FULGIDE PROFONDITÀ

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Erique Cortez era un giovane uomo con la passione per le più rare creature acquatiche. Era sempre a caccia di qualcosa di particolare da imbalsamare e aggiunge alla collezione nella sua villa di famiglia.

Una mattina, albeggiava appena e lui si trovava in immersione a largo della costa più a nord di una delle terre più calde e colorate del continente.

Gli piaceva esplorare i fondali perchè ogni immersione era un'avventura e perché adorava il silenzio. L'unico suono era quello delle bollicine del respiratore.

Erique portava sempre con sé una torcia per illuminare lì dove non arrivava più la luce del sole e arrivato abbastanza in fondo si diede un'occhiata intorno voltando il capo di quà e di là. Urtò qualcosa all'improvviso e gli scivolò via dalle mani la torcia. Un brivido di panico gli percorse la schiena mentre vedeva il lume disegnare spirali di luce lungo la discesa e svanire sempre più a fondo.

Si precipitò a recuperarla sbattendo le pinne più veloce che poteva. In fine l'afferrò, tirò un sospiro di sollievo con lo sguardo e guardandosi nuovamente intorno si rese conto di essere sceso molto più in basso del solito. Si trovò davanti uno spettacolo unico che lo lasciò a bocca aperta. L'assurdo pensiero che il Grand Canyon all'improvviso fosse sprofondato e innevato lo sfiorò per un secondo. Era molto freddo laggiù e sulla superficie, illuminavano il paesaggio, meravigliose iridescenti, micro formazioni cristalline.

Ad un tratto, con la coda dell'occhio intravide una lunga e snella figura bianca infilarsi in una delle tante aperture che formavano un'intricata rete di tunnel, che chissà fin dove l'avrebbero portato se ci si fosse avventurato.

Cercò di mettere meglio a fuoco la figura ma non fece in tempo. Era però sicuro che fosse qualcosa di raro e prezioso perché non aveva mai visto nulla del genere. Decise che inoltrarsi da solo in una situazione così dispersiva sarebbe stato un errore pericoloso. A malincuore ma con la prospettiva di tornare, risalì in superficie e tornò verso riva con la barca.

Arrivato al porto, si accostò all'imbarcazione del padre. Manuel Cortez era un uomo avanti con l'età, che ciononostante si manteneva giovanile, in gamba e di bell'aspetto. Era un ex pugile aveva quindi un fisico possente, a differenza del figlio che sarebbe passato facilmente in mezzo alle sbarre di una prigione senza troppa difficoltà.

Erique gli lanciò un sacchetto di crostacei percebes appena recuperati dalla costa e gli raccontò di quello che aveva visto poco prima. Aggiunse poi che avrebbe avuto bisogno d'aiuto per non perdersi nei tunnel e per catturare la creatura sconosciuta. Se era come la immaginava, sarebbe stata la punta di diamante di tutta la sua collezione. Manuel era più semplice, non capiva l'ossessione del figlio nel rischiare tanto per catturare un raro esemplare e tenerlo morto in casa. Meglio tenerlo morto nella pancia pensò lui. Comunque accettò di aiutarlo e prima di sera prepararono una speciale attrezzatura.

Il mattino dopo passarono a fare colazione dal loro amico, barista e proprietario del "Dagon bistrot" che capì subito che aria tirava e chiese prontamente a caccia di cosa stavano andando. Baldanzosi e senza troppi dettagli, lo invitarono a cena per la sera successiva nella loro villa, per fargli assaggiare la carne del mostro marino che avrebbero agguantato in mattinata. L'ometto accettò volentieri l'invito dei suoi pescatori preferiti e non nascose l'impazienza riguardo l'evento. Così padre e figlio uscirono dal locale soddisfatti e rifocillati.

Arrivarono quindi alla barca, salparono, rintracciarono la posizione precisa con un gps e una volta indossate le tute si buttarono in acqua. Arrivati molto in fondo, anche Manuel non poté credere a quanto era bello quello che vedeva e rimase a bocca aperta per almeno un'intero minuto.

Si posizionarono davanti una delle grotte e agganciarono una lunghissima corda sull'entrata. Manuel sarebbe rimasto fuori per controllare che tutto filasse liscio mentre Erique, una volta agganciatosi alla corda, si sarebbe avventurato nel tunnel.

Era molto buio nel labirintico cunicolo, ma di tanto in tanto alcune rifrangenti formazioni cristalline, illuminavano la via.

Svoltò diverse volte e percorse almeno trecento, trecentocinquanta metri prima di rendersi conto, con suo enorme spavento che sotto di lui, nuda e supina una donna dalla pelle diafana lo fissava e lo seguiva. E lì per lì pensò ad un cadavere, ma mentre perdeva il boccaglio - per via dell'urlo che comunque non si sentì ma si videro solo tante bolle uscire dalla sua bocca - la donna con uno scatto si avvinghiò al corpo di lui poggiando le sue gelide e viscide labbra a quelle del ragazzo.

Erique tentò di divincolarsi ma lei era davvero molto forte; così finì per rimanere immobilizzato, ad occhi serrati, per almeno una decina di minuti, finché non fu lei a mollare la presa.

Quando la sentì scivolare via, riaprì gli occhi e si guardò allarmato tutto intorno.

La donna era sparita.

Mentre si poneva domande bizzarre ed inquietanti sull'accaduto, si voltò per tornare sui suoi passi ed uscire di corsa, ma appena voltatosi, di fronte a lui sfilò un'enorme e bianca creatura.

Il corpo era affusolato e compresa la coda misurava almeno un paio di metri; la coda a ventaglio era arricciata come un petalo di rosa e lunga più della metà del corpo.

L'esemplare sconosciuto più bello che avesse mai visto in vita sua, pensò Erique.

Prontamente afferrò un fucile che portava con se e sparò un colpo preciso. Dalla canna uscì una rete che ampliandosi in corsa, catturò l'animale.

Il pesce, stranamente non oppose resistenza, così gli fu facile portarlo verso l'uscita.

Quando finalmente uscì, vide il padre che catturava nello stesso modo un'altro esemplare. Era proprio il loro giorno fortunato.

In fine tornarono in barca, tolsero le tute e si batterono un cinque in segno di vittoria.

tornati a casa, trasferirono le bestie in un enorme vascone sul retro accennando a cosa avrebbero fatto di loro l'indomani mattina.

Stanchi, dopo una doccia, una cena veloce e considerazioni sui baci ricevuti da entrambi da strane donne bianche come la morte, andarono a letto.

I due si svegliarono riposati e dopo aver abbattuto le creature, iniziarono presto con il lavoro di imbalsamazione per uno e desquamazione ed eviscerazione per l'altro.

Ci misero tutta la giornata e alla fine, ad un passo dal tramonto, accesero un fuoco in giardino. Uno dei pesci era in posa nel grande ingresso, messo apposta per impressionare gli ospiti, l'altro infilzato sullo spiedo sopra la brace.

Quando erano ormai le nove di sera, l'amico barista si presentò a casa loro con una bottiglia di spumante in mano.

Sorridenti, senza dire una parola lasciarono a lui l'onore di prendere la prima parte.

Gli piacque talmente che, senza più prestare attenzione ai padroni di casa, preda della fame continuò a mangiare ininterrottamente.

I due uomini, nel buio, si allotanarono e si diressero verso una vicina spiaggia deserta. A riva si tolsero gli indumenti maschili che avevano portato dalla mattina e le due donne diafane, finalmente nude si rituffarono in mare raggiungendo oscure profondità.

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