Chapter 37: Hospital for Souls

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Leggete la nota autrice in fondo quando avete finito, thanks <3


Michael

C'è silenzio, nella stanza. Ce ne stiamo tutti con le mani in mano perché non sappiamo fare di meglio.
Ashton seduto affianco al lettino bianco con la testa china sui suoi anfibi, Luke con le braccia incrociate e la schiena al muro, dall'altra parte della stanza rispetto a me ed Aurora, che ci guardiamo intorno di continuo. Il suo piede che picchietta sul pavimento, gli occhi un po' arrossati e il trucco sbavato.
Siamo in questo ospedale da almeno dieci minuti, e nessuno di noi ha ancora proferito parola. Tra poco l'orario delle visite terminerà, e Calum, con gli occhi chiusi da due giorni ormai, tornerà a starsene da solo in questa stanza talmente bianca da far girare la testa. Ho sempre odiato il bianco. Mi ha circondato per ore e ore quando sono stato portato qua di corsa, con i polsi aperti e privo di sensi.
E Calum sta dormendo da un po' troppo tempo.

Sospiro.
Ashton cerca di non farsi vedere mentre ha la mani congiunte e prega. Lui, che ci ha detto di non appartenere ad alcuna religione ed odiare cose del genere, adesso se ne sta con la testa china e le labbra che si muovono a recitare una silenziosa preghiera. Il rumore delle macchinette mediche è l'unica cosa che si sente.

Poi la porta si apre, e una dottoressa dal camice bianco, sempre bianco, ci avvisa che l'orario delle visite è terminato e ci invita ad uscire dalla stanza.
«Posso rimanere un altro po'?» Ashton alza il capo. I suoi occhi sono iniettati di sangue. La donna gli rivolge un'occhiata dispiaciuta e «Sei un suo parente?», chiede. Allora Ashton sbuffa e si alza dalla sedia, uscendo dalla stanza al nostro seguito.

«A volte non serve un fottuto legame di sangue, questi stronzi dovrebbero capirlo.» Alza la voce per farsi sentire, ma la dottoressa lo ignora e tira dritto.
Ancora una volta, silenzio.
Passano alcuni minuti, poi «Bene, io torno dentro». Ashton aspetta che tutti i dottori se ne vadano dal corridoio per riaprire la porta della stanza di Calum e tornare a sedersi sulla sedia. Aurora si stringe nelle spalle, poi lo segue e, prima che io possa fare lo stesso, qualcuno mi afferra il polso. Mi volto e giusto, c'è Luke.

«Posso parlarti?» Gli si incrina la voce, il capo leggermente chino come fa sempre quando è a disagio. Non ci rivolgiamo la parola dalla sera prima della festa. Quasi mi ero dimenticato il suono della sua voce.
Mi libero della sua presa e poi lui infila le mani in tasca. Questo lo fa quando ha paura di qualcosa.
«Ti sembra il luogo adatto per parlare, mh?»

«Perfavore»

«Luke, abbiamo chiuso. Storia finita, fattene una ragione. Non mi importa della voglia che hai di prendermi a pugni, o di qualunque altra cosa tu abbia in mente di fare. Non ti chiederò scusa per averti rovinato la reputazione, o la tua relazione. Quel che è fatto è fatto.»

Faccio per andarmene, girargli le spalle e tornare da Calum, fottermene di Luke, di ciò che voleva dirmi e fottermene di me stesso e della voglia che ho di tornare indietro nel tempo e farmi bastare ciò che avevamo prima. Lo giuro, ci provo pure a voltargli le spalle, mettere un piede davanti all'altro e andare avanti.
Ma non ci riesco. Me ne sto fermo a guardare l'azzurro liquido dei suoi occhi e pensare a nulla di preciso, però mi viene da piangere lo stesso. E non capisco neanche perché.

«Mi piaci, Michael.»

Scoppio a ridere. E nel farlo una fottuta lacrima mi scappa dal controllo. «Ti piaccio, Luke?» Mi passo una mano sul volto. «Io invece probabilmente ti amavo.»
Lui ci rimane secco un paio di secondi.

𝐂𝐎𝐔𝐍𝐓𝐃𝐎𝐖𝐍Where stories live. Discover now