Chapter 27: Call your girlfriend

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Luke

Ogni sera. Alla solita ora. Michael lascia la finestra semiaperta e io entro nella sua stanza.
La porta della camera chiusa a chiave e i nostri vestiti a terra.
Ogni giorno mi sveglio sapendo che passeró la notte successiva con Michael, e questo basta per avere un buon motivo di cui usufruire per vivere la giornata.

Attualmente ci siamo io e lui seduti sul letto, tra un groviglio di coperte sgualcite.
«Il gioco delle venti domande», asserisco.
Ultimamente sto ripensando a ció che mi ha detto Troye, il biondino caparbio della scorsa settimana; Michael custodisce segreti che ancora non ha confessato.
Quindi ho intenzione di conoscerlo meglio, non solo perchè scopiamo ogni sera, ma soprattutto perchè voglio aiutarlo. Qualsiasi cosa stia combattendo.

«Ci sto. Comincia tu.» Sorride.
Incrocio le gambe e traffico con un lembo del lenzuolo, giocandoci con le dita in attesa di un po' di ispirazione. Non posso partire subito in quinta chiedendogli il motivo delle sue cicatrici.
«Ehm... primo bacio?» Banale.
Ci pensa su. Poi ridacchia al ricordo. «Sei anni, abbastanza traumatizzante da rimanere vivido nella mia mente. Stavo per dare un bacio sulla guancia di mia nonna quando si è girata e l'ho baciata per sbaglio.»
Soffoco una risata e attendo la sua domanda. «Sei mai stato coinvolto in una rissa?»

Annuisco. «A sedici anni. Avevo rubato un po' di erba dallo zaino di Centineo. Poi l'ha rivoluta indietro con gli interessi ma, in compenso, gli ho rotto il naso.»
Ridiamo insieme. Mi piace la sua risata.

«Quando hai capito di essere attratto solo dai ragazzi?»

«Avevo quattordici anni. Lui era un mio vecchio amico d'infanzia; un biondino spasmodico, era schizzato quasi quanto me. Mi piaceva, e quando gli ho detto di avere una cotta per lui ci siamo baciati, non so neanche io come.» Si stringe nelle spalle. «Peró è stato fico.»

«E... ti è subito andato bene? L'essere gay, intendo.»

«Domanda bonus, ti rispondo solo perchè sei tu: in realtà credo di averlo sempre saputo. E sí, non mi sono fatto seghe mentali riguardo a ció che avrebbero pensato gli altri. Non trovo l'affibbiarmi un'etichetta un modo per essere migliore o peggiore delle altre persone. Io so di essere me stesso, che se lo facciano bastare, altrimenti possono andarsene a fare in culo.»
Annuisco. Ha ragione. Ma è più forte di me.

«Tocca a te», gli ricordo.
«Sogno nel cassetto?»
Poter baciarti senza provare rancore.
«Non lo so. Essere sempre felice, probabilmente.»

«È impossibile essere sempre felici.»
«Perchè?»
«Perchè senza soffrire non capirai mai cosa significa davvero essere contenti. Sono come due universi che si completano; coesistono tra loro. Il male sta al bene come il bene sta al male.»
«A nessuno piace stare male.»
«Eppure bisogna soffrire, qualche volta. Quello che non ammazza fortifica, no?»
«Allora a questo punto sarei dovuto essere una corazza vivente.»
«Sei più forte di quanto credi, Luke.»
Non apro bocca.
«Adesso è il tuo turno».

Mi guardo attorno. Il mio sguardo si ferma su delle buste di carta attaccate alle pareti, come bersagli. «Cosa sono quelle lettere?»
«Lettere d'addio. Sai, per ogni evenienza.»
Rimango interdetto. Annuisco.

«Qual'è la tua paura più grande?»
«Credo... Credo che la mia paura sia avere paura.»
«Paura di cosa?»
«Di tutto. Sono arrivato a un punto, nella vita, in cui ogni certezza mi viene spazzata via. Non mi rimane più nulla. Appena provo ad appuntarmi mentalmente qualcosa, quella certezza di colpo scompare. E più paura hai, più hai da perdere. E io mi sono perso.»

𝐂𝐎𝐔𝐍𝐓𝐃𝐎𝐖𝐍Where stories live. Discover now