OLIVIA

By makebaba

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Avete presente la ragazza introversa e un po' sfigata che va a lavorare per il ricco direttore di un'azienda... More

Elenco dei personaggi
Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo IX
Capitolo X
Capitolo XI
Capitolo XII
Capitolo XIII
Capitolo XIV
Capitolo XV
Capitolo XVI
Capitolo XVII
Capitolo XVIII
Capitolo XIX
Capitolo XX
Capitolo XXI
Capitolo XXII
Capitolo XXIII
Capitolo XXIV
Capitolo XXV
Capitolo XXVI
Capitolo XXVII
Capitolo XXVIII
Capitolo XXIX
Capitolo XXX
Epilogo
Ringraziamenti

Capitolo VIII

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By makebaba

Fisso il televisore passivamente. Una vecchia signora della tivù sta spiegando ai telespettatori come cucinare del pollo alle mandorle. Il pigiama, le ciabatte, la mia postura scomposta e il calice di vino che ho in mano la dicono lunga circa il mio umore attuale. È tardi e fuori la pioggia battente è l'unico rumore che sento, oltre alle voci provenienti dal televisore. Prendo dal tavolino il mio sacchetto di patatine, decisa a fare schifo. È una settimana circa che me la passo così: per la precisione da quando sono fuggita a gambe levate dall'appartamento di quell'idiota di Connor Pence.

Mentre mastico voracemente una patatina mi abbandono per l'ennesima volta al ricordo di quella assurda giornata. Prima la sua vicinanza, poi il mio pronto cedimento alle sue attenzioni e, infine, l'amara verità: ero stata il passatempo di un ricco marito annoiato con la moglie in vacanza.

"Abigail" ha detto di chiamarsi. Mi ha squadrata da capo a piedi ma non ha chiesto alcuna spiegazione al marito. È abituata o voleva comportarsi da signora evitando plateali sceneggiate dinanzi a me? Non l'ho ancora capito.

Quando sono corsa a nel soggiorno per prendere il braccio mia sorella e precipitarmi fuori, Connor mi ha inseguita, ignorando la moglie immobile sul ciglio della porta. Ha anche cercato di fermarmi mentre raccoglievo la mia roba, ma è stato inutile. Non sono più interessata alle sue sciocche manfrine e pongo zero interesse nelle scuse che avrebbe potuto rifilarmi. Abigail non ha battuto ciglio. Si è limitata ad osservarmi sloggiare da casa loro. Niente urla, solo una punta di sarcasmo quando mi ha vista sfilare lungo il corridoio con in braccio mio sorella: «Vedo che ti sei fatto la famigliola felice in mia assenza» ha commentato, rivolta verso suo marito. Lui non l'ha minimamente considerata, piuttosto tentava di bloccarmi afferrandomi per un braccio. Che faccia tosta. Mi sono liberata dalla sua presa con la forza e sono fuggita via senza dire una parola. La mia reazione ha parlato per me.

Avendo assimilato bene l'accaduto, alla fine, sono pure contenta di essermela filata e di non aver più interagito con Pence. Stavo entrando nella ricca e annoiata vita di gente facoltosa che si sente in diritto di interferire in quella altrui solo per sfizio, per dare un senso a delle giornate vuote.

Eppure, mi era sembrato così sincero a cena: si era aperto con me. La mia mente cede sempre su questo punto, quando arriva a questa fase del ragionamento. M'inceppo e cerco attenuanti ma poi penso al fatto che sarà stata sicuramente una di quelle tecniche che i viscidi come lui usano per rimorchiare.

Puntano tutto sul loro passato doloroso, ammesso che ne abbiano mai avuto uno. Il mio è stato un vissuto doloroso e mi detesto per avergli rivelato così tanto di me.

Mi concentro sul ticchettio dell'orologio e guardo l'orario: le 19.30. Sbuffo e mi rigiro nella coperta. Un'altra giornata conclusasi nell'ozio più totale, un'altra settimana orribile.

A lavoro ho fatto tutto il possibile per evitarlo, sono uscita fuori per svolgere delle commissioni ogni volta che potevo. Michael mi ha detto che mi ha cercata più volte nel mio ufficio. Non mi sono mai fatta trovare. Cosa spera di ottenere? Pensa davvero che io sia così sprovveduta? Li conosco bene gli uomini e quelli come lui non mi sono mai piaciuti.

Vago con la mente al ricordo dell'espressione dispiaciuta di Micheal quando gli ho raccontato dell'accaduto: «Tesoro, prima di uscire con ragazzo devi sempre chiedere consiglio a me. Il signor Pence poi! Lo sanno anche le piastrelle dell'ufficio che è sposato con una ricca ereditiera di Miami!»

Ogni giorno che passa mi sento sempre più stupida, ingenua, imbarazzante. Accartoccio il sacchetto, ormai vuoto, di patatine e lo butto sul tavolino ricoperto di briciole. Riempio un altro calice di vino bianco e lo sorseggio, mentre ripenso con livore al viso di Connor Pence.

È il campanello a distrarmi dai miei pensieri. Mi stiracchio sul divano e poi vado ad aprire la porta. 'Chi diavolo è?' impreco nella mia mente. Spalanco la porta e mi ritrovo davanti Iago. Non riesco a trattenermi dall'accoglierlo con uno sbuffo e con gli occhi che ruotano verso l'alto: «Iago, ti avverto: non è giornata»

Entro in cucina con lui che mi segue: «Lo vedo bambina, hai un aspetto orribile»

È avvolto in un lungo cappotto nero e si è tagliato la barba corta. Ha accorciato anche i suoi capelli in un taglio maschile più elegante e meno da galeotto.

«Ti sei dato una ripulita, eh?» lo esamino alzando un sopracciglio.

«Cosa che dovresti fare anche tu» risponde secco e lanciando un'occhiataccia alla mia trasandata mise da casa.

«Si può sapere cosa vuoi?» rispondo sbuffando, mentre entrambi prendiamo posto accomodandoci al tavolo della mia cucina.

«Dov'è Claire?» mi chiede ignorandomi del tutto e guardandosi intorno, alla ricerca di mia sorella.

«Sta' tranquillo. È in buone mani. L'ho lasciata da Martha e Sam questo pomeriggio»

«Non sei in grado di occupartene tu?» mi rimprovera.

«No» ribatto seccata.

«Lo vedo»

Si porta una mano sul viso e si accarezza la barba: «Ho garantito per te col giudice non voglio altri problemi, tratta bene la bambina»

«È quello che faccio ogni giorno, Iago»

Il fatto che lui - un avanzo di galera - avesse garantito per me col giudice minorile circa l'affidamento di Claire, poteva suonare abbastanza ridicolo. In realtà, la sua criminalità non conosceva limiti. Dio solo sa le cose che aveva contro quel povero malcapitato di un giudice per costringerlo a firmare la mia richiesta di affido. Non avevo le carte in regola per prendermi cura di Claire, non avevo un lavoro, nè un conto in banca: ma mi avevano comunque concesso l'affidamento. Merito di Iago. Non appena aveva saputo della scomparsa di mia madre si era dato da fare per aiutarmi con il Tribunale dei Minori. La mia assunzione alla H.P Editorials aveva contribuito a tenere a bada gli assistenti sociali che, nonostante l'affido concessomi dal giudice, continuavano a starmi con il fiato sul collo. Una situazione piuttosto scomoda per me, che vantavo di vari atti illeciti nel mio trascorso, e per il resto della banda. Per questo, Iago avevo acconsentito al mio nuovo lavoro facendo meno storie del previsto.

«Ho saputo che devi pagare la retta del nido di Claire» esordisce Iago dopo un breve silenzio.

«E tu come lo sai?»

«Io so sempre tutto, dovresti esserne abituata» dice mentre apre il cappotto e fruga nella tasca interna.

«Allora, vuoi rispondermi?»

«Sì. Devo pagarla ma non ho ancora ricevuto la mia paga mensile. Penso che chiederò all'asilo di...posticipare la scadenza»

«Cosa che hanno già fatto il mese scorso e che non rifaranno. Sei indietro con i pagamenti, ammettilo»

Sbuffo, guardandolo male: «Ho chiuso. Non m'interessa cosa stai per...»

Lui sfila dal cappotto una mazzetta di banconote verdi, tenute insieme da un elastico e la poggia sul tavolo. Rimango in silenzio ma so già cosa significa.

«Tu non fai mai niente per niente, Iago»

«Ti stimo proprio perché sei cosi perspicace bambina» mi dice lui fissandomi intensamente.

«Non voglio più rubare»

«Chi ha parlato di rubare?» mi fa alzando un sopracciglio: «Ho solamente bisogno di quell'altra tua...dote magica»

Alzo gli occhi al cielo, non appena realizzo con precisione cos'è che vuole: «Un'altra bisca?»

«Proprio così. Mi serve un banco per il tavolo di blackjack e nessuno è più fortunato di te con le carte»

«Ma non puoi mettere Margarita al tavolo con il mazzo truccato?» cerco di svincolare.

«Non posso. Ci saranno dei facoltosi clienti russi e si sa che i russi sono particolarmente celeri nel chiarire le dispute con...le pistole. Non voglio problemi domani sera, devo chiudere degli accordi importanti»

«Domani sera?»

«Esatto. Domani sera. Che mi dici? Puoi pagarti subito la retta con questi» mi indica la mazzetta e aggiunge: «E se sei brava nel non farmi perdere soldi, potrei aggiungerne...un'altra»

Ancora una volta è stato astuto al punto tale da sfruttare la mia prima debolezza per costringermi a fare ciò che vuole. Purtroppo di debolezze sono piena e inizio a credere che, alla fine dei conti, non mi liberò mai di lui.

Sarà la poca lucidità per via dell' ultima settimana o il fatto che ho passato tutto il pomeriggio a scolarmi una bottiglia di Chardonnay che mi fa accettare passivamente la sua infima richiesta. Lo fisso con occhi vuoti e arrossati e gli faccio cenno di sì con la testa.

«Sei fantastica, bambina. Vedrai che sarai bravissima. Ti aspetto domani. Solito posto. Solita ora» dice alzandosi dal tavolo.

Si avvicina a me, lasciandomi un bacio sui capelli e mi sussurra all'orecchio: «A proposito di darsi un ripulita... non scherzavo prima. Renditi presentabile domani sera»

Alzo gli occhi e li punto nella sue iridi nere, un sorrisetto mi si dipinge sul volto: «Vedrai».

Niente da fare: ci sono cascata di nuovo.

💎

Il locale dove si terrà la bisca clandestina si trova nascosto nel retro di un anonimo bar di periferia. Con ai piedi dei sandali con il tacco neri, attraverso a passo spedito il bar, scatenando i sorrisetti e i richiami maliziosi dei clienti seduti al bancone. Li sorpasso senza degnarli della minima attenzione, scuotendo i miei lunghi capelli scuri. Per l'occasione li ho lisciati. Li porto dietro le orecchie, per mettere i mostra i miei vistosi orecchini dorati.

Sì, ho fatto le cose in grande.

Scosto la tendina del retro del locale e scendo gli scalini bui di un seminterrato in pietra.

Quando arrivo alla fine, svolto a sinistra, attraversando una porticina ad arco coperta da un tendina: mi ritrovo in un disimpegno, arredato in maniera meno trasandata dello scantinato che ho percorso per raggiungerlo. Santiago, il mio ex-compagno di banda, è lì dentro di guardia. Una scena a cui sono particolarmente abituata: controlla i clienti e poi li fa entrare, con la pistola ben celata sotto la maglietta nera.

«Santiago» lo saluto, richiamando la sua attenzione.

«Oh, Olivia. Non ti aspettavo» mi dice.

È sorpreso di vedermi lì sotto.

«Iago» spiego «Mi ha chiesto di fare il banco»

«Chi meglio di te»

Si scosta di lato e mi lascia libero l'accesso ad un secondo portone di legno. Fa scattare la serratura ed entro. Il vociare e la musica di quella stanza, insonorizzata all'esterno, mi risucchia dentro. Il fumo delle sigarette annebbia l'aria dell'enorme salone, caratteristico per via della tappezzeria rossa e per le luci soffuse. Sul fondo del locale, cosparso da tavoli da gioco affollati, c'è un enorme piano bar dove la gente è seduta consumare alcolici. Con la coda dell'occhio scorgo i divani e le poltrone in stile vittoriano ai lati della sala, dove si appartano giovani donne e - poco raccomandabili - uomini in giacca e cravatta. Non sono turbata, se mi chiedessero dove sono cresciuta risponderei: qui dentro.

Una mano mi tocca la spalla nuda, voltandomi, rivolgo un sorriso di circostanza all'autrice del gesto: «Margarita» la saluto.

«Olivia, ti stavo aspettando. Iago mi ha avvisata...» mi dice torturandosi una ciocca ribelle sfuggita alla sua elaborata acconciatura. Ah, Margarita: non ci siamo mai tenute granchè in simpatia durante i nostri trascorsi con Iago, eppure, rieccoci qui.

«Vieni con me, ti ho fatto preparare il tavolo» aggiunge.

«Grazie, Mar» rispondo seguendola, mentre lei mi fa strada tra i tavoli del salone. È molto bella nel suo lungo vestito nero e con quei suoi capelli ramati acconciati in quel modo. Mi indica il mio tavolo e mi metto subito all'opera, mentre lei ritorna all'ingresso ad accogliere i nuovi arrivati.

I clienti iniziano a sopraggiungere a frotte, tutti impazienti di giocare con me. Pochi sono fortunati. La fortuna è una dea bendata, ma nel mio caso - solo quando si tratta di giocare a blackjack - ci vede benissimo. La sala è un via vai di gente, dalle casse suona una musica jazz d'atmosfera, tutti sembrano divertirsi o stringere affari tra banconote, pile di fiches e bicchieri di scotch sparsi un po' ovunque su quei tavoli.

Quando siamo a circa metà serata, Iago finalmente si avvicina alla mia postazione per controllare. Mi osserva giocare per qualche minuto e appena concludo la mano, mi si avvicina per dirmi piano: «Vedo che te la stai cavando bene»

«Avevi dei dubbi?» rispondo ostentando sicurezza. Lui poggia il bicchiere di scotch sul mio tavolo e mi scosta una ciocca di capelli dietro l'orecchio: «Vedo che ti sei rimessa in forma. Brava.»

Riafferra il bicchiere congedandosi e s'incammina verso il piano bar, lanciando qualche occhiata vigile ai suoi scagnozzi mentre attraversa il locale. Non appena si è staccato da me, ho ripreso a respirare regolarmente. Lavoro con lui da anni, so che non mi torcerebbe un capello ma è talmente intimidatorio. È questo il suo fascino e la sua più grande ricchezza. La sua figura inquietante e il suo modo di manipolare le menti sono ciò che lo ha portato fin qui. Mio malgrado, ovviamente.

Lo vedo accogliere una sofisticata signora bionda all'ingresso del locale e ordinare con lei al bar, per poi sparire -entrambi- in una sala retrostante. Non sono mai entrata lì. Non ho mai avuto il privilegio, se così si può chiamare, di essere ricevuta lì dentro ma posso senza dubbio affermare che quello sia il suo studio e forse - e dico forse - anche il suo caveau personale. È tardissimo, sono passate circa tre ore da quando ho iniziato a giocare, ma questi uomini non sembrano stancarsi. Ho le gambe che iniziano a cedere, stanche di reggersi sui tacchi. Una mano mi cinge le spalle nude, lasciate scoperte del mio tubino rosso. Evan, un altro membro della banda.

«Olivia» dice sussurrandomi da dietro le spalle, distraendomi dalle carte: «Hai da fare dopo?»

«Sì» mento. Ci mancava solo lui.

«Peccato. Potevamo divertirci un po'...come ai vecchi tempi. Sei incantevole questa sera, te lo hanno già detto?» continua lui, accarezzandomi la spalla.

«Facciamo che rimangano vecchi, questi tempi?» dico mentre ripulisco l'anziano giocatore difronte a me. In una manche avrà perso quarantamila dollari. Scosto bruscamente la mano di Evan dalle mie spalle, poggiandogliela con forza sul tavolo. Non voglio essere toccata da lui.

«Peggio per te» mormora, sprezzante.

Santiago, di ronda a pochi metri da noi, lo richiama e lui, fortunatamente, si allontana da me. Perché certi uomini devono essere per forza così viscidi?

Un'altra schiera di giocatori si presenta al mio tavolo da gioco, sono talmente sfinita dalla ripetitività di quella serata che non li guardo neanche in faccia. Come un'automa distribuisco loro le carte. L'unica cosa che degna di un minimo della mia attenzione è la coppia di carte di un giocatore: ha un asso e una regina di cuori. Ventuno, cazzo. Mostro le mie carte: Ventitré. Ho sforato. Per la prima volta - in tutta la serata - ho perso clamorosamente.

«Complimenti, signore» dico, alzando gli occhi per congratularmi con il vincitore. Mi rendo conto che è la prima volta che lo guardo per davvero. Il cuore sembra potermi uscirmi dal petto da un momento all'altro: ho appena perso contro Connor Pence.

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