Bevvi l'ultimo sorso dal boccale. La birra dolce mi sciolse la lingua, rendendomi più facile parlare anche di cose che non racconterei volentieri.

"Eravamo ricognitori. Esploratori. Spie. Sai, non mi ero mai reso conto di quanti nomi potessero esistere per quello che facevamo. Eravamo soldati, ma ogni tanto venivamo mandati oltre la prima linea, per dare un'occhiata a quello che combinavano i soldati dell'Ovest. Dese amava chiamarlo "guardare sotto la sottana del nemico". Sai che non devi farlo, lo fai comunque e, quando ti scoprono, ti becchi lo schiaffo più sonoro della tua vita. Con ogni probabilità anche l'ultimo."

Il cuore cominciò a rimbombarmi nelle orecchie, mentre la vista si annebbiava. È l'effetto dell'alcool? Probabilmente. Chiudo gli occhi, mentre di fronte a me si disegna lentamente una foresta.

"La prima volta che ci hanno mandati in ricognizione assieme era d'inverno. La neve soffice ricopriva il terreno, i rami coperti scricchiolavano sotto al suo peso. Non avevamo cavalli, solo un semplice ordine: andare avanti, fino a che non li avessimo trovati, per poi tornare indietro a riferire quando era distante l'accampamento nemico.

Ho detto che eravamo senza cavalli. I cavalli si muovono male nella neve alta, inciampano e scivolano, e hanno costante bisogno di acqua e cibo. Quindi siamo partiti senza. Aveva nevicato il giorno prima, io ero immerso fino alle ginocchia, Dese fino a metà polpaccio; arrancavo dietro di lui, cercando di camminare nelle sue impronte. Faceva un freddo bestiale, ovviamente.

Quelle dannate impronte. Ogni volta che mi guardavo alle spalle, rabbrividivo al pensiero di chi avrebbe incrociato quella traccia nella neve fresca. Una spia deve passare inosservata, non segnare la sua strada con la vernice rossa.

Ad ogni scricchiolio, ad ogni rumore sospetto, portavamo entrambi la mano all'elsa della spada, pronti allo scontro imminente.

Procedemmo così per una settimane. Avevamo scorte per un mese, ma non sapevamo se ci sarebbero bastate. E la neve diventava sempre più alta, i passi più pesanti, i corpi stanchi e intirizziti.

Accendere un fuoco era fuori discussione. Piantare le tende era un'impresa non da poco, dato che spesso ci fermammo con il sole già calato e la luna alta nel cielo.

Poi, accadde quello che temevamo. Venimmo raggiunti.

Era un piccolo gruppo di soldati, tre o quattro, ora non ricordo bene. Avevano seguito le nostre tracce nella neve, ma erano convinti che si trattasse solo di un vagabondo, non due uomini addestrati. Comunque, per loro aveva poca importanza: dovevamo sparire.

Estraemmo la spada quasi contemporaneamente quando li vedemmo avvicinarsi. Le tuniche azzurre e dorate dell'esercito dell'Est, con l'emblema degli Ostero risaltavano tra la neve bianca come un mazzo di primule. Ci fu uno scontro. Eravamo stanchi, mezzi congelati, ma abbiamo venduta cara la pelle. Gliel'abbiamo fatta proprio vedere a quei bastardi.

Li abbiamo affrontati tutti contemporaneamente. Dese ricordo che combatteva da solo contro due, io invece rimasi sulla difesa. Era un mostro, un archeniano alto più di due metri, la pelle scura, i capelli ricci che danzavano nel vento. Un vero demone, per quei poveri soldati.

Io invece, mingherlino, pallido, ma con il sorriso di chi sa che la situazione è disperata, mi tenni a distanza, parando un paio di colpi, per poi affondare la spada nel fianco del soldato, per mia fortuna rimasto bloccato nella neve.

Penso che sia stato lì, in quel momento, quando anche l'ultimo soldato è caduto, che mi sono reso conto di chi avevo come compagno in quel viaggio. Dese era sempre stato taciturno, chiuso, parlava poco, e solo con Joel. Penso che mi considerasse stupido, probabilmente per la mia risata sciocca."

Sorrisi, ricordandomi le occhiatacce che mi rifilava quando ancora eravamo tutti e tre a Colle Nero. Prima di incontrare Ethan. Prima di Lauren.

"Ovviamente, siamo subito tornati indietro, sui nostri passi. Letteralmente. Abbiamo camminato sulle nostre stesse impronte. Ancora ricordo la faccia del capitano Neth quando gli abbiamo raccontato che eravamo stati attaccati da tre, o quattro, davvero, non ricordo, soldati.

Penso che sia stato davvero in quel momento che siamo diventati inseparabili. Io e quel cretino di Dese. Che poi, in fondo, tra i due, il cretino ero io."

Riaprii gli occhi. Nappone portò la mano ad uno strano ciondolo, nascondendolo nella camicia da lavoro, per poi tornare a guardarmi.

"Grazie per il racconto" sorrise, piegando la testa di lato.

"A chi mi offre birra, questo e altro" sorrisi, accennando al boccale "ma penso proprio che ora mi stenderò su una branda."

[Andrea De Alba]

Allora Avventori, come avrete notato, questo episodio è stato scritto da uno di voi, che ha deciso di partecipare al nostro progetto. A nostro parere ha fatto davvero un ottimo lavoro e se siete interessati a conoscerlo meglio e leggere qualche altra sua storia, questo è il link al suo profilo:

https://www.wattpad.com/user/ADE_AndreaDeAlba

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