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C'è una sottile differenza fra il non sentire nulla e l'essere in coma.

Certo, se non senti nulla è facile, visto che, alla fine, non c'è dolore, ma solo tu e il vuoto più totale.

C'è il buio, c'è il silenzio, e la pace regna nella tua mente.

Nel coma, tu non sei altro che un piccolo insetto bloccato nella gabbia della tua mente.

Senti ogni cosa, avverti che intorno a te tutto cambia, mutando nel tempo, mentre tu, imprigionato, resti sempre lo stesso, impotente.

C'è il dolore, anche se assopito, e c'è la voglia di riemergere, perché, se c'è qualcosa che ti manca, e il desiderio di non essere più sospesa, di non essere più un qualcosa o di non essere proprio niente.

Stare a metà non è sempre la soluzione giusta.

L'aria entra lentamente nei mei polmoni, mentre, nell'anticamera del mio cervello, il rumore di un bip leggero torna a galla, quasi come una melodia lontana.

Mi sento stanca, assopita, come se i miei muscoli fossero stati addormentati a lungo ed ora chiedessero disperatamente di esplodere.

Strizzo le palpebre, e poi le apro, rimanendo subito accecata dalle luci bianche dell'ospedale, più forti che mai.

Il bip della macchina vicino al mio letto quasi mi fa esplodere la testa, tanto è fastidioso, e in più sento il viso umido, come coperto da una sostanza gelatinosa e morbida.

Ma che diamine è successo? Perché c'è una flebo attaccata al mio braccio?

"Helena." E' la voce di mio padre, sempre gentile, mentre mi si avvicina, accarezzandomi lentamente i capelli "Buongiorno."

"Cosa è successo?" Chiedo, con voce roca, come se le mie corde vocali fossero andate in cancrena "Perché sono qui?"

"Non ti agitare." Mi consiglia, sedendosi sul bordo del mio letto, prendendo la mia mano "Abbiamo appena interrotto gli anestetici e potresti sentirti male."

Anestetici?

Cerco di alzare una mano, così da togliermi la strana sostanza che ho sul viso, ma mio padre mi ferma, sempre gentile.

"Non toglierti la protezione, o la flebo: ne hai ancora bisogno." Spiega, e io subito corruccio lo sguardo, non capendo.

"Papà," ribatto, lentamente, sospirando "che cosa mi è successo? Perché sono qui?"

Lui sistema l'orlo del coletto della mia divisa ospedaliera, una semplice camicia da notte bianca in cotone, e poi sorride.

"Adesso sei al sicuro, piccola: non devi temere nulla."

Al sicuro? Non devo temere nulla?

"Papà, che cosa è successo?" Chiedo, ancora, questa volta più decisa, sentimento sottolineato dall'aumentare dei bip sulla macchina.

Mio padre continua ad osservarmi, sempre con gli occhi scuri puntati su di me, attenti, quasi come se stesse riflettendo su come svincolare da questo momento.

Poi, sospira, arrendendosi.

"Sei stata aggredita, Helena, ma ora è tutto a posto."

Sgrano gli occhi, sinceramente sconcertata "Come aggredita? Chi è stato? Come? Perché?"

I bip aumentano a dismisura, e mio padre subito stringe la mia mano, più deciso, cercando di calmarmi.

"Va tutto bene, Helena: tu sei al sicuro ora, nessuno potrà farti del male."

On the edge / Bill SkarsgårdDove le storie prendono vita. Scoprilo ora