61. Londra babbana

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Charlie Weasley aveva imparato che le grandi città babbane come Londra potevano essere interessanti, specie se uno voleva passare inosservato. Lo incuriosiva vedere il viavai di gente senza poteri, che si ingegnava per risolvere le difficoltà: aveva decisamente preso da suo padre! Certo, non poter usare la magia quando si trovava in mezzo a loro era una scocciatura, ma quella loro birra rossa era buonissima.

E la musica poi! Molto meglio di quella magica. Ma non era lì in visita di piacere, doveva incontrare Percy ed era più indicato il mondo non magico, vista la situazione attuale. Percy era molto cambiato, dai tempi della scuola. Molto serio, come sempre, ma anche molto più concreto. Aveva abbandonato le ambizioni folli di far carriera, risolveva molti più problemi ed era molto, molto meno irritabile. Certo, era sempre pur sempre piuttosto pedante, ma non si poteva mettere il mondo a gambe allʼaria! Era, per così dire, la versione migliore di quello che era stato e, a Charlie, questo nuovo Percy andava molto più a genio. Preciso e puntiglioso, ma anche dolce e comprensivo, se necessario.

Adesso, però, era in ritardo, una cosa inconcepibile per qualunque versione di Percy mai esistita, dalla culla a quel giorno! Charlie lo stava aspettando in un pub babbano; un pub irlandese, per la precisione, i migliori. La giovane barista, colpita dal fisico prestante, dagli occhi blu e dai suoi capelli ramati, era già passata tre volte, a chiacchierare svagatamente.

«Scusa, scusa. Mi sono perso» disse il fratello piombando da lui allʼimprovviso. «E quello mi ha trattenuto fino allʼultimo secondo!»

«Birra, Perce?»

«No, devo tornare in ufficio.»

«Due birre, Jenny!»

«Charlie!» sospirò Percy, senza protestare poi troppo. Si voltò anche lui dalla ragazza. «Porta pure delle patatine, per favore! Almeno mangio qualcosa e non mi dà alla testa, accidenti.»

Se ne stettero in silenzio fino anche non fecero il primo sorso di birra.

«Allora, Perce, chi è quello che ti ha fatto tardare?»

«Quellʼidiota che lavora con papà. Simon. Non capirò mai come fa a piacergli, te lo giuro! Sarà anche competente nel suo campo, non dico di no, ma appena cambi argomento è peggio di un troll. Ma lascia perdere, non è un tema interessante! Come mai mi hai chiamato? Hai detto affari di Hogwarts e, ormai, quando sento quelle parole, mi preoccupo.»

«E fai bene. Acqua in bocca, ovviamente. Abbiamo rogne su rogne: studenti sviati, quadri confusi, tentativi di Imperio. Per di più, devo proprio chiederti di parlarmi di Simon. Cʼè una persona sospetta e non abbiamo ancora prove, ma a scuola abbiamo una professoressa River de Castillo, che pare venga spesso a Londra. Indovina con chi si incontra?»

I due fratelli si guardarono negli occhi. Erano tremendamente dissimili, eppure in alcuni momenti le poche somiglianze erano evidenti.

«La questione, allora, è seria.»

«Già. Non dirlo a mamma e papà, per ora, ma lʼultimo tentativo di Imperio lʼhanno fatto su Ginny. Se non fosse stato per Blaise Zabini, non so come sarebbe finita.»

Percy inarcò le sopracciglia.

«La serpe?»

«Oh sì! Ci puoi scommettere la bacchetta e il tuo vecchio distintivo da Caposcuola, fratellino! La nostra sorellina sta bene solo grazie a lui; se nʼè accorto, lʼha bloccata e lʼha portata in braccio di corsa fino in infermeria.»

Percy rispose con un lungo fischio, attirando lʼattenzione di un paio di sfaccendati.

«Mangiamo le patatine e facciamo un giro al parco. Abbiamo parecchio da parlare.»

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