XXIII- Donec dies elucescat.

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Mi trovai in un luogo decisamente inospitale, lo stesso che sognai qualche tempo addietro. La sensazione di inadeguatezza e di terrore mi provocò un brivido lungo la schiena. Il cielo denso di nubi rosse e nere si stagliava sopra la mia testa e il terreno arido sembrava sgretolarsi al solo tocco della mia suola.

L'adrenalina mi scorreva veloce nelle vene, provocando un aumento del battito cardiaco e il respiro più corto del normale. Le grida e i lamenti incessanti riempivano il silenzio intorno a me, rendendomi più difficile arginare la paura e restare concentrata. Non dovevo farmi prendere al panico, eppure il mio corpo suggeriva il contrario.
Chiusi gli occhi e respirai profondamente. Dovevo mantenere la calma: era solo un incubo. Da lì a poco mi sarei risvegliata in un letto morbido, circondata solamente dalla tranquillità della notte.

Non appena mi sembrò di aver riacquistato un briciolo di controllo, un forte rumore interruppe la mia calma apparente. Spaventata, mi guardai intorno con circospezione. I miei occhi saettarono da un punto all'altro di luogo infernale, ma non riuscii a scorgere neanche la più insignificante delle anime. All'improvviso però, la figura austera di un uomo si parò innanzi a me. Era la stessa persona che incontrai nel sogno precedente, con il suo sguardo severo e il viso senza tempo. Stava lì, avvolto in abiti piuttosto consunti, decisamente diversi da quelli con i quali lo ricordavo.

Mi paralizzai sul posto, incapace di muovere un solo passo. Ricordai perfettamente la lama del lungo pugnale conficcarsi con decisione nel mio cuore; i battiti di quest'ultimo assai dimezzati; la vita che, come un soffio di vento, volava via dal mio corpo esamine.

L'uomo incastrò i suoi occhi glaciali ai miei, fissandomi con insistenza. Deglutii con fatica, sentendo il sangue gelarsi nelle vene.
«Vattene» sussurrò deciso. Il suo tono ammetteva repliche. Indietreggiai con il viso increspato dall'incertezza e dallo stupore. Lui continuò a guardarmi, senza proferire qualsivoglia emozione.
«Freya Wilson, vattene via!» il suo urlo squarciò il lamento continuo che aleggiava nell'aria e per lo spavento cominciai a piangere. Continuando a indietreggiare, andai a sbattere contro uno spuntone di roccia, provocandomi un taglio dietro al braccio.

Quando lo vidi fare qualche passo verso di me, mi voltai e cominciai a correre.
Le gambe sembravano quasi volare su quel suolo arido e spaventoso e il dolore del taglio non riusciva a rallentarmi, a causa dell'adrenalina in circolo. Più correvo e più mi rendevo conto che l'ambiente intorno a me era sempre identico: una landa deserta e rocciosa. Senza saper dove andare, continuai la mia estenuante fuga, finché non raggiunsi i pressi di una grande voragine. Mi arrestai appena in tempo per non cadere all'interno di essa.

Qualche sassolino cadde in quella macabra profondità, mentre io mi allontanai con cautela dal bordo.
Le grida e i lamenti si fecero sempre più forti poiché sembravano provenire proprio da quel dirupo. Il cuore martellava nel petto con insistenza, quasi come se volesse uscir fuori da un momento all'altro. Avevo il fiatone a causa della mia corsa forsennata, per cui rimasi qualche istante seduta al suolo, cercando di riprendere fiato.

Increspai le labbra in una smorfia di dolore; la mano che avevo appoggiato sul taglio era tinteggiata di un bel rosso scarlatto, quello del mio sangue. Spalancai gli occhi in un'espressione spaventata: possibile che nei sogni potessi ferirmi? Non sapevo come rimediare a quel brutto taglio, non avevo la benché minima idea di come coprirlo, ma non me ne preoccupai perché la mia attenzione fu immediatamente catturata da quella dannata voragine.

Le grida e i lamenti si erano trasformati in deboli sussurri. Con riserbo, mi avviciai maggiormente, facendo attenzione a non commettere un passo falso. Arrivata sul bordo frastagliato del terreno, guardai sotto. Un'oscurità densa e innaturale si stagliava ai miei piedi.

MorpheusWhere stories live. Discover now