Chapter 21 - Andrea Vico

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«Sarete stanchi», dice Ivan «e magari affamati, da

Accanto alla tastiera del computer, un grande monitor touch alterna videate di interruttori digitali. Ivan scorre una pagina e tocca lo schermo in due punti. Alle spalle dei ragazzi un pannello alto come una porta scorre silenzioso di lato e apre un varco nelle pareti di acciaio.

«Andate, a destra troverete una cucina con dei pirojki alle uova e alla carne, non ho trovato le cipolle verdi di San Pietroburgo, casa mia, ma qui a Texel ci sono ancora un paio di fattorie in attività e la carne non è niente male. Forse è anche avanzata qualche fetta di sharlotaka, la torta di mele, ricetta di mia nonna! Ma forse gli altri l'hanno fatta fuori tutta» ridacchia Ivan tra sé.

Gli altri, pensa Nadia, quali altri?

«Be', certo, gli altri!» le sussurra Martha come se le avesse letto nel pensiero. «D'altronde questo russo mica può esser l'unico qui al laboratorio.»

«Più avanti lungo il corridoio trovate anche delle scatole con dei vestiti, cambiatevi e buttate tutto nel cesto verde nei paraggi. Meglio bruciare i vostri abiti.»

Johnson quasi non sente, fissa assorto Baby al lavoro. I suoi occhi luccicano.

«C'è qualcosa... tipo una scatola del pronto soccorso?» chiede Nadia. «Devo cambiarle la medicazione» sussurra indicando Martha che si mordicchia le labbra nervosa.

«Toropit'sya! Sbrigatevi! Poi ti devo fare il primo prelievo di saliva, e magari poi andate tutti a riposarvi un po'...»

Nella cucina tutto è di metallo, piatti e tazze sono dell'esercito sovietico, hanno il marchio anche se ogni parola è scritta in cirillico e chissà quelle ammaccature a quale guerra risalgono. Un pannello, questa volta azionato da un semplice pulsante di lato, porta a uno spogliatoio. Johnson, lascia entrare le tre ragazze più e si avventa sul vassoio dei pirojki alla carne.

Nadia rintraccia garze, bende, cerotti e della neomicina, per aiutare la cicatrizzazione della ferita di Martha. Per fortuna la pallottola è stata deviata da un bottone di metallo del taschino della giacca di Dan, così si è infilata sotto l'ascella. Ferita ampia, ma superficiale.

Entrando nello spogliatoio, Nadia ritrova Mei Ling e Martha mezze nude, intente a cercare una tuta della loro taglia tra le varie grucce.

La ragazza si blocca, fissandole. Ormai da mesi viveva come poteva, spesso era stata al rifugio con sua madre le altre donne, l'acqua pochissima e l'intimità totale. Ma la vista di quei due corpi, snelli, tonici, con forme diverse e bellissimi entrambi le scatenò attimi di tumulto.

«Dammi una sistemata!» sbotta Martha alzando il braccio sinistro e avvicinandosi a Nadia.

Intanto Mei Ling si veste dando le spalle alle due.

Sforzandosi di non guardarle il seno, con gesti svelti Nadia pulisce la ferita e sistema la nuova fasciatura all'amica. Finalmente le tre possono rilassarsi un po'.

Poco dopo, però, Martha esce dalla cucina. «Vado a chiedere alcune cose di là» dice fissando oltre la porta. «Voglio essere certa che siamo al sicuro per davvero, quei due non mi sembrano poi così affidabili.»

Mei Ling sospira. Ha il volto tirato.

«Tutto questo è ridicolo» dice. «Se ci fosse Dan...»

L'ultima parola rimase sospesa tra loro.

«Continua» sussurra Nadia. «Voglio saperlo. Cos'è successo all'altro laboratorio? Io non mi ricordo niente.»

«Lo so, che non ti ricordi.»

La fissò seria.

«Dan diventava molto aggressivo ogni volta che venivate sottoposti a qualche test, avevate una stanza insieme e ogni volta che qualche medico provava a portati via, lui dava di matto... temeva di non rivederti più, credo, non voleva lasciarti in balia di quella gente, era da tempo che sospettavamo che facessero sperimentazioni indiscriminate» rispose d'un fiato Mei Ling.

Nadia rimase immobile. Sentiva gli occhi gonfiarsi di lacrime.

«La notte della vostra fuga c'era un gran casino. Avevano manomesso l'impianto dell'ossigeno e un paio di stanze erano inagibili. La sirena dell'allarme faceva un baccano infernale ma Dan aveva memorizzato il percorso e ti ha trascinato con sé. Poi..."

«Nadia, vieni, tocca a te!» urlò il russo.

Ivan sta premendo dei tasti su uno dei macchinari con accanto Martha che lo sbircia, quando Nadia e Mei Ling tornano nel laboratorio.

Johnson grugnisce e, con il quinto pirojki in un piatto, va a cambiarsi.

Le tute che indossano tutti hanno un'etichetta sul colletto, in inglese (ed ebraico standard, roba israeliana, magari del Mossad) con simboli a indicare che sono antibatteriche e virus-resistenti. Una intelaiatura di poliestere trattato poi con un rivestimento di silice amorfa (praticamente microscaglie di vetro), modificato organicamente poi funzionalizzato con nanoparticelle di argento. In poco parole indistruttibili e morbide da non credere. A Nadia ricordano quelle di "Spazio 1999", una vecchia serie televisiva che sua madre guardava ormai secoli fa, quando lei e Dan erano piccoli.

«A cosa serve questo prelievo?» chiede sospettosa.

«Devo ricostruire i tuoi profili genetici, moy rebenok" dice Ivan fissando i movimenti del macchinario. «Metterò la tua saliva in questo sequenziatore automatico di DNA, mentre una ciocca di capelli la terrò a mollo nell'azoto liquido e finirà di scorta: i tuoi dati sono già andati persi due volte... diciamo così. Comunque questa volta saremo più previdenti. dal'novidnyy. Lungimiranti da

«Bastano due ore.»

La voce di Johnson li raggiunge alle spalle. Mastica rumorosamente come se non mangiasse da giorni.

«Quell'affare è roba di ultima generazione, è un sequenziatore capace di costruire un profilo completo del DNA di un'affidabilità quasi totale. Stavolta non ci saranno dubbi, Nadia.»

Sul volto di Ivan si apre un sorriso enorme, tutto il contrario della serietà di Johnson.

«Da, miei bambini tutti molto bravi e segreti»

Fissa Nadia ruotando appena la testa di lato. «Ho studiato le teorie di tua madre, sai? È stata la prima a dimostrare che la genetica è solo metà della storia... è dove cresci e come cresci che fa la differenza. Tutti noi siamo come la ricetta della sharlotaka. La lista degli ingredienti è sempre la stessa e l'impasto uguale, ma poi finisce in una certa teglia, no? In un certo forno, su un ripiano fatto come? Quanta umidità c'era nell'aria mentre s'infornava? E se nel forno si infila un po' di sabbia portata dal vento?... Siamo tutti uguali, ma siamo tutti diversi: si chiama epigenetica. I gemelli omozigoti sono certo speciali, ma nessuno è poi davvero uguale all'altro.»

A Nadia sembra di sentire una specie di click, da qualche parte nella testa.

Le interminabili visite, sempre diverse, fin da quando lei e Dan erano piccoli. E poi quelle pagine dei due diari, gemelli anche quelli, che la madre compilava scrupolosamente tutte le sere, specialmente da quando i due fratelli erano stati messi in classi diverse e a Dan era stato imposto il corso di hip hop mentre a lei era toccato quello di pallacanestro. Non ci pensava da un sacco di tempo, anzi, lo aveva proprio dimenticato. All'epoca pensava fosse un gioco. Ora non ne è poi così sicura.

«Proklinat'! Maledizione, lo sapevo!»

Una serie di monitor di controllo si trasformano in luci colorate e sirene spaccatimpani.

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Appuntamento a lunedì 1 giugno, con il prossimo capitolo!

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