48. Gioia nera

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Io, l'intervallo, lo passo con i miei amici, come è giusto che sia, con la stoffa dei jeans premuta contro i gradini delle scale anti-incendio, ricoperte di polvere, di cicche consumate e calpestate, e di cartacce di ogni sorta

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Io, l'intervallo, lo passo con i miei amici, come è giusto che sia, con la stoffa dei jeans premuta contro i gradini delle scale anti-incendio, ricoperte di polvere, di cicche consumate e calpestate, e di cartacce di ogni sorta. Con le gambe distese e incrociate, di cui quella destra intrappolata in uno spiacevole tic di visibile tremolio, lo stesso che angustia la mia mascella e che ricorda quasi i denti che battono per il troppo freddo. Tuttavia ora non ne sento, e non per grazia del giacchetto che mi avvolge, abbottonato sino al collo.

Percepisco addosso tutti gli occhi degli studenti dell'istituto, lo sento, osservano la mia figura come osservano quella di Leonardo, in piedi, lontano da me, accerchiato dai suoi di amici, vicino alla solita panchina dall'aspetto non troppo solido.

Osservano me e lui, occhiate ci vengono scagliate contro come miriadi di piccole frecce, non troppo mirate a ferire, ma a scrutare, ad analizzare a fondo, scavando, scavando e scavando. Cercando di trovare un "perché" – quel perché – che possa dare una spiegazione logica, un nesso ai loro innumerevoli dubbi, ai loro innumerevoli interrogativi dapprima illuminati dal fioco lume dell'ipotesi, mentre adesso bruciati dalla fiamma ardente della certezza. Poiché noi, Leonardo e io, gliel'abbiamo data quella certezza così rovente e così apodittica.

Abbiamo sostituito la nostra mera imitazione stampata su fotografia con una più tangibile, con una più concreta. Noi nella realtà.

Provo nervosismo non tanto perché stanno parlando di me, ma perché, nel loro tombale silenzio, mi stanno etichettando. Che sia in maniera positiva o negativa, mi stanno incollando in fronte una etichetta. Giudicano. Loro giudicano sempre.

Giudicano i pilastri per eccellenza dei due indirizzi, coloro che si erano giurati odio eterno e reciproco, quasi ad averci firmato sopra con il sangue, coloro che non davano la benché minima speranza di vederli esternare qualcosa al di fuori di quel sentimento così corrosivo e soffocante.

Già... loro non lo sanno. Non sanno cosa significa provare a odiare qualcuno, ecco perché hanno l'impudenza di opinare; odiare qualcuno è un'arma a doppio taglio.

Lei ti dà la sensazione di libertà sconfinata, ti fa credere di possedere in corpo il più antico dei poteri, illudendoti di essere invincibile, ti rende tremendamente sicuro di te stesso, è un qualcosa di catartico. Ma allo stesso tempo ti divora, ti scortica, ti lacera l'anima, strappandola con avidità come fossero splendidi e rari fiori selvatici. Come lei , lei prende.

Nessuno – nel modo più assoluto – si aspettava di certo la passione, il desiderio, la predilezione... forse il tanto decantato amore. Nessuno avrebbe potuto prevedere che proprio lui, Leonardo Aspromonte, avrebbe baciato lei – me –, Matilde Castellani, proprio al centro dell'atrio del Caravaggio – terreno di belligeranza, arena insanguinata – davanti agli occhi sbalorditi di tutti.

Quando Apollo s'invaghì di AtenaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora