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ROSEMARY


Perché il week-end passava troppo in fretta? Quella mattina avevo un esame importante. Se l'uomo è fatto per l'ottanta per cento d'acqua, io ero fatta per l'ottanta per cento d'ansia. Avevo studiato tanto, però, e avrei dato il massimo come sempre.

Decisi di fermarmi al bar prima di andare in classe. Avevo bisogno di energie. Eh, gli effetti dell'ansia!

La caffetteria era vuota, silenziosa. Forse era presto. In attesa che arrivasse qualcuno per servirmi, mi sedetti su uno sgabello al bancone e sfilai il cellulare dallo zaino per rispondere ad alcuni messaggi.

«Buongiorno, signorina!» Saltai per lo spavento. La voce del barista non mi era nuova, così come quell'espressione, "Signorina". Mi voltai: era il barman del Blue Jeans.

Cosa ci fa qui? Mi segue? «Buongiorno», risposi con indifferenza per nascondere la sorpresa.

«Scommetto che prende dell'acqua, non è vero?», sghignazzò.

Sì, molto simpatico. L'acqua te la rovescerei addosso.

Ci fissammo e mi sentii paralizzare dall'azzurro dei suoi occhi. Di giorno erano di un colore molto più intenso. Ma dovevo riprendere il controllo, quindi interruppi quello scambio di sguardi chiedendogli un caffè al ginseng. Poi mi sistemai una ciocca dietro l'orecchio e ritornai a guardare il cellulare. Non era proprio giornata e non avevo voglia di socializzare.

«Subito, signorina», rispose con tono gentile.

Mentre era girato a preparare il caffè, lo osservai meglio: spalle larghe, vita stretta e un sedere niente male. Appena si voltò, ritornai con gli occhi sul cellulare. Per poco non mi beccava.

Appoggiò la tazzina sul bancone. «Il suo ginseng».

Alzai il volto, lo ringraziai, poi sorseggiai il liquido scuro continuando a ignorarlo.

«Ah, per la cronaca. Io sono lo stesso ragazzo di venerdì sera, nel caso non mi avessi riconosciuto».

Non si arrende, eh? Vuole fare per forza conversazione!

Incrociai il suo sguardo e accennai un sorriso. Sono passati solo tre giorni, mi ricordo di te. Soprattutto dei tuoi occhi.

«Sono Robert», si presentò porgendomi la mano. Il mio cattivo umore non lo influenzava affatto.

Ricambiai la stretta. «Io sono Rosemary, per gli amici Rose. Puoi chiamarmi come preferisci».

«Scusa per la battuta squallida. Volevo solo farti sorridere, ma non penso di esserci riuscito».

«Oggi ho un esame importante e sono agitata», lo informai ammorbidendo la voce. E non mi andava di darti retta. Ma quello non glielo dissi, se no rischiavo di sembrare ancora più acida.

Sorrise. «Non preoccuparti, Mary».

Aggrottai la fronte. «Mary?»

«Sì, Mary. Non ti piace?»

Scossi la testa. «No, non ho detto questo», mi strinsi nelle spalle, «è solo un po' strano. Nessuno mi ha mai chiamata così, prima d'ora».

Rifletté su quello che gli avevo appena detto, poi sfoderò un sorriso strafottente. «Ma io non sono un tuo amico. Non posso chiamarti Rose, giusto?»

Lo osservai divertita. «Sì, giusto».

Guardai l'ora, scesi dallo sgabello e presi lo zaino da terra. «Beh, adesso devo andare. È stato un piacere conoscerti», aggiunsi.

«Lo stesso per me». Sorrise mettendo in bella vista due fossette sulle guance.

Prima di uscire del tutto dalla caffetteria, mi voltai per l'ultima volta. «Ah, per la cronaca: certo che ti ho riconosciuto». Mi diressi in classe con il sorriso sulle labbra che cercai di smorzare sul nascere. Robert poteva anche essere un bel tipo, ma non avevo intenzione di innamorarmi di nuovo.

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