43. These memories

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"... quaedam tempora eripiuntur nobis, quaedam subducuntur, quaedam effluunt." Seneca
"... certi momenti ci vengono portati via, altri sottratti e altri ancora si perdono nel vento."



AIDEN


Un altro pomeriggio all'insegna della fisioterapia. Quella routine stava iniziando a farmi venire la nausea. Tutto in quel luogo mi creava un disagio che mi attanagliava il petto e mi faceva urlare dentro. Detestavo il sorriso bonario del dottor Gillian mentre mi invitava a sforzarmi un po' di più, a mettercela tutta e a farlo soltanto per me.
- Vedi? Devi riprendere il controllo del tuo corpo, Aiden. Da bravo, stira un po' di più quel braccio
Avevo le lacrime agli occhi. Mi concentrai allo sfinimento su quel singolo pensiero. Dovevo soltanto allungare il mio fottuto braccio. Quanto cazzo poteva essere difficile? Perdevo il respiro, non ci riuscivo.
- Va bene ... va bene lo stesso. Sei stanco
- Non va bene un cazzo. Le sembra che vada bene?
L'avevo detto, le parole erano venute fuori con irruenza, in un sussurro basso e disperato. E non avevo alcuna intenzione di scusarmi soprattutto. Il dottor Gillian fece un profondo sospiro, era la prima volta che reagivo in quel modo. Non ne potevo più.
- Aiden, so che questi esercizi possono essere snervanti ... - attaccò lui, adesso in piedi accanto a me
- Ah, lo sa? E mi dica, quand'è l'ultima volta che è finito in coma e si è risvegliato con il suo cazzo di corpo incapace di rispondere ai comandi più semplici? Mi racconti la sua storia, dottore. Sono tutto orecchi!
Se soltanto avessi potuto alzarmi da lì e andare via. Invece non potevo, ero intrappolato su quella dannata sedia, in quel posto che odiavo, con un uomo che non poteva fare un cazzo per me, se non snervarvi all'inverosimile. Mossi il braccio e riuscii a distanziarmi da quel dannato tavolo. Non era abbastanza
- Voglio andarmene. – dissi secco, guardandomi intorno a caccia di chiunque in corridoio.
- Non è con questo atteggiamento che risolveremo le cose.
- Non me ne frega un cazzo. Voglio andarmene – ripetei di nuovo.
Mia madre non c'era, portai gli occhi al cielo. Basta frignare, basta sofferenza – Voglio solo andarmene a casa. Puoi chiamare qualcuno, cazzo?
Fallii, stavo piangendo di nuovo e mi odiavo per quella debolezza che ormai faceva parte di me. Ero rotto, sia dentro che fuori. In modo irrimediabile.
- Ascoltami Aiden, hai ragione tu, ok? Mi dispiace, sono solo un fisioterapista. Ho molta esperienza in campo, ma non ho mai passato quello che stai passando tu e spero di non doverlo mai fare. E' terribile, lo so ... conosco parecchi ragazzi nella tua stessa condizione però. C'è Paige ... posso andare a chiamarla, ok?
- Non me ne frega un cazzo! Voglio soltanto andare a casa! – urlai, tra un singhiozzo e l'altro.
Chi mi avrebbe asciugato dopo quel pianto? Volevo solo andar via immediatamente.
- E' stata in coma per quattro mesi in seguito ad un terribile incidente. Non riusciva neanche a parlare quando si è risvegliata, è da anni che lotta, Aiden. Chi può capirti meglio di lei?
Scossi la testa, che cosa diavolo avrebbe dovuto importarmene degli altri? Stavo cercando di recuperare il controllo di me stesso, forse se avessi smesso di urlare e piangere mi avrebbero fatto venire a prendere da qualcuno. Iniziai a respirare più lentamente, a fatica mi passai la manica della felpa in faccia.
- Senti, non possiamo lavorare se non risolvi i tuoi problemi, Aiden. Hai un blocco che non ti permette di concentrarti su quello che stiamo facendo e così non può funzionare. Hai bisogno di parlare con qualcuno ...
- Ho già il mio psicologo – dissi a fatica – voglio solo tornarmene a casa adesso. Sono stanco ...
Non dissi altro, lasciai che il dottore tirasse fuori tutte le perle di saggezza che conosceva. Parole di speranza e metodi alternativi per farmi uscire dal mio limbo di sofferenza e negazione. Mi incitava a reagire, a combattere con tutte le mie forze per recuperare ciò che avevo prima.
- Vuoi tornare a fare tutto quello che facevi prima, vero? Più ti impegni, più farai passi avanti, Aiden. Forse adesso ti sembra che non sia così, ma ti assicuro che ogni piccolo miglioramento è essenziale.
Non mi importava, volevo solo che finisse in fretta e mi lasciasse andare. Andò avanti in quel modo per quelle che mi parvero ore, anche se non doveva essere così. Fu l'arrivo di Keno in corridoio a farmi tornare a respirare. Vide che c'era qualcosa che non andava e in un attimo fu dentro la stanza. Il dottor Gillian balzò per la sorpresa e soltanto quando mise a fuoco Keno smise finalmente di parlare.
- C'è qualcosa che non va? Che hai? E' stato troppo faticoso?
Keno si diresse verso di me, il suo viso era una maschera di preoccupazione. In che condizioni dovevo essere per averlo fatto spaventare fino a quel punto?
- V-voglio andare a casa. Portami a casa.
- Cos'è successo? – chiese ancora il mio amico.
Il dottor Gillian assunse un'aria seria, poi si sollevò da lì e recuperò il mio materiale
- Parlerò con la signora Berg la prossima volta che porterà Aiden qui. Ci vediamo domani allora?
Era una domanda, mi limitai ad annuire anche se avrei preferito morire piuttosto che rivivere quell'inferno anche l'indomani.
Soltanto quando fummo in ascensore riuscii a respirare normalmente, il mio riflesso allo specchio mi confermò quanto fossi pallido e sconvolto.
- Vuoi dirmi che cazzo è successo lì dentro? Che c'è che non va?
Le dita di Keno erano fresche sulla pelle accaldata del mio viso, mi fece una carezza prima di abbassarsi al mio livello e guardarmi dritto negli occhi.
- Non è che quel coglione ti ha messo le mani addosso?
Per poco non gli scoppiai a ridere in faccia – Cosa? Il dottor Gillian? Hai iniziato a farti, Keno?
- Non prendermi per il culo, stronzo. Non so che cazzo pensare se non mi dici niente
- Non capiresti ...
- Non capiresti ... - Keno parlò con una vocetta infantile che avrebbe dovuto ricordare la mia. Lo fulminai con lo sguardo.
- Non ce la faccio più, ok? Faccio quello che mi dice lui, mi concentro, cerco di stare calmo e di muovere anche un solo dannato muscolo per afferrare qualcosa, ma non ce la faccio. E anche quando ce la faccio mi rendo conto che tutta quella fatica non vale la pena. Sono un disabile del cazzo, Keno, ok? Uno di quelli costretti a farsi fare il bagno dalla mamma e a farsi imboccare dall'amichetto! E mi chiedi anche che diavolo mi prende?
Un'altra crisi. Adesso nel bel mezzo del parcheggio dell'ospedale. Qualcuno si voltò a guardarmi e la rabbia mi montò dentro in modo ingestibile
- Sì! Sono un ritardato, ok? Il mio amico deve trascinarmi in giro con la sedia a rotelle e caricarmi in auto perché io non riesco neanche a muovere le gambe! Che cazzo avete da guardare ancora?
- Aiden ...
Keno aveva sgranato gli occhi, incredibilmente lo vidi ridere forte – Guarda, li hai fatti scappare. La tua mega sedia a rotelle incute timore
- Vai a fare in culo – dissi in un sospiro stanco.
- Non fare lo stronzo. Non sarà sempre così ... ti sei risvegliato due settimane fa, Aiden.
Peccato, pensai. Avrei fatto meglio a non risvegliarmi e basta se quello era il futuro che mi attendeva. Mesi e mesi trascorsi a dipendere da mia madre, Keno ed Andrew perfino nelle mansioni più banali. Dov'era la mia dignità? Che senso aveva essere vivi se tutto ciò che potevo fare era starmene seduto o sdraiato da qualche parte, in attesa che qualcun altro venisse a portarmi fuori o in bagno?
- Sono peggio di un cane
Keno mi guardò attentamente – In effetti hai i capelli più lunghi del solito, anche un po' di barbetta. Sarà il caso di dare un taglio domani
- Vattene.
Quello ghignò – E poi chi guida? Fammi indovinare ... tu non di sicuro.
Lo sentii ridere alla sua stessa battuta. Mi prendeva per il culo, scherzava sulla mia condizione e non me ne poteva importare meno. Non c'era pietà nel suo sguardo, era solo il solito Keno. Uno stronzo del cazzo che faceva humour su qualsiasi cosa, anche sul suo amico paralitico e incazzato.
- Ho un'idea migliore invece.
- Quella di accelerare fino a quando non facciamo un volo dalla scogliera? Io ci sto.
- Sta calma, Thelma. Non è ancora arrivato quel momento – Keno rise appena, poi fece un'inversione a U che ci riportò indietro.
Non stavamo tornando all'appartamento di Andrew, questo era poco ma sicuro. Lanciai un'occhiata fuori, verso il cielo plumbeo sulle nostre teste e l'autostrada immensa e affollata. Stavamo andando verso il mare.
- Keno, non sono dell'umore per farmi una gita ... portami a casa e basta. Sono stanco
- Stanco anche di questa?
Poi tirò fuori una canna dal cruscotto. Bella e fatta. Lo guardai, adesso colpito.
- So che non potresti fumartela, ma oggi mi sento magnanimo e quindi ti lascerò fare un piccolo strappo alla tua dieta. Ti va?
Me lo lesse nello sguardo, perché il suo sorriso si fece ancora più ampio.
- Ah, conosco i miei polli.
- Non gongolare troppo. Qualsiasi cosa mi faccia dimenticare per un po' la mia vita di merda è ben accetto. Mi farei praticamente di qualsiasi cosa
- Allora perché non chiedi al tuo amico Levin? Sembra che abbia ripreso come si deve.
- Beato lui – commentai – e poi non siamo amici. Ci ho parlato un paio di giorni fa, gli ho spiegato la mia situazione con Andrew e lui ha capito.
Un attimo di silenzio, Keno parve irrigidirsi accanto a me, poi mi lanciò un'occhiatina fugace prima di tornare a fissare la strada
- E quale sarebbe la situazione tua e di Andrew?
Non era così semplice da spiegare e il suo tono non mi incentivava a parlarne. C'era qualcosa in sospeso tra quei due, non ricordavo che fossero mai andati d'accordo, non c'erano state uscite tra noi ed ero certo che Keno avesse delle ragioni decenti per avercela con Andrew. Ma dopotutto quello che era successo non importava, dovevano trovare un modo per andare avanti e imparare a coesistere.
- Una situazione confusa, direi – dissi alla fine, dopo un silenzio lunghissimo.
- Che vorresti cambiare?
Scossi la testa – Vorrei chiarire e capire.
- Capire cosa?
- Se un giorno sarà possibile risolvere le cose. Tornare insieme – ammisi alla fine.
Keno annuì, non volevo guardarlo e scoprire che per qualche ragione le mie parole lo avevano contrariato, così mantenni il mio sguardo fermo sulla strada che si apriva davanti a noi. Ecco Coney Island con la sua spiaggia infinita e piena di luci, ma parecchio vuota in inverno e a quell'ora del pomeriggio. Il rifugio perfetto per fumare un po' e sballarsi. Lo facevamo spesso prima, erano ricordi che sembravano appartenere ad una vita fa, dove tutto era più leggero e i problemi non erano mai così grossi da minare davvero la nostra esistenza.
- Aiden ...
Mi voltai verso Keno – Cosa?
- Per un solo pomeriggio possiamo non preoccuparci di Andrew? Siamo qui, come ai vecchi tempi. Godiamoci il momento e basta ...
Aveva ragione, la brezza fredda mi colpiva il viso adesso. Keno aveva abbassato i finestrini e parcheggiato accanto al solito chiosco dove ci rifornivamo di gelato.
- Suppongo che dopo avremo fame – dissi, pregustando il resto
- Ecco perché vado a prenderli adesso, tanto con questo freddo non si scioglieranno. Cioccolato e amarena in arrivo.
- Amarena ... che schifo – lo presi in giro come sempre, di rimando mi beccai il suo solito dito medio.
Forse tutto era cambiato, ma non noi due. Potevo ancora essere me stesso con lui.

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