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PROLOGO.

Fece l'unica cosa che le venne spontanea: correre.
Più veloce del vento.

Pioveva a dirotto su Manhattan e lei sentiva solamente il rumore della pioggia e lo scalpiccio delle sue scarpe nelle pozzanghere.

Sul suo viso le lacrime che cadevano si confondevano con la pioggia.

Sentiva i capelli bagnati di pioggia appiccicati alla nuca, i vestiti impregnati d'acqua e il cuore colmo di tristezza.

Quanto avrebbe voluto fare qualcosa per sua madre.
Avrebbe pagato oro per poterla rivedere ogni giorno, come prima.

Come una codarda era rimasta a guardare mentre un demone aveva colpito mortalmente sua madre che, impotente, era caduta a terra con un tonfo in un lago di sangue.

Sharon aveva avuto solo il tempo di alzare la spada angelica per uccidere la creatura, per scampare alla morte almeno lei, ma lui era già scappato polverizzandosi.

Allora si era accovacciata al fianco della madre, scuotendola per cercare di tenerla sveglia, ma aveva visto la luce abbandonare i suoi occhi azzurri, tanto simili a due lapislazzuli.

E non aveva retto la disperazione.
Non aveva avuto la forza di chiamare aiuto, chiamare il suo patrigno o qualcun altro, era uscita di casa, ignorando il diluvio, e aveva iniziato a correre a perdifiato, cercando di scappare il più possibile da casa sua, da quello che ora era solamente lo scenario di un terribile incubo.

Non sapeva quanto avesse corso, nè come mai non si sentisse stanca come suo solito, quando faceva due metri e già aveva il fiatone.

Per inerzia i suoi piedi erano andati avanti, e in quel momento si convinse a fermarsi.
Era sul ciglio del marciapiede, le macchine sfrecciavano ma lei sembrava non sentirle.

Sentiva solo dolore dappertutto, alle ossa, all'anima, al cuore.

E più passavano i secondi e più sembrava che il malessere crescesse.

Si trascinò verso il primo bar che vide e vi entrò.
Ai tavoli la gente, perlopiù di sesso maschile, beveva, giocava a carte, a poker e alle slot e faceva apprezzamenti sulle cameriere del locale.

Non poteva finire in luogo più malfamato di quello.
Non aveva nemmeno fatto caso all'insegna, era entrata senza preoccuparsi di dove fosse, anche perchè era buio e l'insegna era priva di luci.

Si lasciò andare su una sedia ad un tavolo lontano dalle persone.
Non voleva avere a che fare con nessuno, non voleva parlare nè voleva credere che quello che stesse vivendo fosse vero.

Aveva la divisa da Cacciatrice imbrattata di sangue e un po' tagliuzzata, a causa delle unghie del demone che aveva cercato di colpirla prima di vaporizzarsi.

Tuttavia, per fortuna, nessuno sembrava essersi accorto del suo aspetto pietoso.

Ma soprattutto, nessuno sembrava essersi accorto di lei.
Questo era ciò che più contava, a maggior ragione visto il tipo di locale nel quale si trovava.

Diversamente da quanto avesse pensato fino ad allora, vide un cameriere avvicinarsi al suo tavolo.
L'unico, notò con sorpresa, cameriere maschio.
Le sorrise diligente e sembrò far finta di nulla di fronte ai vestiti di lei.

"Posso portare qualcosa?" domandò.

Lei annuì, chiudendo gli occhi per ricacciare indietro le lacrime che ancora volevano scendere.

"Un alcolico forte. - disse, sforzandosi di non far notare la voce rotta - Molto forte."

Il cameriere arricciò il naso.
"Non posso portarglielo, signorina. È vietato ai minori." osservò.

𝐎𝐑𝐈𝐆𝐈𝐍𝐒: 𝐎𝐧𝐞 𝐈𝐝𝐞𝐧𝐭𝐢𝐭𝐲 || Alec LightwoodWhere stories live. Discover now