12 • qui, con me, per sempre

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Aima aveva ragione: nell'esatto momento in cui infilai i due pezzi dello striminzito costume nero, notando quanto poca pelle coprisse, desiderai di ucciderlo

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Aima aveva ragione: nell'esatto momento in cui infilai i due pezzi dello striminzito costume nero, notando quanto poca pelle coprisse, desiderai di ucciderlo.

Non mi ero mai mostrata in quel modo, così scoperta, e, probabilmente, ero stata così brava a nascondermi da risultare un'estranea perfino a me stessa: mi osservavo allo specchio, notando la poca carne che ricopriva le mie ossa - un visibile miglioramento dovuto alla vita a corte e agli allenamenti con l'esercito - e le curve appena accennate.

Non me ne ero mai preoccupata prima di quel momento, ma, mentre osservavo il mio piccolo seno, i fianchi stretti e i glutei appena accennati, mi resi conto che, dal basso dei miei diciassette anni, continuavo a mantenere lo stesso fisico di quando ero una bambina.

Certo, la colpa non era mia, ma questo non mi fece sentire meno male, o più apprezzabile.

Ero orribile, pressoché uno sgorbio, e provai disgusto per me stessa.

"Marine, pensi di uscire da quel bagno o devo essere io ad entrare?"

Alzai lo sguardo, annoiata dalle lamentele di Aima, e subito mi infilai una delle sue larghe felpe, lasciando che mi coprisse sino alle ginocchia - non che la situazione migliorasse di molto, ma era il massimo che potevo fare.

Poi, il fatto di non avere le lenti a contatto...mi sentivo come se stessi per esibirmi al centro della Corte completamente nuda e davanti a centinaia di angeli raffinati.

In poche parole, indifesa e inadeguata.

La porta del bagno si aprì e subito il volto ben disegnato di Aima si curvò in una smorfia confusa. "Non mi stai davvero facendo aspettare da venti minuti solo per guardarti allo specchio, vero?"

"Non posso uscire in queste condizioni," ribattei, drastica, cosa che sembrò confonderlo ancora di più.

"Quali condizioni? Intendi quelle in cui ti vediamo da settimane?"

Sbuffai, annoiata, e lo spinsi via, uscendo dal bagno. "Mi spiegherai mai cosa ci faceva un costume della mia taglia nel tuo armadio?"

"Non sono certo tu voglia saperlo davvero," replicò lui, ridacchiando. "Comunque, siamo già in ritardo: possiamo andare?"

Mi sedetti sulla scrivania, portandomi le gambe al petto. "Solo se mi dici dove dovrei andare vestita in questo modo."

Il demone mi si avvicinò, continuando a sorridere, quasi giocoso, e posò le mani ai lati dei miei fianchi, sporgendosi verso di me. "Non te lo dirò mai."

Alzai un sopracciglio, appoggiandomi con la schiena al muro mentre lui continuava a restarmi di fronte, faccia a faccia. "Sei un idiota."

Lui rise, divertito, poi mi prese la mano, tirandomi verso di sé. "Andiamo, mezzosangue."

"Non ne ho voglia, dai," grugnii, lamentosa, e cercai di liberarmi dalla sua presa, ma questo lo fece solo annoiare.

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