OLIVIA

By makebaba

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Avete presente la ragazza introversa e un po' sfigata che va a lavorare per il ricco direttore di un'azienda... More

Elenco dei personaggi
Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo VIII
Capitolo IX
Capitolo X
Capitolo XI
Capitolo XII
Capitolo XIII
Capitolo XIV
Capitolo XV
Capitolo XVI
Capitolo XVII
Capitolo XVIII
Capitolo XIX
Capitolo XXI
Capitolo XXII
Capitolo XXIII
Capitolo XXIV
Capitolo XXV
Capitolo XXVI
Capitolo XXVII
Capitolo XXVIII
Capitolo XXIX
Capitolo XXX
Epilogo
Ringraziamenti

Capitolo XX

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By makebaba

I passi miei e di Talisia, la mia compagna di stanza, rimbombano nel corridoio mentre ci incamminiamo verso il poligono di tiro per l'addestramento. È un freddo sabato pomeriggio e fuori la neve continua a cadere tempestosa e senza tregua.

«A che piano dobbiamo scendere?» chiedo a Talisia, mentre entriamo nell' ascensore. Questo posto ha così tanti piani e non lo conosco ancora bene.

Talisia, che sta qui da più tempo di me, se la cava meglio: «Al novantatreesimo, Olivia. Ci veniamo un giorno sì e l'altro pure» risponde, mentre poggia la mano tatuata sul pulsante dell'ascensore.

«Mi confondo con il piano della palestra» mi giustifico, rivolgendole un sorriso colpevole.

«Prima che tu me lo richieda a cena, la mensa si trova al centosettismo» mi stuzzica. Di tutta risposta, le faccio una linguaccia mentre lei mi strattona scherzosamente. Grazie al nostro battibeccare rumoroso, come ogni volta, attiriamo gli sguardi perplessi dei presenti.

Talisia è l'unica amica che ho qui dentro e l'unica persona di cui mi fido. Come con Martha, è la sola persona con cui sono stata sincera sin da subito. Quando mi balena nella mente l'immagina della mia migliore amica, che non vedo da mesi, stringo nervosamente il corrimano di ferro delle scale che ci portano al poligono.

«Tutto bene?» domanda Talisia, empatica come poche persone al mondo.

«Soliti pensieri tristi» ammetto, mentre entriamo nell'armeria antistante la sala da tiro per prepararci.

«Sparaci sopra» mi suggerisce lei, porgendomi le cuffie antirumore e strappandomi un sorriso.

Noi Allievi ci accomodiamo ognuno alla sua postazione, a più di sette metri di distanza dalle sagome di legno a forma di essere umano: sono gli obiettivi sui cui dovremmo esercitarci a sparare. Dimitri, colui che si occupa di questa parte del nostro addestramento, fa la sua comparsa dopo pochi minuti.

«Buongiorno a tutti» esordisce, con un marcato accento russo: «Oggi vi eserciterete ancora con le semiautomatiche. Dovrete puntare sempre lì: tra l'arteria carotide e la vena giugulare del collo, né un millimetro prima, né un millimetro dopo» ci spiega passeggiando davanti alla fila di allievi. Siamo una decina, tutti molto giovani. C'è chi è qua per scelta e chi perché non aveva scelta, come me e Talisia.

«Lo dice come se fosse facile» sussurro alla mia amica, commentando le istruzioni di Dimitri.

In due mesi, non riesco ancora a sparare centrare il bersaglio con la semplice semiautomatica. Con il fucile di precisione, invece, me la cavo decisamente meglio. Per questo motivo, vivo questa parte dell'addestramento con molto stress e senso di inadeguatezza. Se non supero l'addestramento posso dire addio al mio piano e alla nuova vita che mi è stata promessa.

Dimitri, nel frattempo, ci dà l'ordine di cominciare a sparare: carico la mia arma e punto all'obiettivo tendendo le braccia in avanti. Uno, due, tre colpi andati a male. Al mio fianco, invece, Talisia bucherella con precisione il sagomato in legno.

«Cazzo» impreco, quando anche il quarto colpo colpisce clamorosamente la porzione della spalla, invece che il lato destro del cuore.

«La mia sagoma assomiglia ad uno scolapasta» sbuffo desolata.

«Inclina la mano leggermente più a destra» mi suggerisce Talisia, mandando a centro un altro proiettile. Seguo il suo consiglio, ma manco nuovamente l'obiettivo di diversi centimetri.

Dimitri si avvicina a noi per controllare, attirato dalla sagoma-scolapasta: «Diamine, non ne azzecchi una manco per sbaglio. Se quella sagoma potesse parlare ti implorerebbe di ucciderla piuttosto che continuare con questo strazio» commenta sarcastico e annota qualcosa sul taccuino.

Ci risiamo. Mi avrà messo un altro voto di merda. Di questo passo non prenderò mai la licenza.

«Riprova» mi dice, quasi ordinandomelo.

Senza dire altro, punto la pistola verso l'obiettivo, stringendola con entrambe le mani che mi tremano: ovviamente, sbaglio ancora e ancora.

«Non ci siamo» constata lui, guardandomi male: «Come ti chiamano?» dice puntandomi gli occhi color ghiaccio addosso.

«Josephine» rispondo, il suono di quel nome mi risuona strano sulle labbra.

Il rumore degli spari, prodotto dai colpi dei miei colleghi, viene interrotto dal cenno della mano di Dimitri che richiama l'attenzione di tutti.

«State molto attenti» annuncia, passandosi una mano sulla barba rossiccia e rada: «Ora vi farò vedere una cosa. Anzi, sarà la vostra collega Josephine a mostrarvela» dice indicandomi con un dito.

«Vai Josephine, mostra a tutti cosa hai appena fatto vedere a me»

«Che cosa?»

«Fa' quello che ti dice» mi sussurra Talisia: «Altrimenti annoterà qualcosa'altro su quel maledetto taccuino»

Con le mani che mi tremano ancora di più, questa volta non per la rabbia di non riuscire a centrare la sagoma, ma per l'imbarazzo dovuto alla gogna pubblica alla quale mi sta volutamente esponendo Dimitri, sparo un colpo che va a finire fuori sagoma.

Le risate generali mi fanno sprofondare nella vergogna. Dimitri placa i risolini sguaiati dopo un tempo che mi pare infinito, crogiolandosi un po' e godendosi il momento: «Questo è esattamente quello che dovete fare per tornarvene da dove siete venuti. Nel caso della nostra qui presente Josephine, è un biglietto di sola andata per un soggiorno molto lungo in gattabuia»

Tra i presenti, chi sa cosa significha ciò che ha appena minacciato di fare Dimitri, si ferma e riflette prima di lasciarsi andare ad una risata scomposta.

«Vacci piano, Dimitri» lo rimprovera Connor, mentre si stacca dall'uscio della porta e percorre a grandi falcate la sala.

«Che figura di merda» dico a mezzavoce a Talisia. Tutto ciò che desidero in questo momento è che si apra una voragine sotto di me. Lei serra i denti, dispiaciuta per l'avvilente siparietto andato in scena.

«Atkins» lo accoglie con finto entusiasmo il nostro istruttore: «Che piacere vederti, specialmente quando vieni a ficcare il naso negli affari che non ti riguardano»

«Mi riguardano e come» ribatte duro, avvicinandosi a lui: «Sono un tuo superiore, ho il dovere di controllare il tuo operato»

«Da quando ti metti a contestare i metodi di insegnamento?» sbotta Dimitri, facendo un passo verso di lui. Poi rivolto a noi, aggiunge: «Cosa fate lì impalati? L'ora è terminata, andate»

Senza farcelo ripetere due volte ci allontaniamo verso l'uscita, mettendo via le nostre cose. Quando passo vicino la porta, con la coda dell'occhio, li scorgo discutere animatamente. Dimitri gesticola, rosso in viso, mentre Connor si limita a rispondergli a braccia conserte e in tono calmo.

«Non sono affari che ti riguardano, sono il tiratore scelto migliore del Dipartimento e tu non sei nessuno per giudicare i mei metodi» sento Dimitri inveire, mentre Connor gli risponde in tono piatto qualcosa tipo: «Non contesto il tuo talento, ti sto solo facendo notare che non è umiliando gli Allievi che otterrai risultati»

Sorrido tra me e me ed apro l'anta dell'armadietto, godendomi gli strascichi della ramanzina di Connor nei confronti di quel buffone di Dimitri. Ripulisco la pistola, inserisco la sicura e la ripongo accuratamente nell'armadietto. Talisia lo rinchiude frettolosamente, sbatte forte l'anta e corre via strillando dall'armeria: «Prima a farsi la doccia!»

«Stronza!» le urlo di rimando, con un sorriso divertito sul volto.

Quando sto per richiudere anch'io l'anta, con lo sguardo ancora rivolto verso la scattante Talisia, un ostacolo me ne impedisce la chiusura. Mi giro di scatto e realizzo che è una mano ad bloccare l'armadietto.

«Cosa ci fai qui?» domando sorpresa, mentre Connor molla la presa.

«Non chiudere, prendila e vieni con me» risponde sbrigativo, indicandomi la pistola adagiata sul ripiano dell' armadietto.

«Dove?»

Non è una situazione usuale, da quando ho iniziato l'addestramento non abbiamo interagito affatto, eccetto qualche cenno di saluto quando ci incrociavamo nei corridoi della Centrale. Ho sempre pensato che mi stesse ignorando. Agli allenamenti corpo a corpo, ad esempio, mi ha sempre messa nel gruppo di Maurice: ogni volta che si è presentata l'occasione, ha fatto di modo di scansarmi.

Di primo acchito, l'ho mentalmente ringraziato dal momento che non ho desiderato altro che stargli lontana dati gli ultimi avvenimenti ma, nel profondo, mi causa sempre un'inspiegabile sensazione di fastidio averlo a pochi metri, non potergli parlare e vederlo sorridere a persone che non sono me.

«Non andiamo da nessuna parte, rimaniamo qui al poligono» mi dice, rinchiudendo l'armadietto al posto mio. Lo sguardo gli scappa sulla mia figura minuta rispetto a lui, per poi ritornare sul mio viso, e aggiunge: «Ti faccio vedere una cosa»

Incuriosita, decido di seguirlo in sala tiro. Porta dei pantaloni della tuta neri, con una maglietta della stesso colore che aderisce perfettamente al suo corpo statuario. Io, come lui, indosso la divisa sportiva che mi hanno dato: un leggings e un top scuro coordinati. Fisso le mie scarpette da ginnastica bianche e ripenso con nostalgia ai mie sandali alti e a quanto amavo indossarli.

Connor risveglia la mia mente dai pensieri, non appena raggiungiamo la postazione di tiro: «Voglio farti vedere come si fa»

«Scusa?»

«Ti ho vista in difficoltà prima, durante l'allenamento con Dimitri e anche gli altri giorni a dire la verità» ammette, rivolgendomi un sorrisetto.

Ah.

«Tu mi hai...vista?» chiedo incredula e anche leggermente infastidita, oltre che in imbarazzo. Mi fa voltare verso un punto preciso della sala, posandomi una mano tra le scapole. Con un braccio m'indica le telecamere presenti agli angoli del soffitto:

«Vedi? Da lì vi seguiamo e monitoriamo»

Scuoto la testa scettica: «Perché ci spiate se siamo con gli istruttori?»

«Non spiamo nessuno. Ogni sessione di allenamento viene osservato da altri agenti per assicurarci l'imparzialità. Purtroppo, devo ammettere che Dimitri è il meno imparziale di tutti» risponde, staccando la mano dalla mia spalla e mettendosela in tasca.

«Nemmeno tu sei imparziale in questo momento» osservo.

«Perchè?»

«Perché stai sparlando di Dimitri con un'allieva»

«Oh, ma Dimitri è un coglione. Questo lo sanno anche le pareti»

Mi sfugge una risatina, ma blocco la lingua con i denti mentre lo guardo sottecchi.

«Tra quanto hai il prossimo allenamento?» mi domanda, cambiando discorso.

«Sono le sette di sera, abbiamo finito per oggi»

«No» esclama: «Tu non hai finito per oggi. Non ce ne andremo finché non centri il bersaglio»

Connor mi prende la pistola, la carica e la impugna a due mani. Con un gesto automatico punta l'arma verso la sagoma lignea posta a diversi metri di lontananza da noi. Prima di premere il grilletto m'illustra i passaggi da compiere: «Il segreto sta nell'angolazione dell'arma rispetto al tuo corpo e all'obiettivo»

Toglie la sicura e si concentra, con gli occhi ridotti a due fessure: «Così»

Il proiettile fuoriesce dalla canna della pistola e si va a ficcare con precisione nanometrica nel punto indicato da Dimitri. Apro la bocca, sconvolta da tanta bravura: «Non ci riuscirò mai»

«Su, prova tu» mi esorta, poggiando la pistola.

Soffio un po' di aria dalla bocca, mentre afferro la rivoltella e la punto al bersaglio. Connor, alle mie spalle, mi incoraggia: «Ricorda ciò che ti ho detto. Visualizza la posizione dei miei polsi e fa' lo stesso. Ce la puoi fare»

Prendo un respiro e faccio esattamente come lui, inclinando leggermente i polsi e stringendo l'impugnatura dell'arma da fuoco con le nocche che mi diventano bianche. Il proiettile parte si e conficca a pochi centimetri dall'obiettivo, mancandolo.

Mi volto verso di lui scoraggiata.

«È andata meglio, vedi? Devi solamente esercitarti» mi consola, staccandosi dalla parete su cui si era poggiato per osservarmi.

Mi rimetto in posizione, con le mani che trattengono frenetiche l'arma.

«È qui che devi stare attenta» sento la sua voce alle mie spalle. Lo avverto dietro la schiena, vicino. Mi volto nuovamente verso di lui, ma mi ritrovo con la punta del naso a pochi centimetri dalla sua spalla.

«Non capisco, ho fatto come mi hai detto» sospiro abbattuta. Ho perso ogni speranza di farcela.

Connor da dietro di me, allunga le braccia poggiando le mani sulle mie, intente a puntare la pistola: «Posso?» domanda, appoggiando il petto sulle mie spalle. Faccio cenno di sì e lui mi abbassa le braccia di quale centimetro, poi, fa ruotare di qualche grado i miei polsi con le dita.

«Prova adesso» mi dice piano all'orecchio.

I polpastrelli mi scivolano sul grilletto, lo premono con forza e il colpo va finalmente a segno. Sono senza parole. Mi giro verso di lui per dirgli qualcosa, ma i nostri visi si sfiorano mozzandomi il respiro. La sua pericolosa vicinanza mi scatena un brivido lungo la schiena. Connor allontana il viso quasi subito, rimanendo tuttavia incollato alle mie spalle.

«Riprova» mi suggerisce cauto.

Seppur un po' frastornata dalla foga del momento, ritento, e anche questa volta faccio centro con un colpo secco.

«Ancora» m'incalza, staccandosi con il corpo definitivamente da me.

Andiamo avanti così per parecchio tempo, non tutti i colpi vanno a centro con la precisione dei primi due, ma credo di aver afferrato la tecnica giusta grazie a Connor.

«Ho fatto ancora centro!» esclamo festosa, dopo una lunga serie di spari infiniti via via sempre più precisi.

Inizio a saltellare sul posto, in preda all'euforia. La mia allegria contagia Connor, il quale mi regala un sorriso che mette in risalto la sua dentatura perfetta.

«Grazie» gli rispondo sincera.

Connor si passa una mano tra i capelli, e una ruga gli si disegna sulla fronte pensierosa: «Direi che per stasera va bene così»

«Uhm, suppongo di sì. Vado a rimettere tutto a posto» gli rispondo, un po' delusa dal questo suo modo di liquidarmi improvviso.

Lui sembra accorgersene, dal momento che mi chiede: «Tutto apposto?»

«Sinceramente? No» ammetto.

«Perché? Sei stata bravissima» mi dice, mentre ci incamminiamo verso l'armeria.

«Non è per questo...solo...non lo trovi strano?» trovo il coraggio di dirgli.

Lui si blocca sul posto, arrestando la nostra camminata.

«È che...non abbiamo mai più parlato di quello che è successo» aggiungo.

Non so dove sto trovando la forza di di andare a rivangare il periodo più brutto della mia vita, ma a distanza di mesi mi sento finalmente in grado di affrontare l'argomento.

«Parlare di cosa?» esclama stupefatto, come se stesse cadendo dalle nuvole.

«Fai sul serio? Parlare di quello che è successo tra di noi, Connor! O lo hai già dimenticato?»

«Cos'altro vuoi sapere?»

«Voglio sapere se quello che c'era tra noi non me lo sono immaginato o se era davvero tutto un gioco, una strategia. Voglio sapere perchè sei qui - stasera - ad aiutarmi e se lo fai per pulirti la coscienza. Voglio capire perchè non mi hai degnato di uno sguardo per mesi e, adesso, riappari come se nulla fosse. Non puoi comportarti in maniera ambigua e stupirti del fatto che io ti venga a chiedere spiegazioni» rispondo con foga, allibita dalle sue risposte noncuranti.

Siamo fermi al centro della sala, a distanza di sicurezza. Dalle finestre poste in alto scorgo il buio pesto della notte. Connor prende un profondo respiro di prima di parlare: «A me sembra tutto piuttosto chiaro, Olivia»

«No, non è per niente chiaro!»

«Ti credevo più perspicace. Avresti dovuto trarne da sola le conclusioni»

«Quali conclusioni?» dico portandomi una mano al petto per calmare i battiti.

«Vuoi davvero sentirtelo dire?»

Il nodo che mi si è formato in gola, m'impedisce di respirare regolarmente: «Sì» confesso, come la peggiore delle masochiste.

«Abbiamo scopato una volta, e allora? Dovrebbe significare qualcosa? Se ti può far stare meglio non l'ho fatto perchè me l'ha imposto il lavoro che stavo svolgendo, ma perchè mi andava di farlo. Ma ciò non deve per forza avere risvolti sentimentali, mi spiego? Sei una bella ragazza, lo abbiamo fatto, stop. E sì, sono qui perchè dopotutto non ti voglio in galera e mi dispiace vederti in difficoltà con gli allenamenti. Ma non farti illusioni, ti prego»

Mi maledico per aver chiesto delle risposte, ma nel contempo mi sono grata per  aver avuto il coraggio di pretenderle. Con la consapevolezza di essere stata un delle tante, sarà più facile dimenticarmi di lui? Forse. Intanto, queste parole mi squarciano dentro e mi privano delle poche emozioni positive rimaste.

«Non sono di nessuna, Olivia. Non lo sono mai stato e non intendo esserlo, ma non è colpa tua. Fuori di qui c'è sicuramente qualcuno che ti merita più di quanto possa meritarti io...»

«Lo sai che c'è, Connor?» lo interrompo con un gesto della mano: «Vaffanculo»

Stando attenta a non lasciarmi sfuggire nemmeno una lacrima, afferro la mia roba, ed esco correndo dalla stanza impedendogli di ribattere. Cosa speravo di sentirmi dire? Certo, le aspettative erano basse ma fa male. Cazzo, se fa male.

Per quante volte possa essere già successo in passato, non ci si abitua mai ad un cuore che si spezza.

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