Casino al casinò

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I gemelli non potevano essere in due luoghi diversi contemporaneamente. L'unica soluzione plausibile era o che il flash si fosse sbagliato o che fosse accaduto prima di quando lei aveva trovato i gemelli nella camera di Livvy. Eppure, ciò che aveva visto le sembrava così reale...


Livvy atterrò con un bel balzo sul terreno fuori dalla sua camera. Si erano calati per un pezzo con delle lenzuola e il resto lo avevano fatto le rune di agilità. Ty era arrivato prima di lei e la stava aspettando con uno zaino con all'interno il vecchio smoking di suo padre, Andrew Blackthorn, morto parecchi anni prima durante la Guerra Oscura.

"Hai preso tutto il necessario?" domandò Livvy al gemello. Questo annuì silenziosamente mostrandole il contenuto dello zaino. "Perfetto... che cominci la nostra serata allora!" disse lei con un sorrisino.
"Non ci conviene cambiarci qui?" domandò Ty. Entrambi indossavano la tenuta nera da lotta contro i demoni, perfetta per mimetizzarsi con le ombre. Livvy scosse la testa.
"No, non ne abbiamo tempo, lo faremo direttamente là" rispose lei.

I due shadowhunters grazie alle rune si mossero veloci tra le vie della città. Si stavano divertendo, ma sarebbero andati in un posto in cui si sarebbero divertiti ancora di più. Passando da tetto a tetto, arrivarono nel centro della città, quello più vivo durante la notte, pieno di show e cabaret. Finalmente, quando trovarono un posto di loro gradimento, si cambiarono senza essere visti da nessuno.

Ty indossava il completo nero, mentre Livvy aveva un vestito argento molto delicato ed elegante, quello che aveva preso a fare shopping con gli altri. Non avrebbe potuto indossarlo ad Idris, ma per dove stavano andando era perfetto. Dall'enorme palazzo, entravano ed uscivano molte persone, anche queste tutte eleganti. Due grandi palme si ergevano ai lati e l'insegna brillava così tanto che se fosse stata fissata per qualche istante di troppo, avrebbe provocato una brevissima cecità. A Ty quel posto non piaceva, c'erano troppe persone. Prese le cuffie dallo zaino e le indossò, alzando il volume al massimo e concentrandosi sulla mano che le stringeva la sorella, solo quello. Livvy trascinò i due dentro il locale. La scritta "Casinò" si rifletteva dall'insegna contro alcune vetrate e su tutti i bicchieri di cristallo impilati nella hall.

All'entrata due buttafuori chiesero loro dei documenti e Livvy gli mostrò i documenti falsi che avevano comprato al Mercato delle Ombre. Questi non sembrarono molto convinti, ma li lasciarono entrare comunque. I due gemelli erano le due facce di una stessa medaglia: Livvy era emozionata, euforica e affascinata da tutta quella movida notturna che c'era in quel locale; Ty invece era spaventato e agitato in modo negativo, ma teneva alla sorella e sarebbe rimasto lì per lei.

"Che ne dici se iniziamo da quel tavolo lì? Le macchinette mangia-gettoni non mi ispirano..." disse Tiberius osservando la stanza piena di persone in abito da sera. Sua sorella annuì.
"Se riusciamo a vincere possiamo anche accedere a un livello successivo... per i giocatori veri"
"Ma noi siamo giocatori veri, non facciamo certo parte di un videogioco" disse Ty un po' confuso.
"Nel senso di giocatori esperti... giocatori VIP, cosa che noi ovviamente siamo" spiegò Livvy con aria di superiorità.

Si avvicinarono al tavolo dove stavano giocando a black-jack. Grazie alle competenze matematiche di Livvy, alle rune di buona memoria e con un pizzico di fortuna, era semplice vincere. Giocando e vincendo si sentivano i padroni del mondo. Avevano la dea bendata dalla loro parte e al momento sembrava essere tutto quello che importava.

"Vogliamo accedere al livello successivo" sussurrò Livia all'orecchio del mazziere. Questo sembrò non capire, ma dopo averlo ripetuto una seconda volta e allungato una mazzetta vinta al gioco, l'uomo sembrò convincersi. Condusse i due ragazzi nell'area dei videogiochi, delle macchine a gettoni e delle roulette. Su una parete bordeaux, c'erano delle tende rosse che dovevano condurre da qualche parte. Benché sembrasse poco sorvegliata, nessuno si azzardava ad oltrepassare quelle tende.

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