1. Stranger in a Strange Land

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LEVIN
Volevo andare via. Da tutto il giorno combattevo contro l'istinto di voltarmi e lasciare quel posto per sempre. Eppure non lo avevo fatto, ero rimasto lì come una bestia rara confinata in uno zoo troppo piccolo e affollato, ecco come mi sentivo in quel momento. Nessuno, all'infuori dei professori, aveva osato parlarmi e quella era stata l'unica nota positiva della giornata ... tutto il resto faceva semplicemente troppo schifo.
Stavo per accendere una sigaretta quando una lunga ombra si stagliò sull'asfalto bagnato della Tech. Imprecai a denti stretti, a quanto pare qualcuno era riuscito ad interrompere perfino quel minuscolo istante di pace che mi ero faticosamente ritagliato.
Mi voltai di scatto verso l'intruso e soltanto ad una seconda occhiata capii che il suo viso non mi era del tutto nuovo. Avevamo avuto Inglese insieme un paio di minuti prima. Non era un tipo che passava inosservato, ma neanche il suo bell'aspetto riuscii a far andar via quel senso di fastidio che mi stava attanagliando il petto.
- Non vendo un cazzo, se è quello che vuoi chiedermi. Non spaccio. Va a dirlo in giro, così la smettiamo una buona volta – Dissi prima ancora che quello avesse potuto aprire bocca.
- Cosa? No. Vengo in pace, volevo solo un accendino –
Avevo fatto una figura di merda, ma non mi scusai, né mi importò davvero. Tirai fuori il mio zippo e allungai la mano verso la sua sigaretta, adesso tra le labbra dello sconosciuto. Era poco più basso di me, comunque molto alto per gli standard comuni. La mia occhiata venne ricambiata immediatamente dalla sua: occhi brillanti e maliziosi, mi sembrò, di un blu simile all'acquamarina e contornati da sopracciglia scure, dello stesso castano dei capelli. Il suo viso era magro, ma la parte forse più caratteristica era il naso all'insù e le labbra allungate con quello inferiore che si piegava appena in giù, a conferire un'aria un po' imbronciata.
- Grazie – Disse lui, non smetteva ancora di osservarmi e soltanto a quel punto capii che non era intenzionato ad andar via.
Mi sentivo a disagio e non riuscivo a capacitarmi del perché, così alla fine mi voltai di nuovo verso l'estraneo – Senti, credevo che anche tu volessi chiedermi di venderti qualcosa. L'unico ragazzo che ha osato parlarmi pensava che avessi della roba da spacciare, quindi non sono molto propenso alle chiacchiere. E' stata una giornata lunga –
Lo sconosciuto aveva aperto le labbra in un sorrisino gentile – Oh, so bene come sono fatti i miei compagni. Sei la novità del momento, Eickam. Un rarissimo leone bianco che tutti vorrebbero vedere da più vicino, ma che allo stesso tempo incute un certo timore. Passerà, vedrai ... sono ancora indecisi se provare ad avvicinarti o tenerti alla larga per sempre. Stanno soltanto valutando il tuo grado di pericolosità –
- A chi importa di quello che pensano – Non a me, non dopo quello che avevo passato negli ultimi due anni della mia vita – ma quella metafora del leone bianco ... –
- Io ti vedo così – Il ragazzo mi lanciò un'altra occhiata perforante, un gesto troppo intimo da parte di quello che era soltanto uno sconosciuto. Però non mi ritrassi, anch'io iniziai a studiarlo con più attenzione.
- Anche la mia fama non è delle migliori qui alla Tech, quindi sappi che in parte ti capisco. Se dovessi avere bisogno di aiuto io e il mio gruppo possiamo ... -
- Non ho bisogno di aiuto – Chiarii, interrompendolo in fretta – so cavarmela. Grazie –
Avevo aggiunto quel "grazie" dopo un paio di secondi di silenzio, per rendere la mia risposta un po' meno rude di quanto fosse stata realmente. Il ragazzo si lasciò andare ad una risata bassa e scosse la testa.
- Comunque io sono Aiden Berg. Segnati il mio nome, anche se hai detto di non aver bisogno di nessuno –
- Non ho detto questo, non sei stato attento. Ho detto che non ho bisogno dell'aiuto di nessuno – Stavolta fu il mio turno di studiarlo un po', lo osservai mordersi le labbra e sorridere ancora. Si avvicinò a me e per un attimo quel gesto mi lasciò confuso, ma poi lo vidi passare oltre e spegnere la sigaretta nel posacenere esterno, proprio alle mie spalle.
- Te lo dico, anche se so già che sarà un due di picche. C'è una festa stasera, uno dei miei migliori amici compie gli anni. Niente di serio o formale, è solo un festino con tanta roba da bere –
Non c'era stata nessuna domanda diretta, ma quel tipo rimase in evidente attesa di una risposta. Io ad una festa ... ero esausto soltanto all'idea di dover passare un'altra ora di lezione insieme a quella gente, figuriamoci un'intera serata.
- Non sono dell'umore, ma grazie comunque. -
- Ci ho provato – Aiden fece spallucce e sospirò – sapevo che avresti detto di no, vedi? Non ti conosco ancora eppure ti conosco già! Non voglio insistere, quindi ti lascio soltanto il mio numero nel caso cambiassi idea. Chiamami se ti va.
Era un modo per rimorchiarmi quello? Non riuscii a stabilirlo lì su due piedi. Come promesso non aveva insistito, tirò fuori il cellulare e aspettò che anch'io facessi lo stesso. Non ero così stronzo da negargli il mio numero, ma allo stesso tempo trovavo piuttosto remota la possibilità di tenermi in contatto con quello sconosciuto.
- Cerca di sopravvivere, Eickam. Sono soltanto degli idioti –
E tu cosa sei? Non glielo chiesi, feci un cenno col capo e lo guardai allontanarsi dal mio rifugio solitario. Ero diventato cinico ed arido o forse lo era sempre stato, di certo non avevo intenzione di stringere dei pseudo legami a scuola. Avevo già perso un anno e mezzo, non mi sentivo per niente a posto con me stesso, non sarei stato lì se avessi potuto scegliere, ma ancora una volta Kai era stato messo al primo posto nella nostra classifica delle priorità, e in fin dei conti era giusto così.
Il resto dell'ora passò in fretta, quando lasciai la palestra ero sfinito. Avevo bisogno di prendere qualcosa, l'effetto della mia White Lady stava iniziando a scemare, eppure dovevo stringere i denti per un altro paio di ore. Una ogni tre giorni, fino ad abbassare gradualmente il dosaggio, continuavo a ripetermi.
Camminavo in fretta tra la folla di studenti che non vedeva l'ora di lasciare la scuola, evitavo le loro occhiate, perfino il sorrisetto del tipo che si era presentato un po' di tempo prima. Lo guardai di soppiatto però, lo vidi salire su una bella Mustang blu elettrico in compagnia di un paio di amici, poi partì a tutto gas, facendo fischiare le gomme dell'auto.
Che idiota, pensai. Distrarmi con quelle stronzate mi teneva impegnato quel tanto che bastava per evitare le telefonate di mia madre. Che cosa diavolo avrei potuto dirle su Kai? Ero stanco di tentare in un'impresa che non avrebbe mai portato a niente. Alla fine decisi di fare un tentativo e passare nel solito parco in cui mio fratello e i suoi amici fattoni andavano a riunirsi ogni dannato giorno della loro vita.
Infatti anche quella volta lo trovai lì, stava tenendo banco tra i suoi amici nella zona del parco più riparata e lontana della strada. Non fu neanche necessario che mi avvicinassi, i due tipi che facevano da palo lo avvertirono subito.
Kai mi salutò con un cenno della mano, poi mi venne incontro e si gettò letteralmente contro di me in un abbraccio che a momenti ci fece finire a terra.
- Ehi big bro! Sei venuto a trovare il tuo fratellino, eh? Vieni! Ti offro qualcosa! – Era su di giri come la maggior parte delle volte. Dio solo sapeva che cosa aveva fumato quel giorno, rimasi immobile, con i piedi piantati sul terreno sabbioso nonostante Kai stesse provando a spingermi verso il gruppo.
- Kai, dacci un taglio. Quando pensi di tornare a casa? –
I suoi occhi si assottigliarono in fretta, anche la sua espressione divertita lasciò il posto ad un sorriso freddo – Oh, ecco il vero motivo per cui ti sei degnato di venire a trovarmi. Mamma mi vuole a casa! – Si lasciò andare ad una risata gelida – poi che altro dovrei fare per compiacere mammina e papino? Frequentare quella scuola privata per fighetti? Rigare dritto? Indossare delle fottute polo e iscrivermi a qualche torneo di golf per checche? –
- Kai ... - Ero stanco ed eravamo alle solite – torna soltanto a casa. Saranno più tranquilli e smetteranno di stressare entrambi. –
- Perché dovrei? Non fanno altro che giudicarmi! Il modo in cui mi guardano ... come se avessero allevato la delusione più grossa della loro vita invece di un figlio! –
Perché lo eravamo stati entrambi, pensai. Quante volte avevo fallito nel tentativo di mettere una pezza ai danni che Kai provocava? E cos'ero diventato adesso? Ero davvero migliore di lui? No, quel dannato crampo allo stomaco mi ricordò che anch'io ero caduto in basso. Troppo in basso.
- Che hai? Non l'hai presa oggi? – Mio fratello mi lanciò un'occhiata indagatrice, anche il suo sguardo si fece lentamente meno duro – devi prenderla, Lev. Sai anche tu che succede quando non lo fai ... -
- Lascia stare me, Kai. Vediamo di risolvere il tuo problema prima. Torna a casa ... almeno per cena. Fatti vedere anche da loro, saranno più tranquilli –
Lo vidi fare spallucce. Voleva fare il duro, ma non lo era mai stato, non fino in fondo. Lui era stato adottato, io no ... ma questo non cambiava le cose, vedevo molto di me nel mio dolce fratellino. Perfino il modo in cui aveva colorato i suoi capelli ricordava il mio. Il suo modo di camminare, perfino i vestiti che indossava e la passione per la musica. In qualche modo ero stato un esempio per lui. Quando avevo iniziato a fallire anche in quello?
- Eickam, datti una mossa! Tra poco dobbiamo sloggiare –
Uno dei suoi amici gridò da lontano, era chiaro che avevano parecchi affari da portare avanti prima della fine della giornata. Spaccio? Furti? Chi diavolo lo sapeva ormai.
- Arrivo, arrivo. Non rompere le palle, Daril. – Poi l'attenzione di Kai tornò su di me, sembrava sul punto di dire qualcosa di cattivo, lo vidi sbuffare – ok. Mi farò vedere se mi sganci un po' di soldi. –
- Di nuovo? Che diavolo hai fatto con i mille dollari della settimana scorsa?
Un tempo mi sarei anche incazzato per quella richiesta e per quello che c'era dietro, ma non più. Adesso ero stanco e desideroso soltanto di stipulare un trattato di pace, per quanto effimero sarebbe stato.
- Senti, ho fatto un po' di acquisti di recente, roba che sicuramente frutterà in futuro, ma ora come ora sono un po' a terra, fratello. Si tratta soltanto di un prestito, te li restituisco appena mi pagano! –
Scossi la testa, che senso aveva trovare ancora un senso a quella situazione? Non ne aveva. Ecco tutto. Mio fratello era un criminale e un tossico. Punto.
- Torna a casa e ti darò qualcosa. –
- Dammeli adesso, big bro. – Quel sorriso furbo e canzonatorio, di chi crede di poter divorare il mondo, ma in realtà sta finendo divorato dal mondo.
- Non se ne parla. Non li ho qui, ad ogni modo. Torna a casa, Kai. Cena con loro e ti darò quei soldi. Ma è l'ultima volta, ok? –
Parole vuote, lo sapevamo entrambi. Doveva sempre essere l'ultima volta, però non lo era mai, né lo sarebbe mai stata. Kai era un pozzo senza fondo, sperperava il denaro senza tregua, organizzando festini, comprando droghe e alcolici, pagando le sue donne o semplicemente aiutando qualche amico in debito con i pezzi grossi del crimine. Fatto sta che presto o tardi avrebbe fatto una brutta fine.
- E va bene, fratellone. Mi hai convinto. Passerò dai vecchi a rallegrargli un po' la serata! – Poi mi abbracciò forte di nuovo – e che non si dica in giro che non sono un buon figlio! –
- Di troia – Aggiunsi. Un attimo di silenzio durante il quale ci fissammo attentamente, poi scoppiammo a ridere. Gli passai una mano tra i capelli lisci e scompigliati in un gesto affettuoso, che mi ricordava più la nostra infanzia. Non era stata così male. Niente problemi di droga, niente litigi a casa: solo armonia. Quand'è che le cose avevano smesso di funzionare? Cos'era accaduto alla nostra famiglia per renderci i mostri che eravamo? E quand'è che Kai e io avevamo smesso di parlare e trattarci come due fratelli?
Doveva essere stata la prigione a cambiare le cose, anch'io mi sentivo terribilmente lontano dal resto del mondo. Freddo e distante. Irraggiungibile.
Andai via da lì con il solito peso allo stomaco che non era del tutto imputabile alla mia astinenza da cocaina. Avrei dato dei soldi a Kai che avrebbe speso in droghe ed alcolici, in cambio lui sarebbe tornato a casa per un po', giusto il tempo per non far stare troppo male i miei. Che senso aveva? I miei soldi si trasformavano nel suo veleno e forse, un giorno, lo avrebbero perfino ucciso o peggio. Non ci sarei sempre stato io a salvare la situazione. O forse sì? Era il mio destino quello? Prendere tutto quello che veniva sparato contro mio fratello come se fossi stato un giubbotto antiproiettile?
Mi vennero i brividi. Non avrei più potuto sostenere il carcere, neanche per tenere fuori Kai. La morte sarebbe stata preferibile, ma mai più avrei messo piede lì dentro, quella era l'unica certezza assoluta della mia intera vita.
Ero ancora sovrappensiero quando mi resi conto che ero già sui gradini di casa. Vivevamo in una bella villa a schiera, simile a quella di molti altri vicini in uno dei più eleganti quartieri di Brooklyn: Il Brooklyn Heights. Mattoncini marroni e strade grandi, ma pulite. Cosa diavolo mancava a noi Eickam? Nulla. Solo la sanità mentale, a quanto sembrava.
- Buongiorno Levin. Vuoi qualcosa da mangiare prima di stasera? Tacos? Dovrebbe esserci della pizza di ieri se ti va – Greta mi salutò con il suo solito sorriso bonario. Era tutta indaffarata ad occuparsi della cena mentre il nostro robottino aspirapolvere girava per l'enorme salotto, per poco non lo pestai.
- No, aspetterò. – Non avevo fame, volevo soltanto chiudermi in stanza e dormire. Greta non mi stava mai ad ascoltare, mi ritrovai un biscotto davanti alle labbra ed il suo viso agguerrito a due centimetri dal mio – va bene, va bene. Lo mangio. –
- Così si fa! – Disse con aria soddisfatta. Greta era come una seconda madre per noi, era stata la nostra governante fin da quando avevamo memoria, poi anche la nostra baby-sitter. Era una donna di mezza età, sempre piuttosto sorridente e allegra. L'opposto di quello che eravamo noi da un po' di tempo a quella parte.
- Levin? Sei rientrato? –
La voce bassa e funerea di mia madre mi raggiunse proprio quando stavo per andarmene nella pace della mia stanza. Tornai indietro, imprecando tra me e me, per poi scendere giù, nella camera da letto dei miei genitori.
Anna Eickam era lì. Stava cercando di darsi un tono, ma le sue mani tremavano visibilmente, forse per l'effetto della cura che stava seguendo. Era molto magra, il fantasma della bella donna che era stata un tempo e che spesso mi capitava di rivedere nelle foto di infanzia. Eravamo stati noi a ridurla in quello stato. Io, Kai e mio padre. Ma trovò la forza di sorridere comunque quando entrai in stanza.
- Allora? Buone nuove? –
Lo chiedeva sempre, non perdeva quasi mai la speranza.
- Sì. Stasera verrà. – Dissi con un nuovo peso addosso. Quanto mi era costato condurre Kai a casa?
Mia madre si lasciò andare ad un sospiro di sollievo, poi mi guardò con aria fiera
- Tu riesci sempre a capirlo, vero? Oh, com'è stato difficile senza di te, Levin. Ma adesso le cose andranno meglio. Devono andare meglio. Lui ti vuole bene e ti rispetta ... ti ascolterà –
Cercava sempre di farsi coraggio lei, forse, invece, si illudeva e basta. Era più facile vivere in una bugia che nel dramma che erano le nostre vite. Alla fine abbozzai un sorriso e la lasciai lì, ancora intenta a truccarsi.  

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