Capitolo 2: Lo charme della fossetta

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Dopo aver esaminato praticamente ogni singolo angolo di tutta la scuola, finalmente mi ritrovo di fronte ad una porticina vetrata sulla quale è impressa una targhetta dorata, con incisa la scritta ''Aula consulenza''

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Dopo aver esaminato praticamente ogni singolo angolo di tutta la scuola, finalmente mi ritrovo di fronte ad una porticina vetrata sulla quale è impressa una targhetta dorata, con incisa la scritta ''Aula consulenza''.

Per l'ennesima volta, oggi, mi sento combattuto tra il fuggire e l'affrontare ciò che mi spetta, ma, come al solito, il mio spirito non mi consente di reagire in alcun modo.

Mi ritrovo, dunque, titubante, con la mano sudata che tiene salda la maniglia lucidissima. Strizzo gli occhi, in preda all'ansia, prima di fare capolino all'interno della stanza.

Le pareti sui toni dell'azzurro sono completamente spoglie, i banchi sono stati spostati, ammassati ai lati della stanza, mentre al centro di essa, una dozzina di ragazzi sono seduti a cerchio sulle corrispettive sedie.
Non appena si accorgono della presenza di un estraneo, che nel frattempo si sta mordicchiando le unghie dall'imbarazzo, tutti si voltano ad osservarlo, senza comprendere a pieno il perché della mia partecipazione.

Colei che dovrebbe essere la nostra tutor, la nostra insegnante, o comunque sia qualcosa di simile, mi accoglie con un sorriso a trentadue denti. L'alta coda di cavallo del color del grano, la dentatura smagliante, gli occhi più chiari che io abbia mai visto e il suo inspiegabile fascino mi lasciano decisamente interdetto, tanto che devo farmi ripetere più volte ciò che sta tentando di dirmi.

«Ti ho chiesto... Chi sei?», domanda, accompagnata dalle risatine di tutti i partecipanti, eccetto di una ragazza, seduta a terra a gambe incrociate, che si limita a sorridere osservandomi divertita.

Cerco di riprendermi dal trance.

«Oh... Wayne Connor», le comunico, mostrandole il fogliettino firmato dal Miller.
Lei annuisce, continuando a sorridere, per poi prendere una delle sedie ammassate assieme ai banchi e sistemarla di fianco ad una identica, vuota, probabilmente appartenente alla ragazza del centro.

La tutor si accomoda in mezzo a due ragazzini, probabilmente del primo anno, mentre io la imito completamente incerto sul da farsi.
Incrocio le braccia sul mio ventre, nell'attesa che tutti cessino di guardarmi.

E' la tutor ad accaparrarsi l'attenzione, stavolta.
«Io sono Julienne... Questo è un corso dedicato a tutti coloro che hanno voglia di esporre i propri problemi... Spero ti unirai a noi, più tardi», sorride, nel tentativo di rassicurarmi, e non posso fare a meno di ricambiare.
Dopo di che si rivolge alla ragazza nel centro, ancora stravaccata sul pavimento. «Prego, Aubree, prosegui pure.»


Aubree, come scopro chiamarsi, è una ragazza slanciata, magrolina, il volto completamente privo di un filo di trucco e caratterizzata da una carnagione piuttosto chiara, ad eccezione delle guance, che sono rosee come ciliegie appena colte.
Le lentiggini le tempestano gli zigomi sotto i suoi occhietti a mandorla neri, dai quali fatico ad intravedere la pupilla. I folti capelli lisci ed anch'essi neri le arrivano poco sopra le spalle. Quando si porta una ciocca dietro l'orecchio posso notare una perlina che le fa da piercing sulla parte alta del padiglione auricolare.

Ricambia il sorriso di Julienne e le guance le si bucano, facendo comparire due fossette che scopro trovare carine, nonostante nell'insieme non si tratti del mio tipo.
Ho sempre apprezzato molto di più le ragazze formose, per intenderci... Tuttavia, sono curioso di scoprire per quale assurdo motivo si trovi qui.

«Bé, come dicevo...», inizia lei, portando le gambe il più vicino possibile al grembo, per poi abbracciarle e poggiare il mento sulle sue ginocchia. «Tanto tempo fa» racconta come se si trattasse di una fiaba, scatenando alcune risatine dal suo pubblico... «La mia migliore amica era l'eroina. Mi facevo per lo meno due volte al giorno, e non avevo mai abbastanza. E... che altro dire? », domanda senza rivolgersi a nessuno in particolare, al che Julienne interviene.
«E ora come stai?» il volto corrugato in un'espressione mortificata.

«Ora sto bene», ribatte lei continuando a sorridere, come se si stesse divertendo. «Sono pulita e non ne ho più bisogno da un sacco di tempo! E' acqua passata, ormai...». E' convincente, ma non capisco come si possa ridere di una cosa tanto seria. Non comprendo come ci riesca.

L'aula è precipitata in un silenzio di tomba. Alcune ragazze, di fianco a me, si ritrovano con la bocca spalancata, in segno di stupore.
Una in particolare è decisamente scossa, ma tiene la bocca serrata, gli occhi fissi su un punto indefinito del pavimento, come se una serie di ricordi terrificanti le stiano attraversando la mente.

Aubree si alza in piedi, sistemandosi i jeans e spolverandoli con la sua stessa mano. «Bé, per oggi basta, direi...», dice poi, avvicinandosi alla ragazza che sembra essere sull'orlo di una crisi di nervi, per poi rassicurarla con alcune pacche amichevoli sulla schiena.

La tutor se ne accorge, tanto che cerca di distrarre l'attenzione da quanto successo. Si rivolge a me: «Wayne... hai voglia di parlare con noi?», mi chiede con il classico sorriso.

In un baleno mi si forma una piccola goccia di sudore che mi scende giù lungo il collo, precipitandosi all'interno del colletto della mia polo grigia. Scuoto la testa. «Non ancora», dico, dal momento che non avrei di che parlare, con un branco di sconosciuti sull'orlo dell'esaurimento.

Aubree, dopodiché, si siede sulla sedia vuota vicino a me e mi rivolge un sorriso vispo. «Caspita, che botta», dice, indicando qualcosa sulla mia faccia. Annuisco, facendo spallucce.
Inspiegabilmente non riesco a distogliere lo sguardo da quella fossetta, che le incava la guancia. Voglio dire... è solo uno stramaledetto buco, eppure trovo che la ragazza sia caratterizzata da una bellezza non eccessiva, ma fuori dal comune.

La ''lezione'', se così si può definire, termina abbastanza velocemente: parliamo - o meglio - parlano, del più e del meno, di come stiamo vivendo l'anno scolastico, delle preoccupazioni che ci attanagliano, dei nostri sogni, delle nostre ansie.
Scopro che ci sono parecchi ragazzi nella mia stessa situazione... Thommy, uno dei ragazzini vicini alla tutor, ha quindici anni e non è in grado di stringere amicizia con nessuno. Layla, invece, ne ha sedici e il suo sogno più grande è quello di diventare una musicista.

Aubree, infine, ne ha 19, uno in più di me, e ha perso un anno per via della sua storia scombussolata, con l'intento di non avere ostacoli nel corso della sua pulizia dalla dipendenza, fortunatamente riuscita.

[...]

Dopo aver salutato Julienne, la tutor, mi precipito fuori.
Mi specchio nel vetro del mio cellulare dallo schermo spento, mentre cammino, ancora un po' indolenzito. Effettivamente, lo zigomo è quasi interamente coperto da un livido violaceo, mentre il lato della bocca è contuso da una piccola ferita rossastra.

«Wayne!», sento qualcuno urlare dietro di me, al che affretto il passo. Non ho intenzione di fare conversazione, non oggi.
«Wayne! Wayne Connor!», insiste la candida vocina a me retrostante.
Inserisco la composizione del mio armadietto, prima di nascondermici dietro.
Qualcuno bussa su di esso, attirando la mia attenzione.

Lo richiudo trovandomi di fronte Aubree, con il fiatone e le guance ancora più paonazze del solito, che riprende fiato appoggiandosi con le braccia sulle ginocchia. 
 «Mi spiace, non ho proprio tempo», la ammonisco, dandole le spalle, diretto al laboratorio di chimica.

«Cazzo, Wayne», sputa scocciata e io sobbalzo. Non credevo che delle parole tanto aspre potessero provenire da una bambolina così apparentemente innocente. Mi blocco all'istante, ma ancora deciso a non considerarla.

«Conoscevo tuo zio», mi comunica lei, forse con il tono di voce leggermente troppo alto, con l'intento di catturare la mia attenzione. E' riuscita nella sua missione: con gli occhi spalancati mi volto, incontrando i suoi, mortificati.

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