fissando, ipnotizzata, la bocca perfettamente scolpita di Levi, e lui la guardava con gli occhi socchiusi, lo sguardo torbido. Aveva un respiro più pesante del solito, mentre lei aveva smesso del tutto di respirare. Lui abbassó le palpebre, respiró a fondo, e annuii piano la testa come in risposta alla sua richiesta.

"Vuoi sapere cosa si prova a morire? Nulla. Cioè, credo che qualche istante prima si abbia paura, ma nel momento in cui capisci che non c'è scampo, è come se tutto si facesse estremamente calmo." inizió Levi.

Fece un passo in avanti verso la ragazza, che rimase pietrificata, immobile. L'aveva provocato, lui stava solo rispondendo, eppure, qualcosa stava crescendo in lei.

"Tu sei come le storie, inesistenti, subito dimenticate. Storie di violenza, di morte, di omicidio. Storie che non ti toccano, perché il sangue non ti macchia le mani e magari puoi tornare a casa tranquilla la sera, con la coscienza pulita, sicura di essere una dei buoni. Sei felice, perché la violenza di altri protegge il tuo fragile castello di vetro, ma la pressione dei proiettili aggiunge una crepa nuova al tuo castello ogni giorno che passa. Tu guardi e dimentichi e le storie di violenza, che esistono per permetterti di vivere una vita tranquilla, finiscono nell'oblio. Vuoi sapere cosa si prova ad uccidere? Guardati le mani e dimmi cosa vedi."

Abigail obbedì alle sua richiesta. Si guardó subito le mani ormai diventate pallide, che tremavano, le vene blu fuoriuscivano dai polsi mentre i palmi non smettevano di sudare. "Non vedo niente." rispose innocentemente.

"Le vorresti vedere sporche di sangue?" domandó.

Stava per ridere. Si morse il labbro sforzandosi di rimanere seria. "Mi prendi per il culo?"

Levi si allontanó da lei, afferró un piccolo coltello dallo scaffale pieno di armi, e tornó di fronte a lei, aumentando il passo. Appoggió il coltello sopra le sue labbra, era di metallo, di quelli col manico pesante e arrotondato. Abigail si voltó a fissarlo sorpresa, poi sentii quel manico accarezzarle la bocca, lentamente.

"Taglia qui." le disse, indicando il suo pollice, "Fai un piccolo taglio in modo che mi esca sangue."

"Perché?"

"Fallo, quando do un ordine non mi aspetto di doverlo ripetere."

Lei rimase senza fiato. Prese il coltello e puntó la lama contro il suo polpastrello, con molta delicatezza, andò più a fondo entrando nella sua carne. Levi sussultó, ma non fiató. Quando la uscì, una macchia di sangue bagnó il dito del corvino. Sentii un tic nervoso farsi strada sul suo viso, tanto che l'occhio le traballó pericolosamente.

"Brava." le disse, "Ora dammi il coltello."

Avrebbe potuto ucciderlo, se solo avesse voluto. Peccato che in quel momento, Abigail non riusciva a capire cosa fosse giusto o sbagliato. La differenza era così sottile per lei da non distinguere le due cose. Gli diede il coltello senza esitazione, leggermente sporco del sangue di Levi. Il corvino appoggió il pollice sul palmo della ragazza, il quale diventó rosso.

"Ma che fai?"

"Ora hai le mani sporche del mio sangue. Mi avresti ucciso se non ti avessi scoperta, no?"

"Si." non esitó a rispondere.

"Come ti senti?"

"Non capisco cosa vuoi provare con questa stronzata."

"Fatti forza e affronta ciò che diventeresti, se ti unissi a noi. Vedi quelle mani fatte di sangue? Senti l'odore?" chiese, Abigail annuii, "Lo sentiresti sempre, ogni giorno."

Si passó una mano dietro la nuca e sospiró stancamente, "E quindi? Pensi che non ci riuscirei?"

"Abigail, sei troppo innocente."

"Come?"

"Guarda la tua vita e dimmi quante persone muoiono ogni giorno, dimmi quante ne condanni, dimmi quante ne salvi, dimmi di quante non te ne frega un cazzo. Tutti vogliono sapere cosa si prova ad uccidere, ma nessuno osa chiederlo. Tu sei diversa, però. Sai, la verità è che quando uccidi qualcuno, non provi nulla. Uccidere qualcuno è semplicissimo, è quello che provi dopo che ti distrugge."

La ragazza rimase in silenzio, osservó Levi, strinse le labbra e drigrignó i denti. Non sapeva neanche lei cosa stava provando in quel momento.

"Ho ucciso tante persone nel corso della mia vita, ma non ho mai provato nulla nel farlo. Però ora che riguardo la mia vita, mi rendo conto però, che la prima volta che l'ho fatto, ho provato qualcosa: è stato quando ho ucciso me stesso. È stato quando ho deciso di smettere di essere uomo libero e sono divenuto schiavo, senza più opzioni, se non la violenza." continuó.

Abigail strinse la sua mano di nuovo. La strinse come se stesse per partorire e nella medesima maniera di una partoriente sputó fuori due boccate d'aria. Scosse furiosamente il capo, "Non è vero che non hai più opzioni, Levi."

"Abigail, il mio dono è il dolore." le disse, " il dolore serve ad unire le persone, perché la sofferenza, se compresa, se condivisa, è il legame più forte che possa esistere al mondo e nessuno potrà mai spezzarlo. Tu puoi vederlo il dolore delle persone, puoi provarlo, puoi capirle."

"Si. C'è una linea molto sottile tra piacere e dolore. Sono due facce della stessa medaglia, e uno non può esistere senza l'altro." rispose la ragazza.

Levi si voltó a guardarla, in modo diverso. Aveva detto qualcosa che aveva sempre pensato, ma non riusciva a spiegarlo. Si fissarono per un po', senza dire una parola.

"Promettimi che se vorrai unirti a noi, non farai stronzate, Abigail." disse appoggiando le mani sulle sue spalle, assicurandosi di avere la sua attenzione.

"Ma-" le tappó la bocca con il dito sporco di sangue.

"Ma, un cazzo. Dillo e basta...o ti spacco tutti e quattro gli arti così magari starai buona per un po'."

Abigail scoppió a ridere e si asciugó il sangue dalle sue labbra, "Dannazione Levi, credo che sia la prima volta che ti preoccupi per me, anche se devo dire che sei contorto, eh? Hai minacciato di farmi male...per il mio bene. Non è un controsenso?"

Roteó gli occhi pentendosi di quella cortesia appena usata. "Promettilo, Abigail." serró le labbra e lei diventó ancora più rossa. Usare il suo nome era un mezzuggio crudele, lo ammetteva.

"P-Prometto." farfuglió, gonfiando le guance e assumendo l'aria da cucciola abbandonata, "Giochi sporco, tu."

"Un ragazzo fa quel che può." le fece l'occhiolino e si allontanó da lei, asciugandosi il pollice sporco di sangue sulla maglietta. Poi iniziò a camminare verso l'uscita, non curante della ragazza.

"Sei stato gentile." ammise lei, seguendolo lungo il corridoio mentre lanciava l'ultima occhiata a quella stanza, ormai di nuovo chiusa.

"Gentile, dici, eh?"

"Giá, non ti facevo così. Chissà come mai." disse ed il corvino sobbalzó.

"Andiamo adesso, te ne ho già dette troppe." sorrise prima di tornare sui suoi passi.

"Avevi detto che non ti fidavi di me..." continuó Abigail.

"Hmm. Forse mentivo."

Finché avrebbe continuato a fermarsi sulla superficie, l'unica cosa da vedere erano i nemici, ma scendendo a fondo avrebbe trovato un oceano di amici. Le lacrime asciutte erano meglio del sangue versato.

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