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ROSEMARY

Il pomeriggio mi esercitai al piano per ben tre ore. Ero esausta. Forse Georgie non aveva tutti i torti quando diceva che dovevo pensare a divertirmi. Ma io ero più romantica e sensibile di lei. Solo una volta mi ero legata a un ragazzo: avevo quindici anni e mi stavo preparando per gli esami d'ammissione all'anno seguente. La Moz-Art era una delle scuole di musica più prestigiose e non era per niente facile rimanerci. Non bastava avere passione. Servivano forza di volontà, concentrazione e (lo ammetto) anche due genitori con un buon conto in banca. Le borse di studio erano limitate.

Conobbi Paul nella biblioteca della scuola. Dopo uno scambio di sguardi, si avvicinò e mi propose di studiare insieme. Tra i libri, ci innamorammo. Poi si diplomò e decise di lasciarmi per un motivo ancora oggi incomprensibile. La mia reazione? Ci rimasi così male che non mi presentai agli esami. Mio padre dovette usare tutte le sue conoscenze per farmi sostenere l'esame a parte. Spiegò al preside Pennet e alla commissione che ero malata e per quella volta chiusero un occhio. Lui con me fu abbastanza indulgente, al contrario di mia madre che mi proibì di uscire per un mese e mi disse che se fosse ricapitata una cosa simile non mi avrebbe più salvata. E probabilmente, mi avrebbe iscritta di nuovo in una stupida scuola di ballo.

Da quel momento, avevo abbandonato l'idea di legarmi di nuovo a qualcuno. Avevo paura di soffrire ancora. L'amore rende impotenti e, quando ci sei dentro, è la fine. Ed era anche per questo che mia madre era diventata così severa ed esigente. Aveva il timore che potesse ricapitare.

Ricordare Paul mi innervosì e decisi di preparare un bagno caldo per rilassarmi. Riempita la vasca, mi spogliai e mi immersi. Chiusi gli occhi e ripensai alla mattinata con Robert. Era stato piacevole fare colazione con lui, mi aveva ascoltata. Io di lui, invece, non sapevo niente.

***

«Rose, Rose, sveglia!», gridò mia madre. «Rose, svegliati! Vuoi rimanere nel letto, stamattina? Sono le otto!»
Che cosa? Le otto? Spalancai gli occhi. Accidenti! Non ho proprio sentito la sveglia. Com'è possibile?
«Buongiorno, mamma», risposi con un filo di voce e gli occhi ancora assonnati. «Mi alzo subito, tranquilla». Sbadigliai, allungai le braccia per stiracchiarmi, poi afferrai il cuscino e me lo portai sul viso. Quella luce era pericolosa di prima mattina.
«Muoviti che fai tardi!»
Sì, se no che succede? Mi bocciano, per caso?
Sbuffai. «Nemmeno il giorno del mio compleanno?» Sentii la porta chiudersi. Non mi avrà sentita. Che brutto risveglio da maggiorenne.

Arrivai a scuola con quindici minuti di ritardo. Per fortuna, il professor Rogers fece finta di nulla e non interruppe la lezione. Non mi ero svegliata bene e speravo che quella giornata si concludesse meglio.

«Auguri, ritardataria. Pensavo che mi avresti offerto la colazione», mi sussurrò all'orecchio Georgie.
La guardai, sorrise beffarda, e risposi: «Ti offro il pranzo, se vuoi». Feci un occhiolino, poi iniziai ad ascoltare la lezione.
«Preferisco da bere. Andiamo in un locale movimentato stasera...», mormorò maliziosa.
«Io non bevo», replicai senza guardarla.
«Io sì, invece. Dai che ci divertiamo!»
Ci pensai su, poi incrociai il suo sguardo e sorrisi. «Vedremo».

Alle quattordici, concluse le lezioni, Sam ci raggiunse nell'atrio della scuola.
«Buon compleanno!», gridò correndo verso di me. Aveva lo chignon spettinato e le scarpe da ballerina ancora ai piedi. Alcuni studenti e professori si girarono a guardarmi e io arrossii.
«Grazie», dissi abbracciandola.
«Ma hai appena finito di fare sesso?», la scrutò Georgie.
«Perché?», chiese stordita.
«Ti sei guardata allo specchio?» Scoppiò a ridere. «Eppure ne avete così tanti...»
Risi anche io.
«Rose, davvero sembra che ho fatto sesso?», mi domandò preoccupata.
Annuii con convinzione e ironizzai: «Ma solo per le scarpe, tranquilla». Io e Georgie tornammo a ridere.
Si fissò i piedi. «Ah, già, le scarpe... Le ho ancora ai piedi».
«Non preoccuparti, a noi non devi spiegare nulla», la rincuorò Georgie toccandole il braccio.
«Sì, infatti. Può capitare, tra una piroetta e un plié...», continuai con uno sguardo di comprensione.
«... di fare altre posizioni», aggiunse Georgie sottovoce.
«Ragazze, smettetela!», ci ammonì Sam. Si alzò su una punta, tolse una scarpa e fece lo stesso con l'altra. «Vogliamo pensare a come festeggiare un compleanno?» Mise una mano sul fianco, i piedi scalzi sul pavimento.
«Ma almeno è stato bello?», insisté Georgie con occhi civettuoli.
La mia amica danzatrice sospirò esausta, poi si voltò verso di me e sorrise. «Tesoro, cosa vorresti fare stasera?» In quel momento, Robert ci passò di fianco. Stava andando via con una collega, quella dai folti ricci neri. Mi regalò un breve sorriso e poi uscì dalla Moz-Art.
«Ehi, Rose, ci sei?», mi richiamò Sam, mentre Georgie mi tirava per il braccio.
Ritornai sui loro volti. «Non ne ho idea», ammisi.
«Io ti ho detto cosa dovresti fare. Pensaci», disse Georgie spavalda.
«A cosa dovresti pensare?», chiese Sam mentre si infilava un paio di sneakers.
Sospirai. «Ragazze, dai, vi dirò nel pomeriggio. Ora andiamo a casa».
Annuirono un po' deluse, ci dirigemmo fuori la Moz-Art e le salutai.

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