.𝟛𝟡. (𝕡𝕒𝕣𝕥𝕖 𝟙/𝟛)

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«Non lasciarmi, Astraea... non farlo, te ne prego...» continuai a dirle ripetutamente mentre lei mi guardava.

Dai suoi occhi sgorgavano lacrime, lacrime che avrei voluto vedere sparire dal suo viso e sostituirlo con uno dei suoi meravigliosi sorrisi.

«Sorridimi ancora una volta, principessa... Fammi vedere come illumini la mia inutile esistenza con un tuo solo gesto... resta al mio fianco, non te ne andare» le ripetei mentre altre lacrime rigavano il mio, di viso.

Sembrava surreale tutto ciò, assurdo.

Possibile che stesse accadendo veramente?

Possibile che stavo per perdere l'unica mia ragione di vita?

Se era un incubo, avrei voluto svegliarmi il prima possibile: non potevo sopportare di vederla in quelle condizioni.

Continuai a parlarle ma, ad un tratto, il suo sguardo parve perso nel vuoto, era vacuo.

Sembrava come se qualcuno avesse cliccato sull'interruttore generale del suo corpo e lei, poco alla volta, si stesse spendendo definitivamente.

Iniziò a battere freneticamente le palpebre, forse per dissipare quella fastidiosissima nebbiolina che sembrava essersi posata dinanzi ai suoi occhi, pronta ad impedirle di vedermi nitidamente in volto.

I singhiozzi disperati di Vanya erano l'unico rumore che si avvertisse in quella pianura desolata.

«Amore mio...?»

Lei aveva smesso di battere le palpebre dei suoi occhi tanzanite e le aveva lasciate quasi del tutto socchiuse.

Iniziai a sentire altre voci urlare il suo nome ma non riuscivo a distinguerle né a capire a chi appartenessero.

In quel momento, non mi importava assolutamente nulla di chi vi fosse intorno a me: la mia concentrazione era completamente rivolta a lei, alla ragazza che amavo perdutamente e con tutto me stesso.

Fu in quel preciso istante che il capo di Astraea iniziò a penzolare di lato.

Lo afferrai e continuai a mantenermelo dritto mentre le urlai qualcosa che non giungeva né alle mie orecchie, né alle sue.

Lei non mi rispose e tentai di parlarle tramite il nostro speciale canale di comunicazione mentale ma, come nel primo caso, non vi fu risposta.

Non sentivo più i suoi pensieri.

La sua mente era completamente vuota, deserta.

«Astraea, non lasciarmi...» la supplicai ma, ormai, non mi sentiva più.
Ne ero certo.

Fissò il suo sguardo dritto di fronte a sé.

Credo che esso fosse stato catturato dal movimento ondulatorio delle foglie blu avio del Salice piangente che le aveva dato e le avrebbe tolto ogni cosa.

Poco alla volta, le palpebre iniziarono a farsi pesanti e percepii la sua volontà di rimanere in vita vacillare.

Si stava lasciando andare e, in quel momento, il mio cuore si spezzò.

«No, no, no, no, no... Astraea, guardarmi» dissi con urgenza, spostandole il viso nella mia direzione con la mano che, fino a quel momento, avevo usato per tamponarle la ferita al petto.

Lei non fece alcun cenno mentre i nostri occhi erano incatenati l'uno all'altro.

Un lieve movimento delle labbra mi fece intuire che lei avrebbe nuovamente voluto dirmi qualcosa che sarebbe per sempre rimasta nella sua testa e sulla punta della lingua.

ASTRAEA "Il sangue degli Eterni"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora