3. 𝘓𝘢 𝘙𝘦𝘨𝘪𝘯𝘢 𝘥𝘪 𝘣𝘢𝘴𝘵𝘰𝘯𝘪

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- Quindi come pensi che sia andata? - Yoongi era indaffarato a tagliare alcune fette di pane stantio sul tagliere in cucina.
- Credo piuttosto bene? Sì. Certamente, non mi prenderanno mai Yoongs, dovevi vederli! Sembravano tutti dei principi, ricchi sfondati e con... -
- E con la merda sotto al naso - lo fermó suo cugino, con un tono più marcato del solito.
- Sì più o meno. È tutto ok Yoongs? - Taehyung era distrutto. Era tornato a casa solo da una manciata di minuti e Yoongi aveva cominciato a tartassarlo di domande.
Tutto, dal momento in cui era uscito da quell'efidicio troppo grande e troppo maestoso per i suoi standard, era trascorso a rallentatore. Il breve tratto a piedi fino alla stazione degli autobus, il viaggio sullo stesso autobus, con quel fetore pregno di sudore, corpi accaldati e aria chiusa.
La città di Seoul scorreva immortale sotto lo sguardo disattento di Taehyung, il quale non faceva altro che ripensare a ciò che era appena successo.
Le ombre dei palazzi piovevano sul viso crucciato del ventiquattrenne, una stupida competizione con i lampioni gialli a bordo strada che si contendevano il viso del giovane uomo. In quel momento, proprio mentre tentava di mantenere l'equilibrio dovuto alle scosse del tram, i vestiti costosi che indossava ebbero lo stesso effetto di un cappio al collo.
Quella era l'ultima possibilità che gli rimaneva, prima di essere sfrattati e buttati fuori di casa.
Al massimo poteva inginocchiarsi davanti al suo stesso orgoglio e fare la puttana per le vie della capitale, piombando nei meandri oscuri di una città che gli stava sul fiato sul collo, perché era povero, perché non era abbastanza istruito, perché non aveva un lavoro decente.
Magari i pompini a domicilio gli avrebbero permesso di campare un altro po'.
Quando tornó a casa, e si allentó il colletto della camicia dopo tutte quelle ore, il cappio alla gola persisteva, anche se meno invadente.
Taehyung respirava ancora.
- Sì Tae, sono solo stanco morto - Yoongi era ridotto pelle e ossa. Forse erano le borse sotto gli occhi a dargli un'aria ancora più debole e fragile, oppure le vene blu che emergevano dal candore della pelle. Gli occhi, tuttavia, non avevano ancora perso la loro vitalità, come se, a discapito del suo corpo in frantumi, Yoongi conservasse ancora tutta la sua testardaggine e la sua determinazione.
- E se va male Yoongs? Che faremo? - dopo una manciata di secondi di silenzio, Taehyung diede vita ai dubbi di entrambi. Non vi era certezza nella loro vita, non vi era la certezza del domani o di uno stomaco che non brontolasse per la fame.
Taehyung e Yoongi vivevano alla giornata, come gli scadenti fiammiferi della Derclive, bruciati, persi e spezzati dalla troppa irruenza della dita sulla carta vetrata. Potevano solo sperare di non essere accesi quel giorno, o il giorno dopo ancora.
Taehyung sentì il suo stomaco contorcersi e l'acquolina alla bocca nel momento in cui vide suo cugino appoggiare le fette di pane su un piatto sbeccato.
- Se va male troveremo un'altra strada Tae, come sempre. Non siamo fatti per arrenderci - Yoongi andó a sedersi accanto a lui sul divano, un corpo che si afflosció con tutte la stanchezza impressa degli ultimi otto anni. Era come guardare uno scheletro sbriciolato; i vestiti troppo grandi e troppo consunti che gli penzolavano dalle spalle scarne, i capelli lunghi che avevano decisamente bisogno di una spuntata.
- Non possiamo arrenderci ora Tae - ribadì.
- E ora mangia -

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Taehyung sorrise quando vide la ballerina di Burlesque muovere le gambe toniche sul palco lucido del Bon Ton. Indossava un body nero, con culotte e scaldamuscoli. I capelli cortissimi, tagliati poco sopra il mento, rinvangava lo stile alla maschietta di cinquant'anni prima. Era struccata, sudata e con i capelli attaccati alla fronte, ma comunque bellissima nei suoi venticinque anni appena compiuti.
Hyejin era la sua migliore amica da ormai tredici anni.
Lavorava al Bon Ton - un burlesque bar - come capo ballerina di burlesque, in affari con il suo socio e marito Jung Hoseok.
- Taehyung! - quando Hyejin si accorse di lui, il moro riuscì solo a sentire il tacchettio delle scarpe risuonare sul parquet, che la ragazza era già davanti al suo naso.
- Vieni a sederti, vuoi qualcosa? Offre la casa - continuó la ballerina.
- Ciao Hyejin - Taehyung non potè fare a meno di sorridere. Hyejin era un'ondata di serotonina tutta racchiusa nel suo metro e cinquantacinque e nei suoi tacchi a spillo.
- Solo un caffè, grazie - la ragazza sorrise e con un cenno del capo si voltó per andare al bancone e preparargli quanto richiesto.
- Come sta Yoongi? -
- Stanco, ma bene - rispose Taehyung, incrociando le braccia.
- E te come stai? - Hyejin si era voltata in quell'istante per posargli la tazzina ricolma sul piattino. Un caffè lungo senza zucchero, come piaceva a lui.
- Sto bene, vorrei soltanto avere un attimo di pace - Taehyung sorseggió il suo caffè, amaro e bollente. Da quanto non si concedeva il lusso di bere un caffè?
- Problemi economici? - il ragazzo annuì. Ormai non si ricordava nemmeno più il giorno in cui aveva avuto la pancia piena. O il giorno in cui non si erano preoccupati di mangiare quella fetta di pane in più, perché tanto non sarebbe stato un problema il giorno dopo.
- Yoongi lavora per fortuna, ma lo pagano una miseria. Io invece ho appena tentato la fortuna. Ti diró come andrà Hyejin - la ballerina di burlesque a quelle parole, si crucció. Si guardó attorno per un istante e, dopo aver constatato che non ci fosse nessuno nei paraggi, infiló una mano nella cassa del bancone ed estrasse un biglietto da centomila won. Lo fece passare sulla superficie del bancone, facendo segno a Taehyung di prenderlo in fretta.
- No. No, Hyejin non posso -
- Hoseok non se ne accorgerà nemmeno, e poi ne avete molto più bisogno di noi - insistette Hyejin.
- Non accetteró i vostri soldi, siamo amici Hyejin ma non mi devi correre dietro. Riusciremo a cavarcela - Taehyung era irremovibile.
- Kim Taehyung prendi questi cazzo di soldi o giuro su Dio che ti ritroverai un tacco a spillo nel sedere - Hyejin prese il polso del ragazzo davanti a lei e gli ficcó con forza la banconota fra le dita delle mani.
- Non voglio aprire il giornale e leggere il necrologio del mio migliore amico perché è morto di fame. Accetta quei soldi - quelle parole furono come una pugnalata nello stomaco e al cuore.
- Ti ridaró tutto fino all'ultimo centesimo - nonostante le parole discordanti di poco prima, il ventiquattrenne acconsentì.
- Non serve - rispose la ballerina con un sorriso.
- Sei un'angelo Hyejin, grazie di cuore - Taehyung si allungó il necessario per scoccarle un bacio sulla fronte.
- Devo scappare, perdonami. Devo vedermi con Yoongi -
- A presto Taehyung - e un secondo più tardi, Taehyung non seppe se maledire o benedire i soldi che si era nascosto nella tasca dei pantaloni.

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It's a man's man's world di James Brown  rieccheggiava fra le pareti dell'appartamento lussuoso di Le Visionnaire.
Aveva giusto giusto posato la puntina del giradischi sul vinile, con grazie e maestria, aspettando con orgoglio lo scoccare della prima nota.
Era solo nel suo appartamento, mentre sua madre Vivienne se n'era appena andata dopo aver cenato insieme a suo figlio. Avevano preparato cous cous con carote e piselli, patate al forno e carne speziata, il tipico piatto che Vivienne preparava per lui quando era poco più che un bambino.
Jungkook sprofondó nel divano.
In mano una bottiglia del suo vino bianco frizzante preferito, mentre nell'altro un cavatappi nuovo.

Jungkook non si definiva un ubriacone, quanto più si sfamava d'alcol per dare vita a quei pensieri soppressi e inabissati nel profondo della mente.
L'alcol era una buona compagnia, uno dei piaceri della vita degno di essere gustato e assaggiato sulla punta della lingua, specialmente se condiviso da un altro paio di mani e due occhi castani.
Taehyung lo aveva stordito.
Dubitava che esistesse un verbo più esplicito di quello, nell'esprimere ciò che gli aveva fatto.
Come una specie di incanto, o di maledizione, Taehyung era entrato da quella porta fragile e indifeso, ma comunque orgoglioso nei suoi vestiti appena comprati - perchè sì, lo aveva notato - un'aurea talmente potente da scombussolarlo nel profondo.
Il suo cuore e il suo cervello non erano più gestiti dalle gabbie morali dei suoi pensieri, anzi, erano trascinati e incitati dal vino che scorreva nelle sue vene come la poesia di Baudelaire, insana e malata, e dalla voce graffiante di Brown che si era buttato in Bewildered.
Le Visionnaire buttó il capo all'indietro sul divano in pelle marrone, i capelli sciolti che arrivavano poco sotto il mento rotondo. La bocca lambì il collo della bottiglia di vino, gentilmente, come per assaporare il collo di un amante, catturando una goccia funesta che stava per cadere sui suoi pantaloni.
Non ci pensó troppo nel tracannare altre tre sorsate, il vino che era diventata musica e la musica stessa che era diventata vino.

Entrambe avevano il potere di ubriacarlo di piacere.

Gli occhi annebbiati dall'alcol avevano le stesse reminiscenze degli occhi di vetro degli animali imbalsamati nei musei di storia. Eppure il fotografo non si sentiva spento, o addirittura morto, ma vivo e potente, pronto ad afferrare fra le grinfie l'essenza della vita stessa.
Ubriaco ormai, i pensieri si arrampicavano e si contorcevano, scanditi dal ritmo del vino che gli entrava nella gola e giù nelle vene.
Pensó ai boulevards di Parigi, a Monet e alle sue ninfee, pensó a Taehyung, a quel dannato sconosciuto, al suo lavoro, al vino e a quanto ne volesse ancora, pensó a sua madre e al bellissimo abito che indossava quella sera.

Era sempre stata una donna elegante sua madre. E la cosa che lo faceva impazzire era che si vestiva così solo per sè stessa, non per gli altri, non per gli sguardi languidi degli uomini, ma solo e unicamente per sè stessa. Come per regalarsi tutti i giorni una sensazione diversa. Il pizzo sulla pelle, il raso, la seta morbidissima, i tacchi alti o bassi, file chilometriche di perle bianchissime e rossetti.
Quanto avrebbe adorato vedere Taehyung rivestito di perle e le labbra rosse di trucco. Aveva il volto adatto, così androgino e fine, così...
Jungkook spalancó gli occhi.
Finì la bottiglia, e tremante per l'eccitazione, si lasció andare a quell'idea stupida, folle, ma così sensuale.

Scoppió a ridere. Una risata sguaiata e terrificante se non fosse che conteneva la più alta gradazione alcolica di felicità. Era proprio come il vecchio Oncle Buk, un ubriaco che creava arte. Non a caso lo chiamavano Le Visionnaire, Il Visionario.

E Jungkook l'aveva creata.
La perfezione.

Nota autrice
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𝘗𝘦𝘳𝘭𝘦 𝘦 𝘳𝘰𝘴𝘴𝘦𝘵𝘵𝘰 𝘪𝘯 𝘤𝘰𝘱𝘦𝘳𝘵𝘪𝘯𝘢 || 𝒗𝒌𝒐𝒐𝒌Nơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ