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Alla fine, è stato Bill a salvare mia sorella.

E' entrato nell'edificio, è riuscito a slegarla, ma poi è stato interrotto dal padre, con cui si è scontrato, perdendo.

Per fortuna, Rachel è riuscita a colpirlo e metterlo fuori uso, perché altrimenti Bill non avrebbe visto nemmeno da lontano l'ospedale.

Suo padre voleva ucciderlo, non ha parlato d'altro, a quanto pare, ed ora è legato al letto d'ospedale, pronto ad andare in carcere e non uscire più.

Ma, al momento, non è importante, perché Bill non c'è la sta facendo.

"Helena?"

Alzo lo sguardo, facendo un piccolo sorriso a Rachel, che si siede al mio fianco, sulla poltrona della sala d'aspetto di cardiologia.

Bill è chiuso in una di quelle stanze, in chissà quali condizioni.

Non vedo il suo viso da due giorni.

"Allora, come va?" Chiede, voltandosi verso di me, così da studiarmi, sinceramente curiosa.

E' stata lei, quella ad essere stata rapita, eppure sembro io la vera vittima: non ha senso mentire, non sono mai stata la gemella più forte.

"Non me lo fanno vedere." Dico, semplicemente, come spiegazione a tutto "Solo i famigliari possono entrare."

"Beh, penso che tu sia la cosa che più si avvicina ad un famigliare, per lui." Ribatte lei, con la sua solita sufficienza.

"Sì, ma ciò non cambia che non lo sono."

Sospiro, e poi abbasso lo sguardo, appoggiando la testa sulla sua spalla, cercando un po' di affetto, almeno da parte sua.

E Rachel mi abbraccia, baciandomi la fronte e continuando a stringermi, dolce.

"E' forte, Helena." Dice, accarezzandomi i capelli.

"Sì, ma non hanno donatori compatibili, Che." Ribatto, aspra "Ce l'ha spiegato, papà: ha bisogno di quei tessuti per cercare di compensare la sua malformazione, ma in pochi si sottoporrebbero ad un intervento a cuore aperto per qualcuno che nemmeno conoscono."

Ed è questa la vera sfortuna, per Bill, perché a noi serve solo un donatore, sia che sia morto che sia vivo, ma, nel primo caso, nessuno sembra andare, e, nell'altro, tutti hanno troppa paura per sottoporsi a quel genere di intervento.

Hanno fatto intendere che non ci sono più speranze, ma io non posso davvero pensarci: non voglio.

Rachel mi prende la mano, attirando la mia attenzione, guardandomi dritta negli occhi.

"Helena, ho chiesto a Riley di chiudere entrambi gli occhi, questa sera."

Corrugo la fronte, spaesata: ma di che diamine parla?

"Come, scusa?" 

Rachel sorride, e poi mi da un veloce abbraccio, avvicinando le sue labbra al mio orecchio "Va' da lui, Hel."

Sgrano gli occhi, perché finalmente capisco, e non posso davvero crederci.

"Ti sei fatta l'infermiere di turno per farmi andare da lui?"

Lei scuote le spalle, facendo una piccola smorfia sufficiente "So di essere la migliore gemella del mondo."

Sorrido, completamente impazzita, baciandole le guance e correndo dentro il reparto, notando che, effettivamente, non c'è nessuno.

Rachel ha fatto davvero un bel lavoro.

Prendo da uno dei vari cesti per i medici il camice, la cuffietta, i guanti e i copriscapre, ben consapevole di aver bisogno di tutto questo per vedere Bill.

Prendo un profondo sospiro, e poi entro, rimanendo subito scioccata da tutto il bianco di questa nuova stanza.

Letto bianco, macchinari bianchi, tende bianche.

Mi sembra di essere già morta.

E poi vedo lui, steso e con gli occhi chiusi, col ventre scoperto e pieno di fili che vanno alle varie macchine, che lo tengono in vita.

Ha anche la mascherina dell'ossigeno, ma il petto si muove così lievemente da sembrare immobile.

Stringo le labbra, nervosa, e poi mi avvicino, sedendomi sull'unica poltrona, iniziando a guardarmi intorno, non riuscendo a guardare lui.

Fa troppo male.

Noto che hanno lasciato i suoi occhiali sul comodino e, sotto di questi, c'è il suo libro scritto in una lingua strana.

Lo prendo, iniziando a sfogliare le pagine, notando che Bill ha segnato con l'evidenziatore diverse frasi e che alcuni spigoli sono stati piegati, così da segnare qualche parte importante.

Sorrido, addolcita da questo comportamento, per quanto insignificante, fino a quando noto che, alla fine dell'ultima pagina, c'è scritto un nome, il mio nome.

Sembra scritto quasi a caso, come uno scarabocchio, ma, notando quante volte è stato ricalcato a penna, sottolinea che Bill deve averci pensato a lungo.

Sfioro la scritta con le dita, e sorrido, rialzando lo sguardo su di lui, ancora completamente incosciente.

Poso il libro in grembo e mi avvicino a lui, prendendo la sua mano, fredda come il ghiaccio, ma che contiene ancora così tanta vita.

"Ci sono, Bill, ci sono." Sussurro, mentre una sola lacrima scende lungo la mia guancia, che viene subito scacciata da un sorriso.

Devo smetterla di piangere, perché non è ancora finita, e nemmeno finirà.

Bill c'è la farà, ne sono sicura: devo esserlo.

"Helena?"

Alzo lo sguardo, sorpresa nel sentire la voce di mio padre, fermo, totalmente bardato con la divisa, sulla porta.

"So che non sarei dovuta entrare." Dico, subito, ben consapevole di ciò che ho fatto.

"Tranquilla." Dice, avvicinandosi a me, sorridendo e accarezzandomi le spalle "Pensavo l'avresti fatto molto prima."

Accenno ad un sorriso, felice che lui abbia capito, e poi torno a guardarlo, stringendo la sua mano, accarezzandone il dorso.

Vorrei così tanto rivedere i suoi occhi, al momento.

"Sta provando dolore?" Chiedo, continuando ad osservarlo, quasi come se il mio sguardo potesse davvero aiutarlo a svegliarsi.

"Lo abbiamo sedato proprio per questo: per evitargli il dolore."

Non dico nulla, ma, semplicemente, mi appoggio al suo letto col viso, vicino al suo petto, sfiorando la sua pelle pallida e sentire i battiti leggeri del suo cuore.

Batte ancora, non ha smesso: è troppo forte.

"Hel, mi dispiace per non averti detto subito la verità, per averti impedito di vederlo e...per tutto il resto."

Sposto lo sguardo, e poi mi risollevo dal letto, prendendo la sua mano, portandomela al viso "Va tutto bene, papà: ora conta solo che lui stia bene."

Lui sorride, e, per quanto si contenga, noto che il suo sguardo vacilla, facendosi più acquoso.

Si china, e mi bacia la fronte "Adesso vi lascio soli per un altro po'."

Annuisco, felice "Grazie."

Lui sembra finalmente più rilassato, e si allontana, passandosi la mano sul viso, perché, per quanto si cerchi di nasconderla, a volte l'emozione è troppo forte per rimanere in disparte.

Lo osservo, mentre cerca di uscire, ma poi si blocca, fermato dal bip del suo cercapersone.

E, non appena il suo sguardo torna su di me, completamente perso fra lo stupore e la speranza, capisco che qualcosa è appena cambiato.

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On the edge / Bill SkarsgårdDove le storie prendono vita. Scoprilo ora