14. You don't know me

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Alis volat propriis - Proverbio

Si vola con le proprie ali


CALLUM
Ero immerso in uno strano torpore, svegliarmi sembrava un'impresa impossibile ma riuscii ad aprire gli occhi, purtroppo, mettendomi a sedere sul letto, compresi ancora una volta che non era casa mia. Ero di nuovo nell'appartamento di Alencar, nella sua stanza, nel suo letto, uno strano sollievo mi colse quando notai che indossavo ancora l'intimo. Ispezionai la camera con lo sguardo ma era deserta, scesi cautamente, notai la parrucca poggiata sul comodino, un preservativo ancora sigillato per terra e un suono leggero. Quando arrivai davanti alla porta della stanza mi resi conto che si trattava dello scrosciare dall'acqua, lui doveva essere sotto la doccia.
Recuperai i miei vestiti e li indossai frettolosamente, ero già in ritardo per la scuola ma quando passai davanti alla porta del bagno notai che era accostata. Non riuscii a superarla immediatamente, mi ritrovai lì ad osservare timidamente dallo spiraglio aperto, c'era parecchio vapore ma riuscivo a distinguere i suoi lineamenti all'interno del box appannato. Poi il rumore d'acqua cessò e lo vidi uscire ancora gocciolante, passò un telo lungo il corpo per asciugarsi sommariamente e poi lo legò in vita. I suoi capelli rossi erano bagnati e luccicanti, li portò indietro aiutandosi con il pettine e poi si voltò.
Per una manciata di secondi i nostri sguardi si incrociarono, io rimasi lì inerte, incapace di muovermi e lui non disse niente, poi si avvicinò e a quel punto anche io mi spostai prontamente. Feci qualche passo indietro allontanandomi dalla porta per dirigermi verso l'uscita, volevo provare a scappare prima che mi raggiungesse.
- Callum!
Quando sentii quella voce e quel tono serio il mio corpo si piantò al suolo, come se di colpo del cemento si fosse solidificato sulle mie gambe, mi voltai timidamente mentre cercavo di pensare a cosa dire.
- Io ... sono in ritardo ... per la scuola – abbozzai alla fine mentre cercavo di evitare il suo sguardo diretto.
- Ti serve un passaggio?
Continuavo a tenere lo sguardo basso, feci segno di no con la testa ma poi qualcosa di totalmente inappropriato mi uscì di bocca.
- Siete andati a letto insieme? - mi maledii nell'esatto istante in cui quelle parole uscirono dalle mie labbra.
- No – la sua risposta arrivò dopo qualche secondo, in un tono così calmo che ebbi finalmente il coraggio di guardarlo.
Era ancora nudo, con soltanto il telo legato in vita, un ciuffo di capelli bagnati che gli era ricaduto sulla fronte e la pelle umida.
Continuai ad aprire bocca, contro ogni legge della logica – è successo qualcosa a causa mia?
- Non è niente che ti riguarda – rispose con tono secco.
- Voglio solo provare a vivere una vita normale, so che credi che io non ne abbia il diritto ma
- Tu non sai cosa credo Callum, non parlare al mio posto – disse quello interrompendomi – so bene dove vuoi arrivare
- Invece no – dissi bruscamente e lui restò interdetto per qualche istante – tu non sai niente di me, non hai mai perso tempo a cercare di conoscermi, di capirmi. Penso che in questi anni ho imparato più io cose su di te che il contrario, semplicemente perché quando ti guardo io ti vedo, ti considero, mentre quando tu guardi me non vedi niente
Avevo il cuore in gola, mi voltai e questa volta non arrivò nessuna voce a fermare la mia fuga, lasciai la casa il più velocemente possibile con quella dannata parrucca stratta nel pugno. Gli occhi profondi di Alencar mi avrebbero perseguitato per tutto il giorno, però ero lieto di aver messo io il punto per una volta.
È una brutta vita, ma può ancora essere la mia.
Era l'unica speranza che mi faceva ancora muovere, qualcosa a cui aggrapparmi, forse potevo ancora conquistare un briciolo di normalità, provare almeno a battermi per averla. Cercavo di tenere strette le parole che mi aveva rivolto Levin, ribellarsi era qualcosa che non credevo di riuscire a fare, eppure in qualche modo, con minuscoli gesti quotidiani sentivo qualcosa cambiare nel mio folle mondo.  


  Ero tremendamente in ritardo quando arrivai a scuola quella mattina, avevo saltato le prime due ore ed ero certo che avrei preso un richiamo per quello. Mentre attraversavo rapidamente il cortile per raggiungere l'aula di matematica vidi la figura di Levin in attesa del suo turno per svolgere l'esercizio di ginnastica. I nostri sguardi si incrociarono, lo vidi accennare un gesto con la testa, come una sorta di saluto e poi portò due dita alle labbra come se reggesse una sigaretta, infine fece roteare l'indice. Voleva fumare una sigaretta con me più tardi? Quella prospettiva mi fece emozionare leggermente, qualcuno aveva voglia di passare del tempo con me? Mi affrettai a fare un cenno d'assenso prima che l'attenzione del biondo tornasse verso l'insegnante.
Non riuscivo a smettere di sorridere per quell'avvenimento, riuscivo persino a pregustare la pausa pranzo in compagnia di un'altra persona. Da quando il mio inferno personale era cominciato non avevo più avuto un amico e anche se Levin non potevo ancora definirlo tale, era ciò che ci somigliava di più.
Quando presi posto nell'aula di matematica quella lieve gioia che mi aveva pervaso la mente fu spazzata via da un paio di occhi furiosi che mi fissavano. Maxwell era uscito dall'ospedale, non era ancora perfettamente in forma, anzi, la sua faccia sembrava uno spettacolo dell'orrore. C'erano parti ancora gonfie, il naso era coperto da uno spasso cerotto di garza bianco e i suoi occhi come alcune parti degli zigomi erano violacee. Questo era solo la parte visibile, ero pronto a scommettere che sotto i vestiti la situazione non fosse differente.
La parte davvero preoccupante era che il suo sguardo traboccante di odio non smetteva di fissarmi. Cercai di prestare attenzione, spostare gli occhi dalla sua figura ma per tutta la lezione potevo sentire il suo sguardo su di me, la rabbia che trasudava.
Appena la campanella suonò mi sollevai immediatamente e schizzai via sperando che non mi seguisse, non volevo finire nei guai, non volevo avere a che fare con qualche grossa faida. Non avevo chiesto io ad Alencar di picchiarlo ma questo ovviamente Maxwell non lo sapeva o probabilmente non gli sarebbe importato a prescindere, dovevo riuscire a evitarlo.
Scappa e nasconditi.
Non mi voltai indietro, camminai svelto per i corridoi e salii al secondo piano, chiudendomi nel bagno dei ragazzi. Sentivo le gambe tremare leggermente e avevo il fiato corto, mi spostai verso il lavandino e, dopo aver fatto scorrere l'acqua fresca, mi sciacquai il viso un paio di volte per cercare di calmarmi.
Avevo ancora le goccioline d'acqua che imperlavano la mia pelle quando la porta del bagno si aprì rivelando la figura di Maxwell, non ero fuggito abbastanza in fretta.
- Eccoti qua Fimmel, quasi temevo che oggi saltassi la scuola – mormorò con voce carica di sadismo.
Io indietreggiai istintivamente, non c'era scampo, non potevo nemmeno illudermi di arrivare alla porta – senti io ... - la bocca mi si seccò – quello che ti è successo non è colpa mia
- Tu dici? - commentò lui facendo un passo avanti – e cosa mi è successo secondo te? sentiamo!
Tacqui, non avevo il coraggio di dire o fare niente, vederlo avanzare mi provocava infinite fitte allo stomaco, riuscivo quasi a sentire il dolore dei pugni che sarebbero arrivati sulla mia pelle.
- Quello psicopatico di merda mi ha pestato! – ringhiò – sono finito in ospedale per colpa sua
- Lui non – tentai di dire – io non c'entro niente ...
- Risparmiami i tentativi di scuse, quello stronzo mi ha chiarito bene che non posso toccare il povero Callum nemmeno con una piuma – disse sputando quelle parole a pochi centimetri dal mio viso – e sai cosa pensavo mentre ero sdraiato su quel letto del cazzo a mangiare sbobba da ospedale? – ringhiò – pensavo a quella diceria, quella voce che gira secondo cui il caro Alencar si scopa il tuo culo secco. Qualcuno dice che non sono stato il solo a finire in ospedale a causa sua, anni fa qualcun altro si è preso il trattamento completo! – le sue labbra si tesero come due corde ai lati della bocca in un ghigno malevolo – è questa la verità? Ti fai scopare da lui in cambio di protezione?
Mi portai la meni alle orecchie per cercare di smettere di sentire quelle parole che mi piovevano addosso come aghi conficcandosi ovunque.
- Smettila! Non è vero! Non è vero! Tu non sai niente, smettila! – urlai cercando di coprire la sua risata soddisfatta.
Il mio corpo era di nuovo prossimo al tracollo, il respiro mi si mozzava, la bocca era più arida del deserto e mi veniva da vomitare. Sentii una forte pressione al braccio destro e quando sollevai i miei occhi pieni di terrore vidi Maxwell che mi teneva il polso e mi strattonava verso di lui.
-Ascoltami bene piccolo stronzo malato, se credi che mi faccia mettere i piedi in testa da quello psicopatico ti sbagli di grosso – ringhiò – tu riprenderai a fare i saggi che ti chiedo e tutto quello che cazzo mi serve che tu faccia, altrimenti io mi metto a spargere la voce sul tuo segretuccio perverso. Mi hai capito? Dico a tutti quanti come ti fai scopare e mi assicurerò che non resti solo una voce lontana, farò in modo che nessuno vorrà più sedersi nemmeno a due metri da te. I vostri genitori non vivono insieme? Pensa un po' se arrivasse anche a loro la voce! Se il preside e i professori sapessero di voi e di lui. Ti piacerebbe se raccontassi in giro i suoi traffici, potrei anche denunciarlo per quell'aggressione!
Poi mi lasciò andare e io mi afflosciai come un pupazzo schiacciato dalla forza di gravità, non lo guardavo, tenevo gli occhi fissi sulle mattonelle, notai solo la sua ombra sparire dalla visuale e dei passi che accompagnavano la porta del bagno mentre sbatteva.
Restai così, a terra e in silenzio, non riuscivo a trovare la forza o una motivazione qualsiasi per sollevarmi e camminare.
Click.
Un suono leggero mi fece tremare ancora più delle parole che Maxwell mi aveva rivolto qualche istante prima, c'era qualcuno nel bagno. Mi ci volle tutto il coraggio che mi era rimasto per spostare lo sguardo in alto e fissare la figura che usciva dal cubicolo silenziosamente.
Era Levin, lo sgomento e la disperazione che mi afferrarono quando quella consapevolezza fu chiara erano devastanti. Proprio lui fra tanti aveva assistito a quella discussione, aveva sentito quelle parole, quella verità sconcertante su ciò che mi riguardava. L'unica persona con cui avevo sperato di costruire qualcosa di buono conosceva la verità più disgustosa di me, perché anche se io non avevo il controllo su ciò che Alencar e Celia facevano, la faccia che tutti vedevano era la mia.
Era colpa mia, ero io il viscido disgustoso, ero io quello che si fa fottere dal figlio del fidanzato della madre in cambio di protezione.
Levin mi fissava in silenzio, dal suo volto non riuscivo a intravedere nessuna emozione precisa e questo forse mi faceva più paura del dovermi confrontare con il suo disgusto. Lo vidi muoversi leggermente, un accenno nella mia direzione mentre le sue labbra si schiudevano appena.
Non potevo sentire quello che aveva da dire, anzi, non volevo, non era in grado di affrontare l'ennesimo smacco quel giorno, l'ennesimo sputo. Arrancai a fatica e mi misi in piedi, prima che lui potesse aggiungere delle parole in quel denso silenzio mi gettai sulla porta e fuggii.
Stavo perdendo il controllo, sentivo il mio cuore battere forte e l'attacco di panico incasinarmi il cervello, sentivo come se fossi immerso in un pozzo senza che potessi avere speranza di raggiungere la superficie. Mi sentivo come se il mondo fosse lo spettatore del mio annegamento, del mio personale annientamento mentale, barcollavo e intorno a me non riuscivo nemmeno a capire dove fossi diretto. Le persone erano lontane, la realtà era una tempesta gelida e la fioca candela che reggevo per illuminarmi la strada si era spenta, con un'ultima folata di vento siderale.
Ero solo, ero al buio.

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