0.3

45 10 4
                                    

27 settembre 1988

L'ho fatto! Miseria, l'ho fatto! Ho parlato col ragazzo di cristallo, anche se non è stata una vera e propria conversazione. Credo di aver parlato solo io, in realtà.
Stamani Gerard Way stava camminando per il corridoio a testa bassa, come sempre, ed era così pacato e leggero da sembrare, per davvero, una flebile soffiata di vento autunnale. I suoi capelli rossi oggi erano più accesi del solito: visto da lontano assomigliava a David Bowie, forse anche da vicino, oserei dire. Gli occhi chiari, lo sguardo un po' perso nel vuoto e l'aria tanto dolce, quanto imperturbabilmente austera. Era davvero bello, davvero tanto. Mi chiedo perchè non sia lui il ragazzo più gettonato della scuola, ma invece lo sia quel bastardo di suo fratello che nemmeno si degna di salutarlo quando lo vede a scuola. Visti dall'esterno sembrano dei completi, taciti sconosciuti, non ti aspetteresti mai che condividano un tetto e una parte di DNA.
Ma insomma, stavo dicendo, Gerard Way camminava per il corridoio distrattamente, più concentrato ad evitare, schivo, le gomitate degli altri studenti che passavano senza accorgersi della sua eterea presenza. Ha camminato indisturbato fino all'entrata della caffetteria, finchè un gruppetto di ridicoli quarterback - inserire altri nomi di ruoli importanti di cui non me ne frega assolutamente nulla - della squadra di football della BHS non l'ha accerchiato, facendolo aderire al muro dietro di lui come una fettina di formaggio fuso su un hamburger. Gli stavano chiedendo - e, signori, o qualsivoglia entità stia figurativamente leggendo questo diario,  credetemi se vi dico che "chiedere" è un eufemismo - i soldi per comprare da mangiare. E un conto è chiedere "hey Gerard, potresti prestarmi dei soldi per il pranzo, per favore?", un altro è avventarsi su un fragilissimo ragazzo,  bloccarlo contro il muro spaziandosi con le mani nelle tasche dei suoi pantaloni e cercare qualche banconota, quando è evidente che l'altro non è in alcun modo consenziente. O forse è solo resiliente, privo di qualunque voglia di opporsi ai ragazzi con il fisico a forma di nube - non leggiadra, soave come la sua, direi piuttosto d'acciaio - che stanno perlustrando il suo gracile corpo con nessuna traccia di pudore. In quel momento la mia indole di ribellione ha avuto la meglio, e sono stato sfortunato a non aver avuto un'altra allucinazione, perchè quelli davanti a me erano davvero quarterback, non cassiere di un market aperto 24 ore su 24, e al pugno che le mie mani si sono lasciate sfiggire ha seguito una sfliza di calci senza pietà.
Li ho incassati tutti, fino all'ultimo, finchè poi hanno deciso di lasciar perdere e cambiare bersaglio, sorprendentemente trovandomi solo una perdita di tempo. Ed è stato solo allora che Gerard Way si è accorto di tutto quello che stava accadendo intorno a lui, risvegliandosi dal suo evidente stato di trance e venendo a porgermi una bianca, candida mano nel tentativo di farmi alzare.
La afferrai e mi sollevai, aspettandomi che la ritraesse subito, ma invece la mano era ancora lì, stretta alla mia, e io avevo quasi il timore si potesse rompere talmente era fredda, gelida, sottile. Ci guardammo negli occhi per dei lunghi secondi, l'autunno nelle sue iridi a rendere eterno quel breve momento così impacciato, ma mistico. La staticità, ferma e posata, come il ragazzo di cristallo davanti a me, fu interrotta dal suo lieve, quasi soffice, mormorio: «Grazie.»
Io l'ho poi ringraziato a mia volta, dicendogli che se avesse avuto di nuovo bisogno di aiuto con quei bastardi avrebbe potuto chiedere a me; l'ho salutato con un sorriso, peccato lui non l'abbia visto, perchè ormai aveva già la testa rivolta verso il pavimento in linoleum verde chiaro.
Fine della narrazione della mia quasi conversazione effettuata con Gerard Way, il ragazzo di cristallo, con cui nessuno vuole parlare ma che a me sembra così irraggiungibile da voler provare ad arrivarci sul serio, lì, sulle nuvole, dove lui è sempre immerso.
Stavo ancora pensando a lui - e all'intensità del dolore allo stomaco per i calci ricevuti - quando la professoressa Davidson, il Matusalemme che si spaccia per un'insegnante di letteratura, mi ha fermato chiedendomi se avevo bisogno di andare in infermeria, malconcio com'ero. Alla fine in infermeria ci sono andato davvero, mi hanno fatto levare la felpa soltanto per scoprire gli ematomi formatisi su gran parte della mia superficie cutanea, facendomi sembrare, in contrasto con il mio pallore, l'impersonificazione di un dalmata. O una mucca. Date le dimensioni dei lividi, direi che il secondo esempio sia il più azzeccato.
L'infermiera che mi ha medicato si chiama Eliza, la conosco abbastanza bene per tutte le volte che sono stato in quella piccola stanza della scuola dove si recano tutti gli studenti più turbolenti o tormentati. Io ci vado prevalentemente per attacchi di panico, iperventilazione, allucinazioni o emicranie, che, con l'aggiunta di saltuarie risse nei corridoi o nei bagni, sono delle valide motivazioni per diventare un paziente di fiducia.
Tanto vale riderci sopra, ormai è il mio ultimo anno di liceo e dovrò sopportare questo sudicio e ostile ambiente solo per altri nove mesi, poi sarà tutto finito.
Ci ho pensato parecchio, a cosa fare dopo. Mamma mi dice che dovrei iscrivermi a medicina, Ray mi ha sempre proposto di venire con lui in viaggio per l'Europa a suonare per le strade, il che è una bella prospettiva, ma non faremmo comunque un soldo. L'anno scorso ci hanno fatto compilare dei questionari, alla fine dei quali c'era un punteggio che avrebbe dovuto indicarci quale tipo di studi potevamo intraprendere. Il mio risultato è stato arte e architettura, ma ho stracciato il foglio appena due minuti dopo averlo compilato, perchè, su, arte? Io? Il massimo che so disegnare sono omini stilizzati accanto a casette decisamente sproporzionate rispetto al soggetto umanoide, ma che ci si può fare? C'est la vie e io non sono nato con notevoli capacità artistiche, e nemmeno con interessi inerenti all'ambito. Ancora non ho la benchè minima idea di quale college sia adatto a me, in realtà credo non ne esista uno. Forse dovrei andare a lavorare. Ma dai, Frank, ragiona! Chi diavolo assumerebbe uno schizofrenico, perdipiù strambo come me? Forse vado bene solo come fenomeno da baraccone, sì, insomma, nei circhi. Mi immagino già il tendone gremito di gente in coda a darsi gomitate, in attesa di vedere dentro una cabina sovrastata dall'insegna "Frank Iero: the strangest freak you'll ever see", posso già sentire gli strepitii della folla che mi acclama, ma non perchè mi ammira, bensì perchè la visione di un ridicolo ragazzo che si autodistrugge è così paradossalmente esilarante, agli occhi di chiunque. Sto ridendo fragorosamente di me stesso, in questo momento. Farei proprio una bella carriera, sì, davvero.
______________________

poor baby frankolo con una scarsa considerazione di se stesso è tornato, vi giuro che durante la storia avrà momenti migliori.
in ogni caso, let me know your opinions in the comments
ho bisogno di sapere se questa storia vi stia piacendo o meno, e se avete critiche educate e civili da pormi potete farlo certamente.
eeee nulla addio ciao buonanotte

latibulum - frerardWhere stories live. Discover now