OLIVIA

By makebaba

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Avete presente la ragazza introversa e un po' sfigata che va a lavorare per il ricco direttore di un'azienda... More

Elenco dei personaggi
Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VII
Capitolo VIII
Capitolo IX
Capitolo X
Capitolo XI
Capitolo XII
Capitolo XIII
Capitolo XIV
Capitolo XV
Capitolo XVI
Capitolo XVII
Capitolo XVIII
Capitolo XIX
Capitolo XX
Capitolo XXI
Capitolo XXII
Capitolo XXIII
Capitolo XXIV
Capitolo XXV
Capitolo XXVI
Capitolo XXVII
Capitolo XXVIII
Capitolo XXIX
Capitolo XXX
Epilogo
Ringraziamenti

Capitolo VI

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By makebaba

Vedo il porto allontanarsi, piano piano, metro dopo metro dalla costa. La barca del signor Pence è un elegante barca a vela, dall'aspetto minimalista ma di classe. Mi stringo alla ringhiera mentre osservo il veliero disegnare scie bianche sull'acqua dell'oceano.

Mi volto lentamente e noto Connor darsi da fare nella cabina di comando. Si è tolto la giacca ed è rimasto solamente con la camicia bianca: la porta arrotolata sui gomiti, il vento gli arruffa i capelli. Vedo la sua fonte corrugarsi, pensierosa, sui tasti e i pomelli dei comandi.

«Va tutto bene?» domando di getto.

«Uhm, ho inserito le coordinate che mi ha dato il signor Bishop. Tra un'ora dovremmo averlo raggiunto ma c'è questa spia che...»

Mi avvicino al ponte di comando e noto una spia luminosa sul monitor accedersi e spengersi ad intermittenza.

«È la spia della sicurezza» spiego, mi viene in maniera naturale.

«Cosa?»

«È la spia della sicurezza signor Pence, deve avvicinare il suo telecomando wireless al monitor»

«Ma io l'ho fatta partire manualmente»

«Appunto. Sta per scattare l'allarme»

Pence mi studia per qualche secondo con un'espressione sospettosa. Sostengo il suo sguardo, fingendo disinteresse, ma so di aver azzardato. Non dovevo dare nell'occhio.

Si allontana da me per andare a frugare nella sua ventiquattrore. Quando ritorna, ha in mano un minuscolo telecomando: lo avvicina al monitor e la spia si disattiva immediatamente. Come non detto: un giochetto da ragazzi.

«Come fai a conoscere così bene le barche?» mi domanda. Aver appurato che la mia teoria funziona, deve aver suscitato la sua curiosità.

«Me lo ha insegnato il mio patrigno» taglio corto, dicendo la prima cosa che mi passa per la mente.

«Capisco» si limita a rispondermi lui e torna a monitorare l'andamento della sua elegante imbarcazione, concentrandosi sui radar.  Effettivamente, dopo poco più di un'ora, la barca di Jill Bishop si palesa dinanzi ai nostri occhi. In confronto alla signorile vela del signor Pence, quella di Bishop assomiglia più che altro ad un peschereccio.

«Tu aspetta qui» mi dice Connor da dietro la mia spalla. È apparso all'improvviso, mentre scorgevo l'orizzonte in cerca di Bishop. Le sue parole mi provocano un leggero sussulto.

«Come farai a salire sulla sua barca?» gli domando.

«Semplice, userò la moto d'acqua»

La nostra barca si ferma finalmente in un punto ad una cinquantina di metri dalla scialuppa trasandata di Bishop. La mia domanda - su come raggiungerlo fin lì - mi sembrava più che lecita. Passa poco quando una volta rimasta sola sul ponte, vedo Pence, in tutto il suo splendore, allontanarsi sulla moto d'acqua e raggiungere il battello-che-ce-l'ha-fatta di Bishop. Sono lieta di vederli stringersi la mano e, dopo qualche convenevole, intravedo l'anziano Bishop chino a firmare delle carte.

Finalmente, la giornata sta per concludersi. Non faccio in tempo ad elaborare la sensazione di sollievo quando, in lontananza, scorgo il signor Pence sbracciarsi, gridando nella mia direzione: «BOWLS!»

«SIGNOR PENCE!» urlo di rimando.

«Abbiamo dimenticato un fascicolo. venga qui a portarmelo»

Mi guardo intorno, disperata e incerta sul da farsi, faccio un cenno di approvazione al mio capo alzando i pollici. In realtà, non ho idea di cosa fare. Afferro i documenti e scendo dal ponte per salire sulla moto d'acqua e raggiungerli. Premessa: non ho mai guidato una moto d'acqua prima d'ora. Tuttavia, seppur maldestramente, riesco a montarci sopra. Impreco più di una volta.

Dai, Olivia – cerco di farmi coraggio – Funzionerà come una moto normale. Allora vediamo...questo deve essere l'acceleratore?

Premo un tasto a caso e la moto parte di scatto, ad una velocità pazzesca. Mi coglie di sorpresa e passano pochi secondi prima che io perda definitivamente l'equilibrio. Mi sento scaraventare bruscamente in acqua e affondo sempre più giù, sopraffatta dalla massa d'acqua salata. Altra premessa: non so nuotare. L'acqua mi circonda e cerca di spingermi sú ma il terrore mi fa dimenare, trascinandomi verso il fondo. Il rumore sordo dell'acqua, che mi prosciuga gli ultimi resti di ossigeno dai polmoni, è l'ultima cosa che sento prima di sprofondare nell'incoscienza. Avverto due braccia che mi tirano sù, poi null'altro, solo buio.

«Signorina Bowls? Dannazione! Olivia!» la voce spaventata di Connor è il primo suono che percepisco e che mi fa rinvenire. La prima cosa che vedo, invece,  è la sua figura: è totalmente fradicio e chino su di me, con gli occhi velati di terrore. Mi scuote ancora, afferrandomi per le spalle e posandomi sulle sue ginocchia: «Ti prego, Olivia!»

Tossisco. La salsedine mi brucia la gola. Sputo fuori acqua. Nello slancio che mi do' per rialzarmi, mi aggrappo alla sua camicia bagnata.

«D-d-dove sono?» balbetto con la voce che mi trema mentre brividi di freddo scuotono il mio corpo. Sento il pavimento legnoso della barca sotto di me.

«È tutto apposto, stiamo tornado a casa» mi risponde lui accarezzandomi i capelli dolcemente.

«Tieni, copriti con questa» sussurra e mi mette sulle spalle con una coperta pesante. Dopo di che, ne prende un'altra e se la mette sulle spalle anche lui, accovacciandosi di fianco a me. Non sembra lui. Ho chiaramente delle allucinazioni post-annegamento.

«Cos'è successo?» domando dopo aver fatto mente locale: la moto, lo scatto, l'acqua. Che scena raccapricciante dev'essere stata!

«Sei caduta in acqua dalla moto. Mi dispiace così tanto, non avrei dovuto chiederti di raggiungermi senza prima assicurarmi che sapessi guidarla»

«È colpa mia, sono un'imbranata»

«Sarei dovuto tornare indietro io a riprendere il fascicolo. Ti vedevo a tuo agio con i comandi prima, ho pensato che sapessi cavartela in mare. Perdonami, sono stato irrimediabilmente superficiale»

Sono una bugiarda patologica ed è lui a scusarsi con me. Mi sento malissimo: sono una persona orribile.

«Ma adesso? – gli domando preoccupata – il signor Bishop non ha firmato tutti i documenti per colpa mia!»

«Glieli invierò per posta. Pazienza. Le carte più importanti sono a posto. L'importante è che tu stia bene»

«Ho rovinato tutto» piagnucolo. Provo un sentimento di colpa misto ad imbarazzo che mi fa evitare di incrociare il suo sguardo.

«Io credo proprio di no» ribatte sconsolato, ma niente mi toglie dalla mente che in realtà lo dica solo per consolarmi.

Abbozzo un sorriso e mi concedo di fissarlo intensamente negli occhi, non m'interessa se sembro inquietante. Voglio sapere cosa pensa davvero. Lui sostiene il mio sguardo, complice e sereno. Non mi sta portando rancore. Restiamo a osservarci per un po', entrambi avvolti nelle pesanti coperte e rannicchiati vicini, sul ponte della barca. Il tramonto fa la sua comparsa in quel momento, in quel primo pomeriggio invernale. Una luce dorata illumina il mare, la costa, la barca a vela e il suo viso. I capelli scuri e bagnati che gli ricadono sulla fronte e i lineamenti perfetti  del suo viso appaiono ancora più belli illuminati dai raggi del sole che cala dietro l'orizzonte. Ai miei occhi Connor assume le sembianze di un dio greco: bellissimo ed inarrivabile. È come un quadro che non mi stancherei mai di ammirare.

«Grazie» mormoro ad un tratto.

Lui dischiude le labbra in un sorriso: «Non farlo mai più»

«Non so nuotare» ammetto.

Connor esclama sbigottito: «Sei doppiamente pazza allora!»

«Può darsi».

L'impulsività è sempre stato un mio grandissimo difetto. Un brivido di freddo mi fa tremare visibilmente, nonostante la coperta. Il vento invernale che soffia non è d'aiuto. Connor se ne accorge e mi attira delicatamente a sè: «Vieni qui, stai tremando»

Mi lascio cingere le spalle dalle sue braccia forti e muscolose. È stranissimo da realizzare, ma sono effettivamente accoccolata al mio capo. Poggio la testa nell'incavo del suo collo, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo e lui mi stringe più forte, coprendomi con la sua coperta. Le labbra di Connor sfiorano i miei capelli e ne inalano il profumo, me ne accorgo, ma decido di rimanere immobile nel suo abbraccio. Per quanto strano e nient' affatto professionale, quel gesto mi dà pace.

Restiamo in silenzio, respiro il suo peculiare profumo di vaniglia, mentre la nostra imbarcazione ci spinge verso casa con le vele spiegate. Il tramonto continua a dare spettacolo e a tingere l'acqua del mare con riflessi aranciati. È tutto così bello che, per un attimo, m'illudo che la mia vita sia un posto dove ogni cosa è al suo posto.

Mi sento quasi in dovere di concedermi il lusso di sbagliare, di fare qualcosa di inappropriato, di godere a pieno di quel calore umano. Non m'importa delle conseguenze e di quanto imbarazzante sarà staccarsi una volta arrivati, dividerci e fingere che non sia successo niente. D'altronde, che sarà mai? Voglio farmi male, fraintendere tutto, concedermi al malsano piacere dell'illusione. Tanto ho tutto sotto controllo, no?

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