Capitolo 27: Miraggio

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Ignoro completamente l'eventualità di svegliare i miei

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Ignoro completamente l'eventualità di svegliare i miei. 
Non mi importa del chiasso, di un'ipotetica ramanzina da parte loro per l'orario, per lo stato di incoscienza in cui mi trovo o per chissà cos'altro ancora.

Ciò che importa è lei. Chiarire con lei. 
Come ho potuto essere tanto inopportuno? 

Salgo i gradini il più velocemente possibile, strascicando di tanto in tanto le scarpe di tela imbrattate di sabbia contro il marmo bianco. 
Tasto la fredda parete del corridoio buio per raggiungere la porta di camera mia senza inciampare sul tappeto indiano di mamma, seguendo con lo sguardo lo spiraglio di luce proveniente dalla fessura della serratura. 

Una volta fatto il mio ingresso, sono costretto a nascondermi gli occhi con una mano, per quanto sia accecante il bagliore proveniente dal soffitto. 
Una volta che la mia vista si abitua, posso finalmente concentrarmi sullo scenario che mi capita davanti: Aubree sta raccogliendo in fretta e furia alcuni indumenti sparpagliati per la camera, infilandoli uno ad uno all'interno del suo zainetto. 

«C-Che diavolo fai?», domando senza nemmeno prendermi la briga di sussurrare. 
Il suo corpo sobbalza, per un istante, ma si rilassa un po' non appena mi identifica. 
Io, però, rimango esterrefatto... I suoi occhi sono gonfi, leggermente lucidi, le sue guance paonazze come al solito, ma rigate da qualche lacrima che le scorre giù fino al mento. 

Il battito del mio cuore accelera in maniera vertiginosa, mentre la gola si secca in un baleno. 
Come posso essere stato tanto idiota?

Si affretta ad asciugarsele con la manica della felpa che ha indossato, per poi proseguire nel suo trambusto. 
Mi avvicino incerto, e le afferro un polso nel tentativo di farla calmare. E' ghiacciata e tesa. Tesa come non mai. Irriconoscibile. 

Con un guizzo si scrolla di dosso la mia presa, come se si trattasse di uno di quei ripugnanti scarafaggi che ti infestano la casa nella stagione primaverile.
«Aubree, io...», tento di dare il via alle mie giustificazioni, ma lei me lo impedisce, fulminandomi con lo sguardo. 
«Non ci provare, Wayne», fa con il tono strozzato, poi mi impianta un dito nel petto. «Tu non sai niente di me... Niente!», strilla senza alcun senso del pudore, mentre un'ulteriore lacrima ribelle sfugge al suo dominio. 

Mi lascia impietrito, quasi impaurito. 
Tutto ciò che piano piano sono riuscito a costruire con le mie stesse forze si sta, in un secondo, sgretolando sotto i miei occhi. 
Non riesco a spiccicare una parola mentre si porta lo zaino in spalla ed apre la finestra per fuggire via. E' giusto così, che se ne vada. Chi vogliamo prendere in giro? Io non la merito. 

Proprio quando è a cavalcioni sul vano della finestra, qualcuno irrompe nella stanza. 

Aubree si blocca sconvolta, mentre io seguo con lo sguardo quello di lei. 
Mia madre, avvolta nel suo kimono di seta lilla, che ci scruta sconcertata. 
«Che diavolo succede qui?», ulula con la sua vocina stridula, mentre una leggera ruga si scava nel bel mezzo della sua fronte. 

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