Slave (18+)

By martixlevi

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๐˜ญ๐˜ฆ๐˜ท๐˜ช ๐˜ข๐˜ค๐˜ฌ๐˜ฆ๐˜ณ๐˜ฎ๐˜ข๐˜ฏ ๐˜น ๐‘œ๐‘ sesso, in ogni sua forma e angolazione, l'antinomia che vive in tutti noi... More

introduzione
estetica
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By martixlevi

CAPITOLO UNDICI
IMPEGNATI AD AVER PAURA DI MORIRE, SI DIMENTICARONO DI VIVERE

Abigail si svegliò dolorante e non riconobbe il posto. Era tutto così luminoso, accecante. Tanta gente vestita di nero si affaccendava attorno a lei. Sentii qualcuno parlarle, chiederle qualcosa, ma non capì. Sulla soglia della stanza riconobbe un uomo che la guardava come se fosse un alieno.

Perse conoscenza di nuovo. Aprì gli occhi e il bianco del soffitto accolse il suo risveglio. La testa era un fuoco di visioni e martellamenti continui. Le pareva dovesse esplodere da un momento all'altro, come una granata lanciata dal nemico.

"Può parlare?"

"Credo di sì. Attendiamo che si svegli del tutto."

Voci. Accanto a lei vide Levi Ackerman e l'uomo biondo di prima. Dov'era finita?, si chiese. Poi, pian piano, i ricordi tornarono. Rivide Erwin ed Hanji parlare di Levi, il corvino che l'aveva scoperta, il dolore in tutto il corpo, poi più nulla finché si svegliò in quella stanza sconosciuta.

"Ricordi qualcosa di quanto è successo tre giorni fa?"

Tre giorni. Abigail sbatté le palpebre, tentò di alzarsi, ricadde sul letto. Aveva un polso legato al letto, attraverso delle manette, ciò le impediva qualsiasi movimento.

"Non ti alzare." le ordinò Levi. "Resta giù."

"Io..." iniziò, ma poi non disse più niente. Che cosa avrebbe dovuto raccontare? Che li stava spiando, da diversi giorni, ed era una spia della polizia militare? E che tre giorni fa, per chissà quale motivo, aveva tentato di seguirlo per ascoltare le loro conversazioni?

"No." rispose infine, "Non ricordo niente."

"Ti rinfresco la memoria allora." iniziò, "Ti ho visto che ci stavi ascoltando, hai sentito le mie parole, quelle di Hanji e quelle di Erwin, giusto?"

Abigail non rispose, si limitó a scuotere la testa. Non voleva ammettere niente, magari con un po' di convinzione le avrebbero creduto.

Ciò che la spaventó molto fu vedere Levi, con la coda nell'occhio, prendere la pistola dalla sua giacca e puntargliela contro. Si guardarono in faccia mentre il corvino si avvicinava e con lui, anche la pistola. Si abbassó mettendosi in ginocchio e poggió la punta ghiacciata dell'arma contro il suo collo. Lei rabbrividì e tornó a guardare Erwin, il quale ridacchiava divertito.

"Te lo chiedo un'ultima volta." sussurró al suo orecchio, "Hai sentito ciò che abbiamo detto, giusto?"

La ragazza rispose nuovamente di no. Le luci lampeggiarono come un semaforo impazzito. Le mani di Levi iniziarono a muoversi, muovendo la pistola su tutto il collo di Abigail, dapprima lentamente, a scatti, poi si alzó e sparó al soffitto. Abigail imprecó. Cercò di non urlare, di non sudare, di non dimostrarsi spaventata, ma non aveva più il controllo dei suoi sentimenti. Ebbe paura che si sarebbe avventato contro di lei, ma non accadde nulla.

"Non sono affatto un tipo paziente, sai? Quindi dimmi, ci hai sentiti?"

Qualcosa le sfiorò un braccio e sussultó, "Rispondigli quando ti fa una domanda, Abigail."

Vide il volto di Erwin vicino al suo, senza volere si allontanó, ma la presa delle manette sul polso le impediva di andare troppo lontano.

"Si, vi ho sentiti." Abigail si arrese, cercando di trattenere le lacrime che volevano uscire dalla paura.

"E come mai ci stavi ascoltando?" chiese, e puntó nuovamente la pistola contro il suo collo.

"No, non posso..."

"Abigail." la richiamó, sbattendo un piede violentemente per terra, "Dimmi la verità."

La mora si sentii tremare, guardó il soffitto rovinato per colpa dello sparo che aveva dato Levi poc'anzi. Non poteva fare altro, i suoi colleghi l'avrebbero probabilmente odiata, li stava per tradire. Si sentiva in colpa, ma non esisteva altra scelta. Sicuramente, Hitch avrebbe capito.

"Sono una spia mandata dalla polizia militare." disse.

"Mandata, perché?" domandó Erwin.

"Per spiare le vostre attività illegali, cogliervi nel sacco e farvi arrestare."

"Merda!" urló Levi dando un calcio alla sedia dov'era seduto prima. Si ruppe, riducendosi in tanti pezzi e cadendo sul suolo, "Quei bastardi ci vogliono ancora arrestare!"

"Sta' calmo, la uccideremo e basta, capiranno."

"No, ho già mandato una lettera chiedendogli del tempo."

"Cosa hai fatto?!" sbraitó il biondo, si alzó in piedi per guardarlo meglio.

"Ho scritto una lettera a nome di Abigail Parker." spiegó, "Dicendo che noi l'avremmo uccisa entro un mese, se non daranno alla gang sotterranea il potere dell'intera capitale di Mitras, ma non ho ancora ricevuto una risposta."

Abigail rimase pietrificata. I suoi compagni allora lo sapevano, ma come mai non avevano risposto?Probabilmente dovevano ancora leggere la lettera, pensó. Non c'era motivo di pensare male, avrebbero fatto di tutto per salvarla da quella situazione.

"Sei impazzito, Levi? Come facevi a sapere che questa puttana fa parte della polizia militare poi? E se non lo fosse stata, avresti fatto una figura di merda!"

"Ne ero sicuro e basta, intuizione."

"Appena lo saprà Hanji, si arrabbierà tantissimo." disse e con due passi svelti, Erwin uscii dalla stanza chiudendo la porta con violenza.

"Intuizione?" domandó Abigail. Erano da soli, Levi si sedette sulla sedia dov'era Erwin, la guardò in faccia mentre posava la pistola di nuovo nella sua giacca.

"Si."

"Stronzate." rispose, "Sei un bastardo."

"Non osare rivolgerti a me in quel modo, mocciosa."

"Altrimenti? Mi ucciderai? Fallo, non starò qui come prigioniera di persone come voi, preferisco morire." disse la ragazza lasciando Levi a bocca aperta.

Si avvicinó a lei e, prendendole l'altro polso, lo mise nelle manette lasciandola con entrambe le mani immobilizzate, sopra la sua testa, contro il letto. Abigail cercó di dimenarsi dalla presa, ma fu tutto inutile. Più si muoveva, più il dolore aumentava.

"Dai, su, dimmi qualcos'altro. Ti sfido, cazzo, e ti immobilizzo anche le gambe."

"Lasciami andare! Non posso stare così, fa male!"

"L'hai voluto tu." rispose e fece per uscire dalla stanza. Abigail si guardó intorno, cercando qualcosa per scappare. L'intero ambiente era permeato di un tripudio di profumi e odori che si mescolavano fra loro con un'intensità che la lasciarono quasi stordita.

"Aspetta!" urló, Levi si giró, rientrando nella stanza, "Mi dispiace, ti prego non farmi stare così."

Continuó a guardarla senza fare niente, rimase fermo al suo posto.

"Levi...per favore." era trascorso tanto tempo da che qualcuno l'aveva chiamato per nome, se non Erwin ed Hanji, e non ne ricordava più il suono. Solo grazie a lei, riuscì a riconoscerlo di nuovo.

Si avvicinò, l'afferrò con una mano e, con uno strattone deciso, tolse le manette dai suoi polsi, liberandola completamente. Abigail non scappó, rimase ferma a guardarlo, si strofinò solo i polsi doloranti per cercare di alleggerire il fastidio.

"Grazie." sussurró.

Quella ragazza l'aveva appena ringraziato, nonostante fosse una sua prigioniera. Levi si sentii destabilizzato, non aveva mai incontrato una persona così gentile bei suoi confronti. Ultimamente gli pareva di essere meno reattivo con lei, come se i sensi non rispondessero bene come un tempo.

Abigail si tirò su, si allontanò un poco. Sedette rannicchiandosi contro il muro, le ginocchia strette al petto, le mani infilate fra le gambe.

"Quando risponderanno i miei colleghi...vorrei saperlo." disse. Levi non rispose. Le preparó il letto per la notte, dispiegó le coperte e per ultimo provó a distendersi per sentire come si stava.

"Bene." disse, poi. Le coperte erano scure e ruvide, la rete sotto era ricurva, ma sempre meglio di niente, "So che non è granché, ma per ora non posso fare altro."

"Perché sei così gentile ora?" domandó la ragazza.

"Perché ho visto nei tuoi occhi la paura e non voglio che tu ne abbia."

"Mi hai puntato una pistola contro e adesso parli di paura?"

Lui non rispose. Si tenne alla sedia e la fronte si inumidì di sudore. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito dopo.

"Dove mi trovo?" chiese la ragazza.

"A casa mia."

"Dovrò stare imprigionata qui finché non mi ucciderete, no?"

Levi annuì, poi si abbandonò sulla sedia e se ne rimase zitto a riflettere. Abigail lo osservò senza fiatare, quasi avesse timore di rompere l'incanto che sembrava aleggiare in quel posto così insolito, popolato da gente molto strana.

"Quanto ci vorrà?"

"Ho dato loro tempo un mese."

"Beh, allora dovrò vivere questo mese fino alla fine." rispose.

La sua reazione fu inaspettata per Levi, la verità era che Abigail Parker non aveva la minima paura di morire. Della morte spaventava l'ignoto, la perdita dei legami e di tutto ciò che si costruiva, la perdita del controllo sulla vita. Pensare la morte era necessario per esserne meno spaventati. Pensarla significava accettarla, rinunciare al controllo totale sulla nostra vita e concentrare le energie su quello che era in nostro potere, come uno stile di vita salutare.

Abigail non aveva più nessun legame affettivo per cui desiderava essere in vita. Non aveva più senso vivere, se non per il suo lavoro, per il suo scopo: seguire le orme di Marlene, la sua mamma adottiva. Morire o restare in vita per esso era solo un dettaglio per lei.

"Non hai paura della morte." affermó Levi.

"No."

"E perché?"

"Ho iniziato a non avere più paura di morire dopo che sono morti i miei genitori e poi la mia mamma adottiva. Da quel momento ho iniziato a pensare che se loro era morti potevo farlo anch'io."

Non sapeva nemmeno perché aveva detto una cosa simile, riguardante il suo passato, ad un criminale. Non le importava più di tanto, però. Sarebbe morta comunque.

Abigail pensava che non doveva essere poi una cosa così orribile perché, pur non essendo credente, aveva la sensazione che quando sarebbe morta, avrebbe trovato loro ad accoglierla qualsiasi cosa ci fosse stato dopo.

"Impegnati ad aver paura di morire, si dimenticarono di vivere."

La frase di Levi colpì Abigail. Non erano poi così diversi come pensavano. Entrambi si guardarono per qualche secondo, leggendo la sofferenza nel viso dell'altro.

Si voltó per osservare fuori dalla finestra, Abigail notó i suoi capelli neri toccargli la fronte, ed i suoi occhi paurosi blu farsi sempre più pensierosi.

Poi, il corvino si alzó e senza dire un'altra parola, aprii la porta per uscire, "Avevo proprio ragione a dire che sei come noi, senza cuore." continuó.

"Già. Può darsi."

"Non ho intenzione di chiuderti qui a chiave, non volevo neanche tenerti prigioniera, per cui la lascerò aperta, mi fido. Buonanotte."

Abigail non voleva scappare, non avrebbe avuto senso. Si sentiva una codarda al solo pensiero di non affrontare la realtà. Aveva la possibilità di vivere, ma non le importava.

Trascorse parecchio tempo e lei si appisoló. Non sapeva per quanto tempo dormiva. In quella stanza l'oscurità sembrava ancora più fitta. Scostó le tende e guardó fuori. Era notte. Faceva un freddo pungente. Chissà che ora erano. Faceva troppo freddo per stare fuori le coperte, ma non aveva più sonno ormai. Tornó comunque a sdraiarsi. La luna rendeva luminosa la stanza entrando dalle finestre, disegnava le ombre distorte delle inferriate, dei graticci rotti, delle tele di sacco squarciate e penzolanti.

La città si trasformava ancora in uno scenario indistinto fatto di ragnatele di luce che imprigionavano la notte in un chimerico nirvana, suoni improvvisi che si spegnevano all'orizzonte della veglia, quartieri che sprofondavano in una languida vacuità. Tutto taceva. Il silenzio era la chiave che suggellava la vita dentro un fragile carapace di ombre e sogni nell'attesa che si schiudesse all'arrivo del mattino.

La notte scendeva, cupo sudario a coprire il corpo martoriato e trascinato via e abbandonato come un rifiuto. Le tenebre calate sulla vita avvolgevano ferite, contusioni, lividi. Il vento si faceva carezza e scivolava sulla pelle come il soffio di una donna.

Hitch, mi avevi fatto promettere di non esitare. Eppure, eccomi qui.

Scusa, amica mia.

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