Lettere, chitarre e civette ||3° anno

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3° ANNO

ALBUS' POV

Aprii l'acqua e lasciai che un getto bollente bagnasse il mio corpo: nonostante fossimo ad agosto e l'idea di un tuffo nelle acque più gelide del mondo vorticasse nella testa di tutti, io rimanevo sempre fedele alle temperature desertiche.

L'estate l'avevo trascorsa, per la maggior parte del tempo, a casa Weasley assieme a Rose, Lily, Hugo, James e tutta la marmaglia di zii, cugini e vecchie prozie dal bacio (bavoso) facile e di cui avevo sempre ignorato l'esistenza.

Il ventidue luglio, il giorno del tredicesimo compleanno di Rose, una chioma bionda e scompigliata suonò al campanello, rivelando una figura paffuta e dal sorriso che avrebbe fato sciogliere il più duro dei cuori: Mary.

Lo stupore generale passò da abbracci imbarazzati a numerose offerte della più vasta quantità di torte, pasticcini e biscotti appena sfornati, fino a che lei stessa non ci comunicò il vero motivo della sua visita.

Sfilò dalla sua borsa a tracolla un pacchetto adornato con strani gingilli provenienti direttamente da casa Kent e lo porse a Rose, la quale era rimasta appartata in un angolo della stanza per tutto il tempo con un'espressione alquanto perplessa.

"Scusami se non ti ho capito fin da subito, sono una pessima amica, ma sappi che ti voglio sempre bene. Buon compleanno."

Rose scartò il pacchetto liberandolo dalla carta blu scuro con disegni delle varie fasi lunari ed estrasse il contenuto insieme ad una lettera.

Rimase ferma; la felicità stampata in viso, le lacrime nascoste dietro agli occhi, un groppo in gola e un abbraccio contornato da sorrisi compiaciuti dei parenti.

Subito dopo il duo era tornato, più unito e forte di prima e le due migliori amiche si presero a braccetto dirigendosi verso il giardino ridendo -e spettegolando- come sempre.

Nel frattempo i miei genitori, zia Hermione e zio Ron e i genitori di Mary presero a chiacchierare del più e del meno e per un attimo fulmineo rividi in loro me, Rose e Mary.

L'unico a mancare, constatai, era Scorpius.

***

«Per l'amor di Salazar, James, piantala!»

«Ti dà fastidio?»

«Parecchio.»

«Bene, allora continuerò all'infinito.»

Chiusi la porta sbattendola con una forza inumana, scendendo le scale diretto in salotto, in corpo la sensazione che la giornata non era iniziata, né sarebbe finita nel migliore dei modi.

«Mi spieghi perché diamine gli hai comprato quella chitarra?» sibilai infuriato, mentre dal piano di sopra giungeva una sequenza disordinata e stonata di accordi.

«Gli piace e si diverte, Albus.»

Mio padre era seduto sulla poltrona in giacca e cravatta, reduce di una spedizione tenutasi la notte stessa, immerso nelle pagine della Gazzetta del Profeta, sorseggiando una tazza di caffè amaro fumante.

«Sì, si diverte a rompermi le scatole!»

«Bada a come parli, signorino!»

La voce di mia madre raggiunse il salotto stendendo un manto di rassegnazione e rabbia repressa del quale fu difficile spogliarmi.

L'unico escamotage a cui potevo ricorrere, dunque, era quello di segregarmi nello studio in soffitta e impugnare piuma e calamaio.

Una ventina di minuti più tardi, piegai la lettera e la sigillai nella busta color cremisi, chiamai Accio e gliela consegnai cautamente.

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