~551 dαγs αftεr~

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{Cιαrkε 01.12 α.m.}

A Clarke sembrava di essere rinata: da quando era uscita quei pochi secondi sei mesi prima, la sua vita sembrava in completa salita.
La solitudine continuava a tenerla in ostaggio, ma era grazie alla speranza che riusciva a respirare.
Negli ultimi mesi non era più uscita, ci aveva messo parecchie settimane per riprendersi del tutto, ma, finalmente, le sue analisi del sangue erano tornate stabili.
L'indice di abitabilità era salito quasi al 40% quando Clarke decise di riprovare ad uscire.
Secondo i suoi calcoli, di notte il livello di radiazioni era minore, perciò decise che quello era il momento di agire. Non sarebbe andata lontano, doveva solo cronometrare per quanto tempo il suo organismo riusciva a respingere le radiazioni.
Clarke si infilò la nuova tuta che aveva costruito modificando quella vecchia: aveva molte più tasche interne ed era di un tessuto più resistente prodotto con le bucce di alcune bacche che nascevano nella sua serra.
Infilò i capelli lunghi nel casco, appuntandosi mentalmente di tagliarli più tardi e corse verso il portone d'ingresso.
Ancora una volta, l'eccitazione e l'ansia l'assalirono mentre riempiva le bombole di ossigeno: da una parte non vedeva l'ora di uscire da quelle mura opprimenti, dall'altro aveva paura di non riuscire a gestire le radiazioni nonostante il sangue nero che il suo cuore le pompava nelle vene.
Allungò una mano e chiuse le dita attorno alla maniglia esitando: improvvisamente le mancò la forza.
E se qualcosa fosse andato storto? E se c'era qualche strappo nella sua tuta che non aveva visto? E se..
Clarke chiuse gli occhi e con la mente immaginò di non essere sola. Immaginò, come faceva spesso, che una figura si materializzasse di fianco a lei e le infondesse la forza di cui aveva bisogno.
Quella volta apparve sua madre.
Clarke guardò la donna con i lunghi capelli biondi e Delle rughe intorno agli occhi, come se ridesse spesso, anche se Clarke non ricordava più l'ultima volta che avesse riso dopo l'esecuzione di suo padre.
La donna non disse niente, sorrise e appoggiò la sua mano su quella della figlia e, insieme, abbassarono la maniglia.
Una folata di vento bollente entrò dallo spiraglio aperto.
Clarke si girò verso sua madre: -ci rincontreremo ancora- sussurrò chiudendo gli occhi.
Quando li riaprì era sola.

[01.22 α.m.]

Clarke si guardò intorno spegnendo la
Torcia che si era portata dietro: nel cielo la luna illuminava il paesaggio a giorno. Era una luna strana: più vicina del normale e di una strana sfumatura tra il giallo e il rosso; probabilmente l'aria tossica aveva trasformato molte cose.
Clarke fece un altro passo guardando le stelle che brillavano nel cielo: sembrava incredibile che prima abitasse lì.
Abbassò la testa cercando di capire quanto tempo le rimaneva: non si sentiva debole o stordita, quindi decise di allontanarsi un po'.
La prima cosa che scoprì Clarke fu che, dopo essersi addentrata nella foresta, il terreno nero era ricoperto da una spolverata di verde: erba. Stava ricrescendo l'erba!
Gli alberi erano privi di foglie e il tronco era più scuro del normale, ma almeno stavano in piedi.
Clarke saltò un tronco caduto e carbonizzato e scorse in lontananza una collinetta: lì c'era il deposito di droni di Becca! Se fosse riuscita ad accendere l'impianto avrebbe potuto comandarli anche dal laboratorio.
Accelerò il passo schivando resti secchi di alberi e carcasse di animali. Probabilmente ci sarebbero voluti secoli prima che qualche animale tornasse a ripopolare il pianeta.
Improvvisamente sentì un rumore. Un rumore molto familiare: acqua che scorre.
Clarke iniziò a correre verso la collinetta fatta di terra scura e, qualche metro più avanti, trovò un ruscello. Ma non riuscì a rallegrarsi.
L'acqua era giallo fosforescente e strane creature nuotavano sotto la superficie. Erano simili a pesci ma così grossi da sembrare dei piccoli cinghiali con le pinne. Alcuni avevano anche una specie di coda pelosa e spruzzavano acqua dal dorso come le balene.
Clarke ebbe un conato di vomito e si allontanò: per fortuna con quel casco non riusciva a sentire gli odori, perché era sicura che ci fosse un tanfo tremendo.
Quando raggiunse la collinetta la testa cominciava a girarle. Cercò tastoni il portello d'ingresso e girò la maniglia arrugginita.
Clarke si infilò nel bunker e tirò un sospiro di sollievo prima di accendere la torcia.
Si ritrovò in un magazzino più piccolo del previsto pieno di scaffali dove migliaia di droni erano impilati.
Clarke si incamminò alla ricerca del pannello di controllo e lo trovò alla fine del laboratorio.
Era un impianto degno di Raven: pieno di fili, bottoni, luci e tasti.
-andiamo...
Clarke iniziò ad alzare tutte le leve nella speranza di far accendere la scritta "on".
La testa cominciava a pulsarle quando finalmente riuscì ad accenderlo: la stanza si riempì di ronzii e molte pale cominciarono a girare facendo svolazzare la tuta della ragazza.
Ce l'aveva fatta. Aveva attivato i droni.

{Bειιαmγ 08.39 α.m.}

Bellamy tracciò la 551esima linea nell'Oblò appena si svegliò.
Si era addormentato lì la sera prima mentre osservava la Terra con Raven.
Per la prima volta dopo più di un anno, alcune nuvole si erano dissolte mostrando un pezzo della Terra. Quel pezzetto però li aveva fatti rabbrividire: il mare era giallo scuro, quasi verde, e la terra era nera come il carbone.
Era uno spettacolo raccapricciante.
Quella mattina però le nuvole erano tornate.
Bellamy si alzò tastandosi la cintura, poi prese il walkie-talkie.
"Monty, Murphy... Dove siete?"
"Bellamy sali al quartier generale,Harper deve dirci una cosa..."
Bellamy aggrottò la fronte alla risposta di Murphy, poi uscì dalla stanza.
Al quartier generale erano tutti radunati intorno al tavolo e guardavano assorti la radio appoggiata sopra.
Echo si girò verso di lui e gli strinse la mano. Aveva un'espressione contrariata e sembrava voler essere dappertutto tranne che lì.
-che succede?
Harper alzò lo sguardo e scosse la testa.
-stavo pulendo la sala quando la radio ha cominciato a fare strani rumori. Inizialmente pensavo che fossero le solite interferenze, ma poi l'ho sentito.
-che cosa?- Bellamy sentiva un nodo in gola. Non riusciva a deglutire, ne a muoversi, né a respirare.
-una voce. Non sono riuscita a capire se fosse un uomo o una donna, ma ho sentito quello che ha detto.
-e che cosa ha detto?- domandò Emori a lato di Bellamy.
Echo strinse la mano di Bellamy più forte.
-un nome.
Il ragazzo dovette costringere il suo cuore a rallentare perché non sentiva altro che i suoi battiti accelerati.
-che nome?
-Bellamy. Ha detto Bellamy.

Mαγ Wε Mεεt Δgαiη // The100Where stories live. Discover now