Chapter 30 - Giuseppe D'Anna

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Nadia si porta una mano alla spalla. Si aspetta quasi di ritrovare il segno della puntura.

La bambina piange. Ha un cerotto giallo sul braccio. No, non è giallo. A lei il giallo non è mai piaciuto. Il suo cerotto è rosso, coi coniglietti bianchi. Il cerotto giallo è quello sulla spalla del bambino accanto a lei. Ci sono due scatole di cerotti sul tavolo della cucina. Due siringhe. E due flaconi.

«Evidentemente il protocollo ha funzionato e ha reso il tuo organismo immune al virus, quanto meno a questo in particolare. Ora non resta che sintetizzare la cura a partire dal tuo DNA, e su questo con Ivan siamo già a buon punto.»

A Nadia scappa una risata cattiva, e finalmente torna a guardare sua madre negli occhi.

«Ecco perché sei venuta fin qui» dice. «Per la ricerca, ovviamente.»

Nella semioscurità del laboratorio, il volto della donna resta impassibile. Nadia lo fissa. Funziona così nei film, no? Il tizio guarda il genitore che lo ha abbandonato e sente il richiamo del sangue. La forma del naso, il taglio degli occhi, un qualcosa nelle labbra... solo che Nadia non trova niente. E non prova un bel niente. In passato si è sforzata, quando stava rintanata con le altre donne e passava a trovarla ignorava tutto il resto. Di solito erano appena alcune occhiate. Pochissime parole. E funzionava.

Invece adesso...In quella donna che le sta davanti non c'è nulla né di lei né di Dan.

«Non te n'è mai fregato un cazzo di noi» dice alla fine. « Eravamo topi da laboratorio. Ci hai mai voluto, almeno, o siamo stati una scopata andata male?»

Per la prima volta sua madre esita.

Il suo sguardo si sposta. C'è dell'altro, è evidente. Tanto che perfino una come lei fatica a raccontare... Ma a Nadia non importa. È rimasta ad ascoltare anche troppo.

Raggiunge il corridoio e se la lascia alle spalle.

Quella discussione, in fondo, era finita prima ancora di cominciare. Se sua madre vuole aiutarli con la cura, bene, faccia pure. Ma se crede di chiudere tutta questa storia in un abbraccio, come un file che può salvare e archiviare in una delle sue cartelle, be', si fotta.

Non puoi salvare tutti.

È stato Dan a dirglielo, anche se Nadia non ricorda quando. Anzi, non è nemmeno sicura che sia un vero ricordo.

Però aveva ragione.

Sua madre non è una sua responsabilità. Il mondo non è una sua responsabilità. Nemmeno Dan, era una sua responsabilità anche se dopo la sua morte tante cose le hanno incasinato la testa.

Lui ha fatto le sue scelte. E a lei ora resta quel posto. Queste persone. Annuisce continuando a camminare a testa alta. Stavolta è lei a decidere e sì, loro sono l'unica responsabilità che si sente addosso, a modo suo ci tiene davvero.

Nell'eco dei suoi passi, per un attimo Nadia sente anche quelli della bambina che si è rialzata, ha smesso di piangere e aspettare.

Ora semplicemente segue la sua strada.

La donna si alza, più lentamente di quanto vorrebbe. La quarantena e la mancanza di qualsiasi cura si fanno sentire sulle sue ossa. Finché ha potuto ha preso residui di vitamine, poi nulla. Ma non le importa. Sa come controllare il dolore.

Fissa il corridoio vuoto.

In fondo sapeva che sarebbe andata così. Nadia può non accettare le sue azioni. Forse nemmeno le capisce. Non adesso, almeno.

E ci sarebbe tanto ancora da spiegare, ma chissà se poi lo farà.

La verità è che Margareth ora, in quel laboratorio buio, sta provando un senso di liberazione che non conosceva. Perché ogni volta che ha preso una decisone, ha anche aggiunto nuove responsabilità a quelle che già aveva. E ogni nuovo peso, negli anni, le è poi rimasto sulle spalle.

Col tempo ci ha fatto l'abitudine, a sopportare sempre nuovi segreti, nuovi obiettivi, nuove speranze. Ma solo ora, mentre sente il petto farsi più leggero, capisce quanto quei pesi la facessero respirare male.

Ora invece può farlo. Può lasciar andare alcune cose.

L'essere madre. L'essere responsabile di questa o quella sperimentazione. L'essere sempre attenta.

Margareth fissa ancora il punto in cui fino a qualche attimo prima c'era Nadia. Qualsiasi cosa pensi sua figlia, o chiunque altro. L'ha cresciuta forte.

Può lasciarla andare e basta, ora.

Torna a sedersi, estrae dallo zaino lasciato a terra il vecchio tablet scampato alla chiusura del suo laboratorio. Digita alcuni comandi e le appaiono in risposta i dati che Ivan sta elaborando in quel momento.

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