3. La telefonata

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"Ed..."

Al solo udire quel suono mi si stringe il cuore.

Solo lui mi chiamava così.

Esito, a rispondergli. Non mi aspettavo una sua chiamata, non dopo quello che è successo tra noi, pensavo che non gli importasse più niente di me.

Faccio scattare la serratura della porta di casa ed entro, per starmene più al calduccio, ma non riesco a non pensarci.

Mi siedo sul divano, sfregandomi una mano sulla coscia per riscaldarmi, non so se dal freddo esterno, o da quello che provavo dentro, forse entrambi.

Noto che la sua voce è sempre la stessa, non è cambiata di una virgola, quella voce che mi aveva detto tante volte ti amo. Che falso.

Mi ero ripromesso che avrei troncato i contatti con lui, tanto che avevo anche cancellato il suo numero dalla rubrica, e qualunque altra cosa lo riguardasse.

E ora che fa? Si ripresenta così, come se niente fosse. Eh no.

A quanto pare passano svariati secondi, perchè lo sento che mi incita a parlare.

"Ed, ci sei?"

Mi chiede se ci sono, tch. Ci sono sempre stato, quando eravamo ancora insieme, ma probabilmente non si rende conto di quello che ha detto. Lentamente, il dolore che stavo provando si trasforma in rabbia, e gli parlo, cercando di non far trasparire quanto mi dispiaccia.

"Che vuoi?"

Rispondo, forse più duramente del dovuto, ma chi se ne frega.

Sento un sospiro.

"Come va?"

Già me lo immagino, appoggiato con una spalla al muro mentre mi parla al telefono. No, non devo pensarci.

"Non sforzarti di fare il carino."

Gli rispondo. Non voglio che capisca come mi sono sentito quando lui mi ha lasciato, dicendomi che aveva capito che non era la persona adatta per me, e che mi meritavo qualcuno migliore. Tsk, la classica scusa, ma che ne vuole sapere, lui, di come mi sento io?

"Vorrei parlarti."

Mi dice, con tono leggermente più dolce di quello che aveva usato prima.

"So che ho sbagliato."

Passa qualche secondo di silenzio, in cui rifletto. Ora mi dice che ha sbagliato, Dio, solo Winry sa come mi sono sentito il giorno dopo! E ora ha addirittura il coraggio di tornare indietro? No, mi spiace, ma non sono un oggetto, non sono riciclabile. Poi realizzo, non devo assolutamente vederlo, perche so che altrimenti le possibilità sono due: o lo prendo a schiaffi, oppure finirò per abbracciarlo e tornare da lui, come un perfetto idiota.

E questo non deve accadere.

"Io non voglio parlarti."

Dico infine, ma la mia voce trema, anche se in modo impercettibile, e spero solo che lui non se ne accorga, dall' altro capo del telefono.

"Per favore, Ed."

Ed eccolo di nuovo, che pronuncia il mio nome in quel modo. Che fastidio.

"Non dire più il mio nome in quel modo, e non chiamarmi così."

Solo ora mi accorgo che da quando ho risposto, non ho mai pronunciato il suo, di nome. Vabbè, poco importa, anzi, meglio così. Forse sto diventando più acido del solito.

"È importante, Ed-ward."

Si corregge, subito dopo.

"No, e non insistere. Ora buonanotte, ho di meglio da fare che parlare con te."

Detto questo, lo sento dire qualcosa, ma non gli do importanza e chiudo la chiamata, dirigendomi in camera per cambiarmi e mettermi il pigiama, infilandomi infine sotto le coperte e raggomitolandomi su un fianco.

Sarebbe stata una notte molto lunga.

Alla fine, arriva anche il martedì mattina, e la solita giornata ricomincia.

Mi sveglio, mi preparo, mi vesto, vado al bar, litigo con Jean, chiudo il bar, e torno a casa. Ecco quello che accadeva nella mia vita 6 giorni su 7, e la maggior parte delle volte, anche se non tutte, passo il giovedì sera (giorno di chiusura del locale) a casa, a riposarmi.

E oggi non è diverso dagli altri, con la differenza che quando arrivo al posto di lavoro, trovo Havoc già con la divisa, che mi scruta attentamente il volto.

"Non sciuparti a guardarmi, non c'è niente da vedere."

Passo di lungo e non lo guardo nemmeno, liquidandolo con un gesto della mano.

Quando sono pronto, lo raggiungo al bancone, e comincio a mettere in vetrina i cornetti e i classici dolci da colazione, aspettando che qualcuno arrivasse.

"Hey amico, non hai una bella cera oggi, guarda che occhiaie!"

Mi arriva una pacca sulla schiena. Ma perche deve fare così?

"Senti Havoc, lasciami stare."

Rispondo, abbastanza stanco nonostante fosse mattina.

Devo smetterla di pensare a ieri sera, maledizione! Roy se n' è andato, anzi, per la precisione sono stato io a rifiutare il suo invito, per cui non dovrei più pensarci, e preoccuparmi invece dei clienti che stanno arrivando.

Aspetto che si siedano ad un tavolo, per poi avvicinarmi e chiedere cosa avrebbero preso, tornandomene poi con due cornetti alla crema, e dicendo a Jean di preparare due cappuccini.

Tra un ordine e l' altro arrivano le 11.00, e vedo un uomo con gli occhiali da sole entrare con una donna al suo fianco. Ma perche ogni cosa intorno a me doveva ricordarmi la mia situazione sentimentale, come a rigirare il dito nella piaga?!

Quando i due si avvicinano al bancone riesco a riconoscerli, ma fortunatamente loro non mi hanno visto, perche ero a sistemare le tazzine da caffè nella lavastoviglie.

"Ma che-... no, questo è troppo."

Penso, e mi avvicino ad Havoc, prendendolo per un braccio e sussurrandogli ad un orecchio.

"Non mi sento molto bene oggi, me ne vado prima, di a Bradley che ho avuto da fare con mio fratello."

Lo osservo, serio, e al momento non volevo altro che andarmene di lì il più in fretta possibile.

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Bene bene bene, finalmente qualcosa sta cambiando, e Edward... beh, a quanto pare deve ancora fare chiarezza con se stesso.

Ci vediamo al prossimo capitolo, e lasciate un commentino, o un voto, per farmi sapere cosa ne pensate!

Fuoco e acciaio, con un pizzico di zucchero.Where stories live. Discover now