Era come se riuscisse a capire il mio dolore, i miei timori, le mie insicurezze e seppur fossi consapevole che avrebbe potuto sfruttarle a suo favore, io iniziavo a fidarmi.

Purtroppo non potevo piangere la morte di mia madre come una normale ventenne, ma interagire con Haywood e condividere il suo dolore mi aiutava in qualche modo ad affrontare il mio, come se persino il senso di colpa che provava nei confronti di Gyles fosse identico a ciò che sentivo io.

«Sai perchè ti sto mentendo?»

Avevo deciso che fosse ora di smettere con il solito gioco del gatto e del topo e di andare dritta al punto.

«No, perchè?» Haywood, che aveva appoggiato il computer sul comodino, si girò su un fianco, reggendosi sul gomito.

Sembrava interessato.

«Perchè se ti dicessi a cosa sto pensando, tu diventeresti scontroso, mi risponderesti male e io dovrei fare i conti con altri problemi, oltre a quelli che già ho.» Adesso ero appoggiata sul fianco anche io, con la mano sotto sinistra sotto il cuscino e con il braccio destro rilassato sulla vita. 

«È questa l'idea che hai di me?» Il suo tono non era ferito, nemmeno arrabbiato, solamente curioso.

«Ti ho già detto in macchina cosa penso di te.» Gli ricordai.

Mi era già costato confessarglielo la prima volta, non l'avrei ripetuto una seconda.

«Il succo è che ho ammesso di non conoscerti bene, così mi hai spiegato il tuo punto di vista e ho apprezzato e capito. Ho appreso che ti dà fastidio se io mi convinco di sapere tutto su di te soltanto perché hai deciso di fornirmi qualche dettaglio in più, perciò ho accettato il patto che abbiamo stretto in macchina.»  Ci indicai. «Ma se tu continui ad insistere, rispettarlo diventa difficile per me. Perché ti direi che ciò che mi frulla per la testa sia come potesse essere Gyles e ti arrabbieresti perché non sono affari miei. Perché ti convinceresti che io sia una curiosa del cazzo o un'impicciona che prova pena per te. Io non voglio che tu pensi questo di me.»

Terminai e ci fu un lungo silenzio.

Passarono gli attimi, i secondi, i minuti, e lui rimase lì a guardarmi, immobile e stranamente calmo.

Fu proprio in quegli istanti che provai qualcosa di diverso dal solito: le gambe non mi tremavano più, al contrario le percepivo particolarmente stabili, e il cuore non minacciava di esplodermi dal petto, anzi risultava pacato e silenzioso, tanto che per poco non fui tentata di sentirmi il polso.

Era come se fossimo ovattati nel nostro mondo e più passavo il tempo rinchiusa in quella piccola bolla, più mi sentivo al sicuro.

Riflettendoci era qualcosa di veramente ironico, pensare di essere al sicuro proprio accanto alla persona che avrebbe potuto accusarmi come complice di mio padre se solo mi avesse scoperto. 

«Edith, Edith, Edith...» Sorrise scuotendo il capo. «Hai proprio ragione a dire di non conoscermi bene. Altrimenti sapresti che, a prescindere dai modi, ti ho parlato di Gyles perchè mi andava di farlo.»

Fu come vincere la lotteria, sentirgli dire quelle parole: bello e inaspettato.

Quando mi ero presentata in lacrime davanti a casa di Haywood e dopo aver rifiutato la cena che mi aveva organizzato credevo che si sarebbe scatenata una lunga ed estenuante lite, invece eravamo riusciti a siglare un accordo di pace, anche se qualche fuoco era stato comunque appiccato.

Feci per rispondere, ma mi precedette. «Quindi se vuoi chiedermi qualcosa di cui ti ho già parlato di mia spontanea volontà, puoi farlo.»

Aggrottai le sopracciglia. Ero confusa. Gyles non era uno di quei confini che non potevo varcare?

Succederebbe Tutto - H.S.Where stories live. Discover now