33. Burning Fire

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Vita brevis, ars longa, occasio praeceps, experimentum periculosum, iudicium difficile – Ippolito
"La vita è breve, l'arte è lunga, l'occasione fuggevole, l'esperimento pericoloso, il giudizio difficile"

LEVIN

Ero rimasto ammaliato dalle fiamme artificiali del camino che danzavano davanti ai miei occhi, sembravano divorare l'aria e lambire ogni cosa. Una perfetta rappresentazione di quello che stavo provando ultimamente tutte le volte che mi trovavo con lui. E poi c'era quella sensazione appagante di torpore, la morbidezza del tappeto sotto il mio corpo nudo e soddisfatto, la musica bassa che proveniva dalla sua stanza da letto. E lui era lì, steso accanto a me con una sigaretta tra le labbra e soltanto i boxer addosso. Aveva appoggiato la testa su un cuscino tirato giù dal divano, il suo profilo era bellissimo, il piccolo neo sullo zigomo che avevo baciato, le ciglia lunghe che gettavano un'ombra scura sulle guance magre. Poi quelle labbra capaci di farmi perdere ogni contatto con la realtà.
- Scommetto che hai fame adesso
Si era voltato verso di me mentre cercava il mio viso con la mano. Fece scivolare il suo indice lungo il profilo del mio volto, un tocco leggero, perfetto, che mi costrinse a bloccargli il polso per posargli un bacio.
- Perché? Sai anche cucinare? – chiesi, ironico
Andrew sollevò un sopracciglio con aria di finto fastidio – Non hai idea di quante cosa sappia fare. Anzi, ora che ci penso credo che tu stia iniziando a scoprirle. Come vedi sono un uomo ricco di sorprese. Adesso dimmi cosa vuoi mangiare
- Ah, posso anche scegliere?
Lo attirai a me per baciarlo di nuovo, con lo stesso trasporto di sempre. Perché a quanto pare Andrew provocava in me effetti che non avevo ancora considerato, era stato come scoprire una nuova dipendenza diversa dalle droghe, ma altrettanto micidiale. Peccato che nessuno mi avesse avvertito delle controindicazioni.
La sua lingua danzava con la mia, quei suoni mi eccitavano in modo incredibile. Poi si fece indietro, un sorrisino malizioso sulla bocca.
- Ho bisogno di cibo prima di riprendere. Sono venuto tre volte in due ore ...
- E non sei più un ragazzino. Hai ragione – dissi con l'intento di provocarlo. Andrew mi diede un altro bacio, stavolta più feroce, quasi doloroso. Mi succhiò le labbra e me le morse appena.
- Indisponente figlio di puttana.
Stavo ridendo di gusto adesso – Zitto e sfamami. Allora? Cose c'è nel tuo menu?
- Carbonara?
- Wow, italiano. Pretenzioso, direi. Sicuro di farcela?
- Preparo una carbonara da orgasmo – ribatté lui, con aria ferita
- Un altro? Dovremmo andarci piano – poi lo lasciai andare, spingendolo a sollevarsi da lì. Anch'io stavo iniziando ad avere fame, mi resi conto.
- Cucino soltanto se vieni a sederti sul bancone, dove posso vederti. Sarai la mia musa ispiratrice.
Aveva allungato la sua mano verso di me, in attesa che l'afferrassi. Così lo feci, una bella spinta che mi fece finire dritto contro il suo corpo, dove Andrew mi tenne fermo per un po', continuando a cospargermi di baci sul collo.
- A-andrew? Dovevamo mangiare, ricordi? Di questo passo non se ne parla prima di mezzanotte ...
- Hai ragione. E' meglio non perdere tempo, perché dopo cena pretendo il quarto round.
Lo sentii sospirare forte, poi, con estrema lentezza, mi lasciò proseguire verso il fondo della stanza. I miei boxer erano finiti sul tavolino del salotto, li raccolsi e me li infilai a fatica. Ero parecchio provato dopo due ore trascorse con Andrew, avevo conosciuto intimamente la colonna che reggeva parte del soffitto e che adesso stavo accarezzando piano, quasi volessi ripercorrere l'inizio di quella serata. Ero rimasto aggrappato a quella mentre Andrew mi aveva preso da dietro, in piedi l'uno contro l'altro, fino a quando non avevo cambiato posizione perché volevamo vederci. Quella era stata la prima volta. Bellissima, selvaggia, eccitante, ci aveva lasciato senza fiato e sconvolti. Ecco perché avevamo ripiegato sul divano subito dopo. Lì era stato diverso, meno sconsiderato e più lento, Andrew si era preso cura di ogni centimetro del mio corpo e quella volta ero venuto soltanto con la sua bocca, in un'esplosione di eccitazione. Poi era stato il mio turno, mi ero inginocchiato sul tappeto morbido del suo salotto mentre lui era ancora seduto sul divano. Lo avevo visto agitarsi e gemere, poi pregarmi di non fermarmi, di continuare sempre di più. Mi aveva afferrato i capelli e avevo lasciato che fosse lui a dettare il ritmo sulla sua erezione, era impazzito, lo avevo spinto al limite ed era stato bellissimo. Poi c'era stato il tappeto, Andrew mi aveva provocato e fatto incazzare, ero finito a cavalcioni su di lui e dal wrestling eravamo presto passati ad altro.
Adesso seguivo i suoi movimenti lungo la cucina come se stessi osservando l'ottava meraviglia del mondo. Non andava bene, pensavo, sentendo qualcosa di strano dentro, il cuore che batteva sempre troppo forte, una strana agitazione che non voleva lasciarmi e quel dannato respiro mozzo. Con Aiden non era mai stato in quel modo, ero attratto da lui, lo desideravo, ma era diverso ... era sicuro.
- Cucinavi anche per lui?
Avevo parlato senza pensare. Andrew aveva sollevato gli occhi dal bacon che stava tagliando per posarli sul mio viso. Allungò il collo per posarmi un bacio sulla spalla che mi fece rabbrividire
- Ho cucinato solo per i miei genitori e per i miei colleghi – poi sembrò riflettere un attimo – e adesso per te – concluse
Quella risposta mi aveva soddisfatto più di quanto mi piaceva ammettere. Mi passai una mano sul viso bollente
- Perché?
- Ero solo curioso – feci spallucce, ma non era solo quello il punto. Non era curiosità fine a sé stessa, era qualcosa di diverso e più profondo, con una punta di dolore da qualche parte.
- E che facevate? Andavate in giro? Viaggi? Concerti?
Vidi Andrew piegare le labbra in un sorrisetto amaro – Scopavamo. Parecchio. Fine.
Lo avevo sentito chiaramente a quel punto, potevo riconoscerlo. Era un fastidio che mi attanagliava lo stomaco e che mi metteva in ansia ... ed io non ero mai stato geloso. No, non avrei fatto crescere quel seme di odio dentro di me. Non potevo
- Vuoi assaggiarla?
Annuii, Andrew portò una forchetta con un pezzetto di pancetta davanti alle mie labbra. La mangiai e la trovai buona, non quanto il bacio che la seguì però. Quello era decisamente meglio, mi fece sciogliere e annaspare appena, Andrew era tornato a cingermi la vita con le braccia e la sua pelle era così dannatamente calda e perfetta. Lo lasciai andare dopo parecchio tempo, quando respirare stava diventando impossibile e il borbottio dell'acqua sul fuoco ci aveva riportato al presente. Andrew si lasciò andare ad una risatina tesa
- Accidenti Levin, qui abbiamo un problema ... - il suo tono era apparentemente scanzonato, i suoi occhi però si erano incupiti.
Il mio cuore si riempì di una cupa speranza nel vederlo in difficoltà, capii che non ero il solo a sentirsi in quel modo, anche Andrew condivideva una parte di quelle sensazioni a cui stentavo a dare un nome.
- Non ci pensare adesso, ok?
Andrew aveva sollevato il viso verso l'alto, poi aveva sospirato – Vado a darmi una sciacquata veloce di là, fa davvero troppo caldo. Tieni d'occhio la pasta, ok? Torno subito.
Lo avevo lasciato andar via, sfiorando per un'ultima volta le sue dita ancora immobili nelle mie. Poi ero rimasto lì da solo, seduto sul bel bancone bianco della sua cucina impeccabile e ultramoderna, illuminata dai piccoli faretti sul soffitto che lanciavano una luce discreta e perfetta per quella serata. La stanza era immersa quasi totalmente nel buio e fu quello il momento in cui i miei occhi caddero su un oggetto ben noto che faceva capolino da un angolo della stanza.
Mi sollevai in fretta e subito capii che non mi ero sbagliato. C'era una bella chitarra acustica dietro una delle poltrone che decoravano il salotto. La presi tra le mani, rigirandola davanti ai miei occhi per analizzarne la fattura. Niente di speciale, solo un'acustica da un paio di centinaio di dollari, più o meno lo stesso modello della mia prima chitarra. Passai i polpastrelli sulle corde tese e dure, una sensazione strana, quasi elettrica. Erano fredde, mi sembrava di stringere un vecchio amico che avevo evitato per molto tempo. Uno di quelli problematici, capaci di trascinarti sempre in mille avventure che spesso non finivano bene.
L'avevo portata con me sul tappeto e lo avevo fatto senza pensarci. Era il mio corpo ad agire prima del mio pensiero, le mie mani che si muovevano a cercare la posizione giusta per formare quel determinato accordo. Era così semplice, così naturale ... le note veniva fuori limpide e precise, come se non fosse passato neanche un giorno dall'ultima volta che avevo toccato una chitarra. Invece erano trascorsi due lunghi anni di silenzio. Ero rapito da quella melodia, era una vecchia ballata per acustiche che avevo scritto molto tempo prima e che stavo ricordando nota dopo nota, erano come pezzi di un puzzle che tornavano al loro posto dopo un viaggio infinito e disperato. Ero estraniato da tutto, cullato solo dalla melodia che le mie dita producevano, avevo chiuso gli occhi. Mi sentivo a casa dopo molto tempo. Come avevo potuto lasciarla andare via in quel modo? Avevo mai capito quanto mi stesse mancando prima di riprendere quella chitarra tra le mani ed iniziare a suonarla?
Un'ombra davanti ai miei occhi ed Andrew era sulla porta. Mi fissava da chissà quanto tempo ed io ero stato così perso nella musica da non averlo neanche notato. Bastò vederlo lì per farmi immobilizzare. La musica cessò, mi sentivo come un assassino su una scena del crimine, così posai la chitarra a terra
- No, continua pure. Non volevo distrarti! Sei bravissimo, Levin. Non sapevo che suonassi ... è stato davvero – Andrew era senza parole
- Non suono più infatti – dissi in tutta fretta, sollevandomi da lì con la scusa di controllare la cottura.
- Tranquillo, ci penso io qui. – il suo viso si era fatto attento, sentiva che c'era qualcosa di strano in me. Mi venne vicino
- Che ti prende? Perché hai smesso? E' uno spreco bello e buono
Scossi la testa, quello strano avvicinamento ad una cosa che reputavo morta e sepolta mi aveva destabilizzato un po'. Anche i polpastrelli mi facevano male dove erano entrati in contatto con le corde dure e tese della chitarra, non ero più abituato. Andrew mi fissava, in cerca di una spiegazione
- Ho smesso quando sono finito al Crossoroads e da quel momento in poi non ho più ripreso. Oggi è stata la prima volta in due anni ...
Gli diedi le spalle, non avevo voglia di parlarne, volevo soltanto lasciar perdere, mangiare la pasta che Andrew aveva preparato per me e pensare ad altro. Lui mi era venuto vicino, sentivo il suo respiro infrangersi contro il mio collo, poi mi strinse contro il suo petto, in un abbraccio da dietro. Mi rilassai in fretta, ruotando il collo di lato per accogliere la sua bocca. Sarei voluto rimanere in quel modo per sempre, con il corpo fresco e profumato di Andrew che mi reggeva, le sue braccia intorno alla mia vita e la dolcezza dei suoi baci con cui cospargeva le mie spalle.
- Beh, puoi suonare quanto ti pare qui. Non ti disturberà nessuno
Abbozzai un sorriso, poi mi voltai verso di lui – E tu suoni?
Andrew si lasciò andare ad un'espressione carica di panico – Suonare è una parola grossa. Diciamo che strimpellavo qualche volta, soprattutto in spiaggia quando io e i ragazzi ci riunivamo per qualche festa, ma niente di memorabile. Sono stato la più grossa delusione di mia madre! – disse con fare teatrale
- Davvero? Perché è una musicista?
- Suona il piano. Mia madre è l'artista di casa, ha anche provato a farmi appassionare a quello che piaceva a lei, ma io ero un disastro. Ho preso un anno di lezioni e poi l'ho pregata di farmi smettere – Andrew rise, sembrava divertito da quei ricordi – e dopo due mesi ho iniziato a fare boxe e nuoto. Mi piace la musica, ma non sono dotato ... non in quel campo almeno
Un'altra occhiatina maliziosa e divertita – Tu sei un uomo d'azione – lo provocai
- Puoi dirlo forte.
Mi passò vicino, era così affaccendato ad impiattare che mi trattenni dall'importunarlo ulteriormente. Era ancora più bello da concentrato, con le labbra un po' stirate e lo sguardo attento, i muscoli sempre in bella vista sotto una t-shirt che forse usava come pigiama. Mi chiesi se anch'io stessi percorrendo la strada di Aiden e quel pensiero mi preoccupò.
- Vieni a sederti, è pronto. E fammi sapere che te ne pare – il suo tono era carico di orgoglio, adesso mi fissava, in attesa di ascoltare il mio giudizio.
Il profumo era ottimo e anche la presentazione faceva venire l'acquolina in bocca. Presi una forchettata di pasta e l'assaggiai
- E' buona, lo ammetto – fantastica, avrei voluto dire, ma non volevo far lievitare l'ego di Andrew fino alle stelle.
- Solo buona? – lui si finse sconvolto – oh, come siamo esigenti. Sai, forse avrei dovuto cucinare per qualcuno di più meritevole
- Tipo? – rimasi con la forchetta a mezz'aria e un'espressione di sfida sul volto – stai parlando di qualcuno dei tuoi ex, per caso?
- Saresti geloso?
Un'altra provocazione, e per fortuna che dovevamo viverci il presente, pensai. Andrew allungò la sua mano libera verso il mio braccio, a giudicare dalla sua faccia divertita avrei potuto giurare che se la stava spassando
- Ci sarebbe qualcosa di male se lo fossi?
Lo avevo visto tentennare per un attimo, poi aveva intrecciato le sue dita alle mie e mi aveva guardato in modo diretto
- Potresti essere geloso se qualcuno in passato fosse contato abbastanza per me da lasciarmi qualcosa di indelebile dentro, ma non è mai successo. Quindi, beh ... vuoi essere geloso del nulla?
Quella frase mi aveva lasciato una strana sensazione addosso, quasi un malumore. Mi chiesi se anch'io avrei finito per non lasciargli completamente niente.
- E' questo che dirai di me al prossimo ragazzo che porterai qui a casa? – il mio tono era apparentemente sereno, non volevo che vedesse troppo
- Parlare? E chi parla ... credimi, sono più interessato a farci altro di solito – poi un attimo di silenzio carico di pensieri – e la tua presenza qui è tra le cose più inaspettate che mi siano mai capitate in vita fino a questo momento. Tra mille ragazzi e possibilità io sono finito qui con te ... con l'amante del mio ex! Quindi, di cosa stiamo parlando? Tu sei l'eccezione, non la regola, Levin Eickam. Inizia a fartene una ragione, non esiste alcun parametro su cui poter basare la nostra relazione.
Andrew mi aveva pizzicato la guancia in un gesto affettuoso, poi era tornato alla sua pasta con un'aria apparentemente tranquilla.
Eravamo fuori dagli schemi, come due proiettili impazziti la cui traiettoria era impossibile da prevedere. Chi avremmo colpito? E soprattutto: quanto tempo ci rimaneva prima di andare a sbattere inesorabilmente contro il muro cementato della realtà?
Guardavo il suo viso e mi perdevo nella sua perfetta simmetria, e più lo fissavo, più realizzavo che i giochi erano finiti per me, quello che stavo iniziando a provare per lui era qualcosa di maledettamente intenso. Eppure non osavo parlare. Non volevo dirlo ad alta voce e rischiare di mandare in fumo ogni cosa.
Poi Andrew mi fissò e dal suo sguardo carico di parole non dette capii che lui sapeva già tutto. L'unico gioco a cui stavamo giocando era quello del silenzio.

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