OLIVIA

By makebaba

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Avete presente la ragazza introversa e un po' sfigata che va a lavorare per il ricco direttore di un'azienda... More

Elenco dei personaggi
Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo VIII
Capitolo IX
Capitolo X
Capitolo XI
Capitolo XII
Capitolo XIII
Capitolo XIV
Capitolo XV
Capitolo XVII
Capitolo XVIII
Capitolo XIX
Capitolo XX
Capitolo XXI
Capitolo XXII
Capitolo XXIII
Capitolo XXIV
Capitolo XXV
Capitolo XXVI
Capitolo XXVII
Capitolo XXVIII
Capitolo XXIX
Capitolo XXX
Epilogo
Ringraziamenti

Capitolo XVI

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By makebaba

Olivia

Non sono capace di muovere nessuna delle mie fibre muscolari, sono paralizzata dal terrore. In una sorta di meccanismo di difesa, tiro a me le ginocchia, circondandole con le braccia e poggio il mento sopra le rotule. Non riconosco questo ragazzo che si sta lentamente avvicinando a me. Non è sua questa faccia impassibile, queste labbra strettamente serrate e la mascella immobilizzata in un'espressione dura. Non sono sue neppure le parole che mi ha appena rivolto.

Questo non è Connor. Questo è un perfetto sconosciuto.

La rabbia con la quale l'ho aggredito appena l'ho visto varcare la porta dello studio è stata soppiantata dalla terrificante consapevolezza di essere in pericolo: sa tutto.

«Chi sei?»

La più naturale delle domande, mi esce a mezza voce di bocca. Il ragazzo è in piedi, a pochi passi da me. Alla mia domanda apre la bocca, come per dire qualcosa, ma ci ripensa e la richiude subito, per poi darmi le spalle e trascinare una sedia al centro della stanza. Si ci accomoda e mi squadra minuziosamente da lontano, come se mi stesse osservando per la prima volta. La tensione tra noi taglia l'aria come un coltello.

«Olivia, Olivia...» esordisce, lasciandosi sfuggire un sospiro: «Cosa dovrei fare con te adesso?»

Ho un groppo in gola che m'impedisce di parlare. Le lacrime percorrono lente le mie guance, inarrestabili.

«Cosa ne sarà di me?» trovo il coraggio di chiedergli dopo un po'.

«Non saprei dirtelo neanche io a questo punto, Olivia» mi risponde, impassibile.

«Non sai nemmeno cosa ne sarà di me? Vuoi farmi credere che mi hai pedinata per mesi senza avere in mente un piano preciso? Ci sono le mie foto qui, le foto di mia sorella, della mia casa. Hai spiato e controllato tutta la mia vita. Voglio almeno una spiegazione!»

Non mi sono nemmeno accorta di aver alzato la voce. Ho la gola che mi brucia e il fiato corto a causa delle urla, ma Connor non è per niente turbato dalla mia reazione: «Certo che avevo un piano ma è andato tutto a puttane. Questo...» dice indicando prima me e poi lui con l'indice: «Non era previsto»

«Questo è una menzogna!» urlo, furente.

«Ti occorre per caso un aiuto per rammentare che anche tu non sei stata per nulla onesta con me?»

«Hai ragione, mi sarei dovuta presentare a te dicendoti: Ciao, lo sai che ti ho rapinato casa e nel tempo libero faccio la ladra per tirare a campare?» mi batto una mano sulla fronte con un gesto teatrale, per sottolineare l'assurdità del suo ragionamento.

«Non è questo, Olivia»

«Infatti non è questo» dico asciugandomi le guance con il dorso della mano, decisa a darmi un tono: «Perché tu, a differenza mia, sapevi perfettamente chi avevi davanti. Quindi sei anche peggio! Sei stato sleale, infimo»

Di tutta risposta, Connor si passa una mano tra i capelli indugiando ancora con lo sguardo su di me che, nel frattempo, mi sono alzata in piedi in preda al mio scatto d'ira.

«Non fare la santarellina, le conosco le persone come te. Io sarò anche infimo, ma tu rimani una delinquente» controbatte spietato.

«Chi sei?» ripropongo la domanda, facendo un passo verso di lui.

«Stai per caso sviando il discorso?»

«Rispondi»

«Mi chiamo Connor Atkins» mi risponde, lasciandomi senza fiato e parole.

«Cosa?» chiedo incredula, strabuzzando gli occhi dallo stupore.

Non è possibile.

«Hai sentito bene. Mi chiamo Connor Atkins. E sì Olivia, è vero che sono nato il sedici luglio» aggiunge, come se mi avesse appena letto nel pensiero.

«Perché ti fai chiamare Connor Pence, allora?»

Perché non è chi dice di essere.

Si alza dalla sedia e fa un giro attorno alla scrivania. Armeggia con un cassetto chiuso a chiave per poi poggiare sul tavolo quello che sembra essere un passaporto.

Lo guardo sospettosa: «Come faccio ad essere sicura del fatto che tu non stia mentendo anche adesso?»

Lui scrolla le spalle: «Ti tocca fidarti»

Ovviamente non mi fido. Mi mi rigiro tra le mani il libretto, studiandone la copertina verde scuro. Con un polpastrello passo i contorni del logo dorato al centro del passaporto, tastandolo minuziosamente per capire se sia o meno contraffatto. Connor mi guarda sottecchi, scrutando attentamente ogni mia espressione. Ad un primo esame, il passaporto sembra autentico.

«Hai sprecato il tuo tempo» mi dice, quando dopo averlo aperto e letto quelli che dovrebbero essere i suoi veri dati anagrafici, glielo riconsegno in mano.

La sua ultima affermazione mi rende perplessa: «Perché?»

«Perché di passaporti originali ne posso avere quanti ne voglio» risponde beffardo, mentre richiude a chiave il cassetto.

«Connor Pence esiste, è vivo e vegeto e abita a Londra» dice dopo un po'.

«E tu chi sei? Perché ti spacci per lui?»

«È una lunga storia»

«Raccontamela o ti denuncio, non m'importa delle conseguenze, di andare in galera. Non ho niente da perdere a questo punto» lo minaccio, ma non risulto abbassata credibile. Connor scoppia in una fragorosa risata che mi confonde ulteriormente.

«Olivia, non sai cosa stai dicendo. Sei così ingenua! Non pensavo rimanessi così pura, con quello che fai nel tempo libero. So così poco di te...»

Aggrotto la fronte, nervosa: «Per quanto mi riguarda, sai fin troppo di me»

«Non è vero. C'è qualcosa che ancora mi sfugge» dice in un sussurro avvicinandosi a me: «Facciamo un gioco: io rispondo alle tue domande e tu e alle mie, ci stai?»

Porta due dita sotto al mio mento e lo alza, costringendomi a guardarlo negli occhi. Scuoto leggermente la testa in segno di consenso: «A patto che sia la pura verità»

«Promesso» acconsente.

«Allora chi sei?»

Nessuno di noi due è tenuto a dare spiegazioni all' altro, ma la curiosità reciproca ci costringe ad accettare questo compromesso. Siamo un'enigma l'uno per l'altro.

Si stacca da me, mettendosi di spalle davanti alla scrivania e inizia a narrare la sua verità: «Sono nato a New York ventisette anni fa ed è lì che vivo tutt'ora. Sono figlio di un poliziotto e sebbene io ti abbia mentito su molte cose, ero sincero quando ti ho detto di mia madre. È morta per via di una grave malattia quando ero molto piccolo, non ricordo molto di lei e non ho avuto una vita facile, mio padre mi ha tirato sù da solo e non era quasi mai a casa. Sono cresciuto per strada, nel Queens. Fidati quando ti dico che tutto questo mondo patinato non mi appartiene»

«E come fai a trovarti in qui?» insisto, desiderosa di capire.

«Quando avevo diciotto anni mio padre è stato ammazzato mentre era in servizio: si occupava di una storia di traffico di droga nel Bronx. Avevo appena iniziato il college e aperto un finanziamento per permettermi di mantenermi durante l'università, ma con la morte di mio padre le cose si sono fatte sempre più difficili»

«Già» lo interrompo brevemente ma Connor riprende il suo racconto: «Non avevo più nessuno e sono stato costretto ad abbandonare il college. Un pomeriggio, mentre ero a casa, quelli della Central Intelligence Agency...»

«Aspetta!» esclamo esterrefatta.

Questa è la volta buona che mi verrà un infarto.

«Intendi quelli... della CIA?»

«Sì, Olivia. Proprio loro» conferma in un sospiro: «Mi hanno detto che mio padre stava indagando su un giro di droga grosso, in cui erano coinvolte persone molto importanti e prima che potesse sbatterli dentro, lo hanno fatto fuori. Erano venuti con il pretesto di consegnarmi la sua medaglia al valore, ma sono finiti per propormi di arruolarmi con loro. Ero solo, senza un soldo e pieno di rabbia nei confronti di questi criminali. Insomma, ero l'ideale, l'uomo perfetto: giovane, determinato e solo al mondo»

«E hai accettato...» dico con un filo di voce.

«Sì. Lavoro nei Servizi Segreti» confessa, senza più esitazione nella voce. La verità squarcia l'aria attorno a me e le gambe mi tramano non appena realizzo la spropositata entità del guaio in cui mi sono cacciata.

«Questo cosa centra con me? Perché scomodare la CIA per una storia di rapine?» esclamo, in preda al panico.

«Perché non si tratta semplicemente di rapine, Olivia, e lo sai...» mi risponde in tono ovvio.

«C'è in mezzo anche il gioco d'azzardo e delle piccole attività di spaccio...ma non mi torna comunque il tuo coinvolgimento in questa storia di piccola criminalità di quartiere, Connor» dico mettendomi sulla difensiva.

«Se fosse stato solo per questo non avrebbero chiamato noi ad occuparcene, sarebbe intervenuto l'FBI»

«Noi chi?» domando, anche se so già la risposta.

«A tal proposito» mi spiega accarezzandosi il mento: «Abigail...non è mia moglie. È il mio capo, il ruolo di mia consorte faceva parte della copertura»

Avevo sempre sospettato di Connor e Abigail, il loro era un rapporto troppo anomalo ma l'averla nominata mia ha fatto ricordare della lacuna più importante presente nel resoconto di Connor: «Perché fingi di essere un altro?»

«Harnold Pence ha conosciuto a Miami, mesi fa, Linnet Rogerway. Il Signor Pence è di Atlanta, vedovo e con un figlio di nome Connor che, come ti ho detto prima, vive a Londra ma, dettaglio importante, non ha contatti con suo padre da almeno dieci anni. Pochi conoscenti di Pence sanno di suo figlio. Fatto sta che che l'Intelligence ci ha messi in contatto con lui subito dopo la rapina a Villa Pence...»

Connor, continuando a spiegare, si stacca dalla scrivania sulla quale si era poggiato e si avvicina all'ampia vetrata del suo studio: «Harnold ha detto all'FBI di aver notato alcuni comportamenti molto sospetti nei confronti della sua compagna, Linnet. Quelli dell'FBI infatti, mentre indagavano sulla rapina, hanno individuato un collegamento tra Iago Moles e Linnet Rogerway, la quale sembra essere a capo di gravi traffici illeciti a livello internazionale. Tutto ciò ha richiesto il nostro intervento di spionaggio»

«Mi stai dicendo che Iago è collegato a Linnet, la quale è coinvolta in situazioni tali da coinvolgere la CIA?» ragiono a voce alta, processando tutte queste nuove informazioni.

«Esatto. Il nostro obiettivo primario è lei, non Iago e le rapine di quartiere. Ma non abbiamo nulla di concreto su Linnet, solamente sospetti. Il legame tra lei e Iago è l'unico fatto eclatante - ma senza prove - che possediamo. Qui entri in gioco tu»

In questi anni mi sono limitata ad eseguire gli ordini di Iago. Ogni attività illecita nella quale sono stata coinvolta si è sempre limitata al furto o al gioco d'azzardo, ma non mi sono mai domandata dove andassero a finire quei soldi. Ho peccato di ingenuità e so già che pagherò il doppio delle conseguenze.

Connor distoglie lo sguardo dalla vetrata e lo porta su di me, guardandomi con aria affranta: «Ti ho studiata e osservata per mesi, quel tanto che bastava per capire che eri tu l'anello debole della catena. Ed è per questo che le nostre strade si sono incrociate. Sapevo che per ottenere le prove che cerco avrei dovuto puntare su di te»

«Io...tu...mi fai solamente schifo» balbetto.

Connor mi ignora, è un fiume in piena, non mi da neanche il tempo di metabolizzare tutte le verità che sta spiattellando: «Harnold non parla volentieri di suo figlio. Linnet ne è al corrente, ma non lo ha mai visto. Secondo noi, si è messa con Pence solo per sposarlo e riciclare denaro sporco nelle sue grosse aziende. Abbiamo colto l'occasione dell'apertura della nuova filiale per presentarmi a Linnet come il figlio di Harnold e per indagare più da vicino sul suo conto, direttamente dall'interno di Villa Pence. Sono dovuto diventare vicedirettore dell'H.P. Un ruolo adatto a me, dato che prima di abbandonare il college studiavo Economia. Abigail mi ha scelto anche per questo. E poi, quando ho capito che eri tu la persona giusta da seguire per ottenere informazioni circa Iago e Linnet, ho avuto la poco brillante idea di conoscerti piuttosto che seguirti e indagare di nascosto su di te...e ti ho assunta»

Connor riprende il suo monologo, rivolgendo lo sguardo al panorama esterno: «La collaborazione tra Linnet e Iago è segretissima. Santiago è diventato un nostro collaboratore, siamo partiti da lui. È stato lui a farmi entrare alla bisca quella notte, ricordi?»

«Era lui di guardia all'ingresso» constato, scioccata. Ecco come ha fatto ad aggirare la sorveglianza. Avrei dovuto capirlo subito.

«Santiago, più che altro, è servito a illuminarci sul rapporto speciale ti lega a Iago»

A quelle parole, una smorfia di disgusto mi si dipinge sul viso: «Lo conosco da quando ero bambina, per via di mia madre ma...a parte ricattarmi non c'è mai stato niente di speciale»

«Che tu ci creda o no, sei tu il suo punto debole. Non ti torcerebbe un capello»

Ripercorro mentalmente e guardo sotto una nuova luce tutto il trascorso tra me e il mio capobanda e sono costretta a convenire con Connor quando mi dice che, nei limiti del suo essere un spietato criminale, nei miei confronti Iago è sempre stato abbastanza malleabile e tollerante.

«E quindi?» sbotto irritata da questa assurda constatazione.

«Eri l'unica che potesse arrivare a lui»

«Non sei comunque riuscito ad ottenere niente da me» osservo soddisfatta.

Connor è un fiume di parole che rimette in ordine i pezzi mancanti: «Quando cercavi disperatamente un lavoro dopo l'ultimo colpo, siamo stati noi a far recapitare di nascosto alla tua amica Martha i giornali con l'annuncio di lavoro alla H.P. Il nostro non è stato un incontro casuale, io dovevo conoscerti. Al nostro primo incontro però sei sfuggita via e sono dovuto venire di persona a casa tua a offriti un lavoro. Sapevo che lo avresti accettato ma non mi aspettavo di trovarmi dinanzi una persona così ostinata e quel nostro breve colloquio è stato il primo dei tanti incontri che ho avuto con te a farmi, per la prima volta in vita mia, distogliere lo sguardo dall'obbiettivo finale. Il momento esatto in cui ho varcato la soglia di casa tua coincide con quello in cui è iniziato ad andare tutto all'aria»

Il fatto che mi abbia trovata senza avere il mio indirizzo di casa, le assurde modalità con le quali sono stata assunta, il suo fare amichevole nei miei confronti sin da subito: pensavo fossero solamente coincidenze, ma in realtà faceva tutto parte di un piano ben elaborato.

«Quella volta con Bishop, cercavo solo un contatto con te, ma è successo tutto tranne quello che speravo. Sono stato travolto da te, dimenticando quello che dovevo fare. È vero: non sono mai riuscito a persuaderti in alcun modo, Olivia, mai»

Rimango in silenzio con le lacrime che ricominciano a scorrere lente. Tutto ciò che abbiamo avuto - qualunque cosa fosse - era un'illusione, un pretesto per arrivare da tutt'altra parte.

La mia delusione non ferma il suo soliloquio: «Per quanto riguarda il resto, come ti dicevo, Connor Pence ha una moglie a Londra e per non destare sospetti era importante che ne avesse una anche qui. Abigail ha interpretato quel ruolo. Nessuno ha mai visto i coniugi Pence qui, dato che Connor era un bambino quando è andato via da Atlanta. Tutto questo ha giocato a nostro favore»

«La storia che mi hai raccontato a cena, quella sera, era la storia di Connor» realizzo, come un'epifania.

«Sì, cercavo un modo per dirti di mia madre e ho sfruttato questa analogia che ho con Connor Pence. Abbiamo molte cose in comune oltre il nome. L'unica differenza tra noi è che lui odia sua padre, io no...»

«Non m'interessano più questi tuoi sentimentalismi da quattro soldi, Connor» rispondo stufa. Sono satura, vorrei semplicemente arrivare al nocciolo della questione.

«È stato un lento degenerare, ho rischiato più volte di farmi scoprire. La sera della bisca è stata la peggiore, ero venuto in quel locale - grazie alla soffiata di Santiago - per cogliere finalmente sul fatto Iago e Linnet. Ho studiato le piantine del locale per tutto la notte, mi preparavo da mesi. Avevo il timore di trovarti lì e così è stato. Mi sono distratto e mi sono sfuggiti. Infine, la polizia ha complicato tutto. Credo l'abbia chiamata Iago stesso, quando gli hanno detto dell'intruso»

«Come fai a dirlo?»

«Ci sono doppiogiochisti anche tra di noi dei Servizi, Olivia»

Faccio un sorrisetto e continuo, svelando il seguito della storia che ormai conosco. Tutto mi è chiaro: «Per salvarti in calcio d'angolo, dopo la disfatta di quella notte, e per trovare un briciolo di prove mi hai portata a Villa Pence dove mi hai fatto volutamente incontrare Linnet, giusto?»

«Sì» ammette lui: «Volevo capire se vi conosceste già»

«E cosa hai capito?» azzardo, facendo qualche passo verso di lui.

«La tua reazione...era palese» risponde piano.

Sono a pochi metri da lui. La mia figura è riflessa nella vetrata alle sue spalle: sono scalza, con le gambe nude e il volto arrossato dal pianto. Ciò che vedo è l'immagine di una persona spezzata, piegata in due dalla vita.

«Cosa ne pensi?» continua lui con un tono di voce che si fa basso e suadente: «Credi che le nostre siano solamente supposizioni o hai visto Iago Moles intrattenersi con Linnet Rogerway?»

«Sì...» mi esce in un soffio, ma solo dopo aver pronunciato tale affermazione mi rendo conto del punto di non ritorno al quale sono giunta. Vorrei tanto riacciuffare quel monosillabo che mi è appena sfuggito e tacere per sempre, ma è tardi: «Erano lì la sera della bisca, poco prima che arrivassi tu sono spariti nel retro del locale. Non avevo mai visto Linnet prima, ma a colazione la mattina dopo ho capito chi fosse realmente quella donna. Non volevo crederci, per questo sono fuggita da casa tua e ti ho evitato. Ho avuto seriamente paura, per tutto questo tempo ho creduto che tuo padre - quello finto - fosse succube di quella donna o, perlomeno, finito in un brutto giro»

Connor coglie la palla al balzo, illuminandosi: «E sapresti portarmi da loro?  Tu conosci Iago, hai un ascendente su di lui. Potresti combinare un incontro!»

La sua voce è ridotta un sussurro accompagnato dal rumore dei passi che compie verso di me. Il suo corpo così pericolosamente vicino mi fa trasalire: «Non è così che otterrai ciò che vuoi, Connor Atkins»

«Non fare così, Olivia. Ti sto chiedendo di collaborare, come con Santiago. Sai cosa significherebbe questo per te? Una pena ridotta, poter rivedere presto la tua sorellina, andare avanti con la tua vita senza più il timore di venire scoperta. Puoi buttarti tutto alle spalle, devi solo aiutarci».

Porta una mano sul mio volto, come per accarezzarlo, ma sfuggo repentina dalla sua carezza.

«Ormai hai ammesso di averli visti insieme, dovresti andare fino in fondo» continua lui, tentandomi.

Le sue parole scatenano una rabbia cieca a lungo sopita dentro di me: «Io non ho ammesso proprio niente, Connor. Sai che c'è? Sono stufa dei ricatti. Sbattimi in galera, non m'interessa. Preferisco il carcere al fidarmi di nuovo di un manipolatore come te. Ti rendi conto che sei arrivato a portarmi a letto solo per raggiungere i tuoi scopi? Hai finto per tutto il tempo e io dovrei anche aiutarti? Sbagli di grosso, rinchiudimi dentro ma sparisci dalla mia vita!»

«Pensi sia così facile?» risponde facendo un sorrisetto e cacciando fuori qualcosa dalla tasca dei pantaloni. Ne estrae una piccola scatoletta quadrata e quando preme un pulsante, la mia voce registrata inizia a uscire fuori dallo strumento: "Erano lì quella sera, poco prima che arrivassi tu sono spariti nel retro del locale. Non avevo mai visto Linnet prima, ma a colazione la mattina dopo ho capito chi fosse realmente quella donna..."

Mi ha registrata. Ha le prove che voleva.

Vado per parlare, inorridita da questo suo ultimo empio gesto, ma lui mi afferra per le spalle e comincia a sussurrarmi all'orecchio velenoso:

«Se aggiungo anche questa registrazione alla lunga pila di prove contro di te che ho nel mio ufficio, non credo che il giudice sarà clemente. Ti conviene collaborare. Lo dico per te, Olivia. Sai cosa comporterebbe ai fini del processo il tuo nome associato a quello di Moles e Rogerway? Significherebbero minimo dieci anni di prigione, anche se dimostri di non essere direttamente coinvolta nel loro sodalizio criminale. Il giudice sarà molto duro nei tuoi confronti perché, mia cara, non è di un furto di caramelle che stiamo parlando. Moles e Rogerway stanno trafficando armi per fomentare un colpo di stato in Bahrein» urla l'ultima frase mollando la presa dalle mie spalle e allontanandosi di scatto da me.

Un colpo di stato? Finalmente mi spiego il coinvolgimento dei servizi segreti. Se quelli che ho avuto fin ora erano solamente grossi problemi, questi sono guai seri.

Nella stanza, all'improvviso una voce squillante fa irruzione, destandomi dallo stato di trance in cui sono caduta dopo quest'ultima confessione.

«Cazzo, Connor quanto ci hai messo?» domanda la voce di Abigail, mentre entra nello studio seguita da...Maurice.

Punto un dito tremante verso il nuovo arrivato: «A-Anche tu...?»

«Si, bambolina. Connor iniziava prenderla per le lunghe, perdonami per ieri sera ma volevo solo spronare il mio amico» risponde Maurice, scrollando le spalle.

Che schifo.

Abigail prende subito in mano la situazione, avvicinandosi a Connor. Cammina per la stanza fluttuando nel suo soprabito scuro: «Allora Atkins, hai tutto?»

«Sì, ho registrato. Abbiamo la prova che ci serviva» ammette, posando il registratore nelle mani della donna.

«E di lei che mi dici?» gli chiede lei mentre s'intasca il registratore nell'impermeabile scuro.

«Non vuole collaborare...per ora» spiega Connor.

Maurice, che nel frattempo si è seduto sulla scrivania e giocherella con una penna biro, rotea gli occhi all'indietro: «Bambolina, non sai in che in guaio ti stai cacciando allora»

«Procedi, Maurice» gli ordina secca Abigail e il biondo scende dalla scrivania con calma. La sua apparente tranquillità nei gesti m'inganna al punto tale che non mi accorgo del fatto che Maurice è apparso improvvisamente alle mie spalle, pronto ad afferrarmi per le braccia.

Cerco di divincolarmi, mentre nella stanza riecheggia la voce di Connor che protesta:  «No, aspettate! Possiamo ancora convincerla!»

Il suo capo, lo interrompe freddamente: «Non insistere Connor, non facciamo la carità. Abbiamo le prove, lei non ci serve più»

Nonostante ci metta tutta la mia forza nel cercare di liberami dalla presa di Maurice, questo mi atterra, facendomi atterrare di faccia sulla moquette grigia. Mi blocca premendo un ginocchio contro le spalle e mi porta i polsi dietro la schiena per farci passare attorno qualcosa di freddo e metallico: manette.

Così immobilizzata riesco a malapena ad alzare il collo. A pochi centimetri dalla mia faccia, si erge in tutta la sua statura Abigail, che guardandomi dall'alto sentenzia: «Per il potere conferitomi dalla legge, la dichiaro in arresto. Ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà essere e sarà usata contro di lei in tribunale. Ha diritto a un avvocato durante l'interrogatorio. Se non può permettersi un avvocato, gliene sarà assegnato uno d'ufficio»

Poi si gira, rivolta ai suoi colleghi, e li comanda risoluta: «Portiamola via»

Un panno di stoffa mi viene premuto sulla bocca e sul naso e un odore acre m'investe le narici, annebbiandomi la mente. Sento i sensi abbandonare il mio corpo e il buio fare da padrone nel caos calmo della mia mente.

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