04 • silenzi

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Rispondete sul fondo, plz💕

Scappai nell'unico luogo che potevo dire di conoscere, anche se, certamente, non reputavo sicuro: la camera di Aima, ancora bardata con le pesanti tende in modo da celarmi dal mondo esterno

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Scappai nell'unico luogo che potevo dire di conoscere, anche se, certamente, non reputavo sicuro: la camera di Aima, ancora bardata con le pesanti tende in modo da celarmi dal mondo esterno.

Nemmeno in quel momento ebbi il coraggio di scostarle, e, magari, dare una sbirciatina all'esterno, perché sapevo, in tal caso, il mio umore non sarebbe che peggiorato: la vita era là fuori, mentre io ero chiusa in quella stanza.

Non volevo provocarmi altro dolore.

Strinsi con tenerezza la felpa di Ethos al petto, coccolandola con gentilezza mentre lasciavo il mio viso immerso in questa, beandomi dell'ultimo rimasuglio del profumo dell'angelo, l'ultima cosa che ancora riusciva a riportarmi un poco di calma nonostante la tempesta in cui ero stata trascinata così bruscamente.

Mi avevano strappato da casa mia, il posto in cui stavo, finalmente, iniziando a rifiorire, per buttarmi letteralmente al centro del male.

Non potevo credere che parte di questo vivesse in me, e che, certe volte, fosse proprio questo a controllarmi: non volevo essere come loro, non volevo essere considerata al loro pari.

Io volevo solo tornare a casa.

Mi affrettai ad asciugarmi le lacrime quando sentii la porta di metallo aprirsi e vidi Ivar svolazzare sul suo trespolo, sbattendo più volte le penne nere e puntandomi addosso i suoi piccoli occhietti rossi: non gracchiò, come suo solito, ma era palese che mi avesse già scoperto.

"Ciao."

Aima mi passò affianco senza quasi guardarmi, soffiando quel saluto per pura educazione mentre si avvicinava all'armadio nero, iniziando a cercare dei vestiti puliti con cui cambiarsi.

Lo osservai di sottecchi, seguendo la curva della sua schiena e dei suoi muscoli in tensione mentre tentava di afferrare una felpa dai ripiani più alti. Mi era difficile accettare il suo corpo, i suoi capelli neri, i suoi occhi rossi: sapevano di diverso, qualcosa a cui non ero stata debitamente preparata.

Non ero ancora abituata ad essere immersa nel mondo, e, soprattutto, di esserlo con le altre creature, ma Aima questo non poteva saperlo, o, se lo sapeva, non voleva capirlo.

Ero solo una delle tante prigioniere di cui prendersi a carico, sperando nel quieto vivere che lui tanto acclamava.

Cosa intendesse quando parlava di quello, la mia giovane mente ancora non l'aveva capito.

Aima chiuse l'armadio con un leggero scrocchio e mi dedicò un veloce sguardo quando lasciò una felpa leggera sul mio lato del letto, abbastanza lunga da potermi fare da vestito, oppure da pigiama.

Si chiuse in bagno, ma io continuai a non muovermi dal mio nascondiglio sul pavimento, limitandomi a lanciare sguardi nascosti ad Ivar, che, amorevole come suo solito, mi gracchiò ineducatamente addosso, quasi mi stesse rimproverando per il mio caratteraccio.

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