2. Convocazione in Presidenza

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Giungere al castello era stata per tutti unʼemozione sconfinata, ma ancor più per chi, come Luna Lovegood, tra quelle mura aveva lottato e sofferto per un lungo anno. Era legata a Hogwarts in maniera viscerale, si sentiva a casa tra quelle spesse mura di pietra, anche se durante i primi anni era stata molto sola. Poi cʼera stato il fortunato incontro con Harry Potter, Hermione Granger, Ginny e Ron Weasley e Neville Paciock, che aveva aperto una nuova fase della sua vita, in cui il suo cuore si era scaldato al calore di un sentimento che non pensava avrebbe mai provato: lʼamicizia. Luna era considerata stravagante, anche per gli standard di Hogwarts, ma ormai non le interessava più; era bello essere se stessa e sentirsi comunque felice.

Fu con poʼ di sconcerto che aprì il messaggio consegnatole a tavola da un minuscolo elfo domestico, proprio durante il banchetto, in Sala Grande. Era una convocazione in Presidenza. Minerva McGranitt, una delle professoresse più autorevoli che avessero mai calcato i pavimenti di pietra di Hogwarts, ora nuova Preside, le chiedeva, con cortesia, di raggiungerla nel suo ufficio al termine della cena e le indicava la parola dʼordine da utilizzare.

Luna aveva sempre adorato la scala a chiocciola che saliva da sola in Presidenza. Chissà se, da quando non cʼera più Silente, lʼufficio era diverso. Sicuramente la nuova Preside aveva unʼindole differente dal suo predecessore, almeno per le parole dʼordine.

«Evanesco» disse Luna con tono incerto e i gargoyle presenti alla base della scala si spostarono di lato. Eh, no, decisamente la parola segreta non era un prodotto di Mielandia, pensò la corvonero sorridendo fra sé.

Quando la corvonero giunse sulla sommità della scala a chiocciola, però, cʼera un gran vociare! Riconobbe chiaramente una voce ben nota che si lamentava... Il professor Severus Piton! Non lʼaveva mai amato tanto, doveva ammetterlo. Troppo brontolone per i suoi gusti, finanche allʼapice del suo eroismo aveva conservato unʼapparenza austera. E adesso pareva proprio che il suo ritratto avesse pienamente conservato il suo carattere! Lo sentiva protestare così vibratamente che quasi si vergognò di allungare la mano verso il battente di legno per bussare.

Appena ebbe messo piede nella stanza, ogni voce si zittì. La bocca della Preside era tesa in una linea così sottile che non si vedevano più le labbra.

«Scusami tanto, cara. Il tuo compagno non è ancora giunto. Puoi attendere un momento, se non ti spiace? Ho una faccenda urgente da sbrigare.»

E si allontanò, così veloce da dare lʼimpressione che si fosse smaterializzata. Avrà il suo bel da fare con i Gorgosprizzi! pensò Luna. Si sentiva irrequieta, non aveva alcuna voglia di sedersi, così cominciò a girellare per la stanza. Non era cambiata di una virgola, dalla morte di Albus Silente, alla fin fine. Chissà se per nostalgia, per rispetto o per semplice mancanza di tempo per occuparsene, la stanza aveva lo stesso aspetto dellʼultima volta che ci era entrata al suo quinto anno. A parte il trespolo per Fanny, ovviamente, quello non cʼera più. Presa dalla curiosità, vagando tra i pensieri e i ricordi, dʼun tratto Luna inciampò, esibendosi nel peggior ruzzolone che potesse immaginare, ritrovandosi quasi la faccia contro la poltrona e, per giunta, smuovendo una mattonella. Stranita, quasi senza sapere il perché, la prese tra le dita. Ma subito, a terra, uno scintillio candido attirò la sua attenzione. Una fiala, con dentro un vapore traslucido. In quel momento si sentirono dei passi: era la Preside di ritorno, accompagnata dallo sguardo perplesso e curioso di Harry Potter.

Con cortesia - e un luccichio divertito negli occhi - la professoressa le tese la mano per aiutarsi ad alzarsi, ma subito esclamò: «Ma cosʼè quella?»

Si guardarono per un attimo negli occhi, poi la donna si diresse con decisione verso il pensatoio di pietra.

Luna, al contrario di Harry, non si era mai trovata a esplorare ricordi. La sensazione di essere risucchiata fu intensa, quasi pensò di cadere sullo scaffale stracolmo di bacchette magiche.

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