Capitolo trentunesimo *Blaire*

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Il cuore mi martellava nel petto mentre pregavo tutti i santi del Paradiso che stesse bene.

Se gli fosse successo qualcosa... Se lui...

L'unica cosa che sapevo, era che non potevo vivere in un mondo in cui lui non c'era.

Anche se mi aveva mentito e tradito, anche se odiavo quello che mi aveva fatto.

Il mio amore per lui superava ogni cosa.

"Non ho le chiavi del suo appartamento, Luke" dissi, recuperando un po'di sanità mentale.

Dall'altro capo della linea sentii un sospiro di sollievo:

"Ci andrai, quindi? Dannazione, Blaire, grazie mille! Mi occupo io di telefonare al portiere, tu entra dall'ingresso principale e dii che sei lì a nome di Luke Walker"

"Va bene" conclusi, scattando in piedi.

Ci salutammo, lui mi ringraziò ancora e poi riattaccai.

L'ansia sembrava divorarmi da dentro: mi attanagliava lo stomaco e i pensieri, non riuscivo ad ignorare le fitte di paura alla pancia mentre mi vestivo in velocità e mi infilavo le scarpe.

Dovevo scoprire quello che stava succedendo al più presto e tranquillizzarmi, così evitai di andare a piedi e chiamai un taxi, che mi portò alla meta in pochi minuti.

Entrai dall'ingresso principale del palazzo e fui accolta da un portiere in divisa blu, che appena mi vide, si alzò in piedi.

"Buongiorno, signorina. Posso aiutarla?" mi chiese con un sorriso gentile.

Era un anziano signore ben oltre alla sessantina, con radi capelli grigi tirati all'indietro e degli occhialetti tondi poggiati sul naso adunco.

"Sono Blaire Cannon, il mio amico Luke Walker deve averla chiamata poco fa per avvisarla del mio arrivo" spiegai, ricambiando il sorriso.

"Oh, certo! Ho ricevuto poco fa la chiamata del signor Walker e sono contento che lei sia passata a controllare. È strano che il signor Newmann resti serrato a casa per giorni, solitamente esce a correre la mattina all'alba, puntuale come un orologio" esclamò, aprendo un cassetto e afferrando un mazzo di chiavi.

Non appena vide l'evidente stato di agitazione che mi pervadeva, si affrettò ad aggiungere: 

"Ma sono più che certo che starà benissimo e che le nostre preoccupazioni saranno presto smentite!"

Mi sorrise in modo rincuorante e io non potei far altro che ricambiare nuovamente con tutta la convinzione di cui fui capace.

Girò il bancone e mi si avvicinò, dirigendosi poi all'ascensore con me al seguito.

Avevo il cuore a mille mentre vedevo i numeri dei piani aumentare sul display dell'ascensore e la paura mi attanagliava talmente lo stomaco, che quando le porte metalliche si aprirono, scattai fuori e corsi verso la sua porta.

Il portinaio mi raggiunse quasi subito e, afferrato il grande mazzo, aprì la porta dell'appartamento a prima vista deserto.

"Boyd?" chiamai subito una volta entrata, cercandolo con lo sguardo.

La casa inghiottì la mia voce e mi restituì solo un silenzio che mi attorcigliò le budella.

"Boyd!" urlai di nuovo, con il panico nella voce.

Il portinaio mi toccò il braccio per richiamare la mia attenzione e mi indicò la poltrona in fondo al salotto, da dove in effetti spuntavano dei capelli scuri.

Mi precipitai verso quella direzione e il mio cuore ebbe un sussulto quando lo vidi: era abbandonato sul morbido tessuto, gli occhi chiusi e un livido violaceo sulla fronte.

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