4. Complicato

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Katherine controllò per l'ennesima volta l'equazione. Nonostante i suoi studi costanti non riusciva a capire niente di matematica, sapeva che stava sbagliando qualcosa perchè il risultato era diverso da quello del libro, ma non riusciva a capire cosa. La gomma della matita cominciò a battere freneticamente sulle pagine quadrettate mentre la sua pazienza veniva meno.

Nel frattempo le voci dei suoi genitori arrivavano sempre più forti dalla cucina, finchè non sentì il rumore di una mano che batteva sul tavolo, seguita dalle grida di sua madre.

La sua sedia stridette sulle mattonelle bianche quando si alzò, rischiando quasi di rovesciarla nella fretta, uscì velocemente dalla sua stanza e si infilò in quella accanto, facendo attenzione a non fare troppo rumore.

Trovò Monica seduta a terra al centro della sua cameretta da bimba. Era sul grande tappeto peloso che i loro genitori le avevano comprato per evitare che giocasse sulle mattonelle fredde. In quel momento comunque le Barbie erano abbandonate sul materiale rosa, le sue manine troppo impegnate a tapparsi le orecchie per dedicarsi ai giochi.

Non era la prima volta che Katherine la trovava rannicchiata su se stessa, mentre stringeva gli occhi e si tappava le orecchie nel tentativo di chiudere fuori quello che desiderava non esistesse.

I loro genitori litigavano pesantemente quasi ogni giorno, spesso il padre usciva di notte e tornava la mattina seguente, vestiti stropicciati e sguardo aggrottato. Katherine sapeva che se avessero continuato così la loro relazione non sarebbe durata ancora per molto. Anche se doveva ammettere che una piccola parte di lei, la più ingenua, la più infantile, sperava ancora che tutto potesse risolversi per il meglio.

In quei momenti però non riusciva a vedere un lieto fine, e anche volendo non avrebbe avuto il tempo di cerlarlo, troppo occupata a preoccuparsi per la sorellina. Katherine sospirò e chiuse la porta dietro di sé, smorzando leggermente le voci arrabbiate degli adulti al piano di sotto. La fronte di Monica era aggrottata, appena visibile oltre la frangetta castana che la copriva, ma quando sentì lo scatto della porta e aprì gli occhi lucidi sembrò trovare un po' di serenità.

«Kath...» disse con voce quasi afona vedendo la sorella sulla soglia. Tutti dicevano che per avere otto anni era una bambinona, più alta della maggior parte dei suoi compagni, ma rannicchiata sul pavimento sembrava più piccola e indifesa che mai. Finalmente tolse le mani dalle orecchie e le allungò verso la ragazza davanti a lei. Katherine strinse i polsi magri della sorellina e la tirò sù, stringendola forte.

La trascinò sul lettino con le coperte di Ariel, Katherine si sedette con la schiena appoggiata alla testiera del letto, mentre Monica le si accoccolò tra le gambe, stringendo le braccine intorno al collo della sorella, e nascondendo il viso nell'incavo del suo collo. Mentre con una mano accarezzava i capelli della piccola, Katherine allungò l'altra verso lo stereo che si trovava sul comodino, accando al lettino, fece partire il CD alzando il volume abbastanza da coprire le voci dei loro genitori. Iniziò a canticchiare nell'orecchio di Monica, che si rilassò sensibilmente ascoltandola. Dal piano di sotto continuava a sentire pezzi di conversazione.

«...nostre figlie...colpa tua...il tuo lavoro...» Sentendoli parlare di lavoro le tornò in mente la risposta secca che le aveva dato Michael quel pomeriggio.

Dopo quella frase non aveva detto più niente su sua madre o su se stesso in generale, si erano seduti ad uno dei tavoli della biblioteca e avevano iniziato a lavorare alla loro ricerca. Katherine si ritrovava spesso a guardarlo, lui non era l'unico curioso. Nonostante il suo atteggiamento menefreghista stava leggendo uno dei libri che avevano trovato con sguardo serio, di tanto in tanto corrugava le sopracciglia o masticava la matita che teneva in mano inutilmente (era vietato sottolineare o prendere appunti su quei libri).

Rumors || Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora