13. ritorno alla corte

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La Corte non era più come la ricordavo.

Prima di tutto, un tempo, i cancelli erano aperti, mentre ora la fuga era difficile tanto quanto l'entrata. La tensione si espandeva fra noi come un virus.

"Non mi convince questo posto." Isaie storse il naso, combattuto. "E sono certo che ci siano delle sentinelle pronte a spararci sopra quelle torri."

Alzai lo sguardo, osservando le sottili fessure incise nelle torri di comando. Non vedevo nulla, ma sapevo che Isaie aveva ragione.

Sbuffai, inumidendomi le labbra, e scesi dall'auto offerta dal Popolo, avanzando verso l'entrata.

"Marine? Marine, dove vai?" Isaie mi chiamava da dentro l'auto, ma non osò scendere, sapendo ciò che l'avrebbe aspettato.

"Sono Blue Marine Thompson, la mezzosangue," urlai, continuando a guardare verso l'alto. "Sono qui per parlare con il vostro reggente."

Ci fu un tetro attimo di silenzio, in cui io non fece altro che aspettare e sospirare, sperando di non ritrovarmi con un proiettile nel cuore. Non avevo idea di cosa mi avrebbe aspettato oltre quelle mura.

Alla fine,  i cancelli si aprirono.

"Marine, ritorna in macchina," mi ordinò Isaie, ed io fui ben felice di eseguire, tornando finalmente a respirare. Non mi ero resa conto stessi sudando.

"Devi stare attenta, Marine: ti ricordo dove siamo ora," commentò, mentre rimetteva in moto l'auto ed entrava nelle mura. Qui, la Corte non era più la stessa.

Il mercato era inesistente, con tutti i soliti banchetti abbandonati al loro destino senza più una singola merce esposta. Non c'erano demoni in giro, solo dei soldati, stretti nelle loro divise color sangue.

"In realtà, non riconosco questo posto," ammisi, aspramente, scendendo non appena arrivati davanti al grande portone della villa. Non avevo mai notato ci fossero delle guardie armate. "Forse dovrei entrare da sola."

"Questo è escluso." Isaiei mi seguì, avvicinandosi a me con un sorriso, scompigliandomi i capelli. "Ho giurato di restarti al fianco."

E questo era il problema: chi mi stava vicino finiva inesauribilmente per soffrire, e lui non meritava questo.

"Isaie, credo-"

"Marine?"

Mi voltai, sorpresa dal sussurro leggero alle mie spalle, e subito spalancai gli occhi quando notai Serena, bellissima nella sua divisa scarlatta, corrermi incontro con gli occhi chiari sgranati. "Marine, non posso crederci."

Mi abbracciò, con la gentilezza di una sorella, e ancorò con forza le sue unghie nella mia schiena magra. Fra le mie braccia, sentii la giovane demone respirare a pieni polmoni. "Marine, devi fare qualcosa: ti supplico."

Bloccata nel respiro, la allontanai da me, cercando di calmarmi nonostante le emozioni che mi stringevano il petto. "Dov'è lui?"

"Sul suo trono," disse, semplicemente, prima di lanciare uno sguardo sbilenco a Isaie. "Lupo mannaro?"

"Sorella del dittatore?"

Serena, incredibilmente, sorrise. "Ti conviene starci vicino, prima che qualcuno decida di usarti come parte del pranzo. Andiamo."

La bionda ci camminava avanti, risoluta, mentre Isaie continuava a tenere il broncio ed io mi guardavo intorno, non lasciandomi sfuggire nulla: sembrava tutto più triste, più grigio, come se parte dell'umore di Aima si fosse impresso nelle pareti del castello.

Ogni singola cosa mi ricordava che io gli avevo spezzato il cuore.

"E' qui. Sta aspettando, credo."  Serena mi sfiorò i capelli, accarezzandomi con tenerezza. "Non è stato lui per settimane: se riesci, aiutalo."

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