Capitolo 25: Obbligo o verità?

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Senza nemmeno il tempo di rifletterci su, mi munisco di un legnetto e mi avvento sul bigliettino

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Senza nemmeno il tempo di rifletterci su, mi munisco di un legnetto e mi avvento sul bigliettino. 

Riesco a liberarlo dalle fiamme, facendolo strisciare contro i granelli di sabbia. 
Ignorando le occhiate indiscrete e le risate trattenute della gente, prendo a pestare con insistenza il foglietto con la suola della mia scarpa, le parti in cui le fiammelle non si sono ancora affievolite. 

L'addetto al mantenimento del falò si avvicina con aria turbata. 
«Tutto bene, amico?», mi poggia la mano ambrata sulla spalla, scrutandomi a fondo. 
«Sì... Certo», mento, ansimante. 
No che non va bene, come potrebbe andare bene?
Buona parte della lettera è corrosa, e probabilmente il contenuto sarà leggibile solo in parte. 

Mi volto verso Aubree e gli altri: Savannah non sembra essersi accorta di nulla, perché ciondola a ritmo di musica con lo sguardo verso l'orizzonte, Benjo mi guarda con aria assorta, e mentre Brown le scosta i capelli dal viso, Aubree mi fissa quasi ipnotizzata, prima di fiondarsi su di me. 

La ignoro, cercando di allontanarmi almeno un po', ma poco dopo mi raggiunge. 
«Un altro biglietto...», afferma incredula e desolata, passando in rassegna con lo sguardo la lettera semi distrutta, tra le mie dita.
I partecipanti sembrano già essersi dimenticati del teatrino appena messo in atto dal sottoscritto, poiché si radunano in uno spiazzo libero per scatenarsi.

Non le rispondo, piuttosto cerco di aprire ciò che rimane di quella busta.
''Sgombra la mente, lasciati an'', è ciò che rimane di questo scritto. 
Tiro un sospiro di sollievo: Non deve essere difficile immaginare ciò che intendeva dire... Mi sta, come suo solito, spronando a vivermi ogni momento con estrema tranquillità, con la pace interiore che ho sempre ricercato, ma mai scovato a pieno. Di lasciarmi andare.

Ho vissuto gli anni della mia adolescenza come un camaleonte, che vuole a tutti i costi cercare di mimetizzarsi tra la folla, che vorrebbe sparire.
Bé, il tempo dei rettili è finito. 

Sorrido, beffardo. «Agli ordini, zio Fitz», sussurro tra me e me. 
Aubree mi scruta corrugando la fronte, probabilmente poiché non comprende dove io voglia andare a parare. 
Brown tiene gli occhi puntati su di noi, o forse su di me, dato che sembra sul punto di volermi incenerire con lo sguardo.

«Qualcuno ti aspetta, Aubree Houston», faccio io con un tono sicuro, un tono così estraneo a me stesso. Non la guardo negli occhi, però... 
«Wayne?», sibila lei con la voce rotta, mentre mi osserva allontanarmi verso il chiosco. 

Non sono disposto a risponderle: Non stavolta. 
E' ora di pensare a me stesso, al rispetto che merito, alle spiegazioni che merito. 
E, sicuramente, lei non è in grado di darmelo.

«Un altro mojito», ordino allo stesso ragazzo di poco fa, che annuisce, acchiappando un altro bicchiere in plastica.
«Ci penso io», lo interrompe Cara, versando la sostanza nel bicchiere che gli strappa di mano. 

Il top della divisa bianco e il nodo alla vita mettono in risalto la sua pelle scura, abbronzata. 
I grandi occhi chiari spiccano, sul suo viso delicato e armonioso al tempo stesso. 
E' esattamente come ci si aspetterebbe da una cheerleader: brilla come un diamante. 
Ed ovviamente, è impossibile non rimanerne abbagliati. 

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