L'anniversario

333 19 23
                                    

Una fotografia.

Una sola, unica fotografia è tutto ciò che mi resta, conservata con cura in una cornice dorata, di legno, decorata a mano mille e mille anni fa. Il vetro non è ricoperto di polvere, lo pulisco spesso. La mensola su cui poggia non è ingombra di soprammobili, c'è solo lei.

La fotografia.

Ridiamo tutti in quella fotografia, perfino mio fratello che generalmente è troppo timido e riservato per dimostrarsi esuberante davanti all'obiettivo; anche io. Che non ridevo mai in quel periodo se non per posa, che non mi divertivo se non per finta, che non sorridevo se non per far felice qualcun altro. In quella foto, invece, ridevo per davvero.

Oggi è l'anniversario, il secondo per la precisione. Come dimenticare questa data? Quella in cui tutto è crollato, in cui tutto è andato a rotoli per sempre e in cui io non ho potuto fare niente per evitarlo. Avevo già fatto troppo in precedenza.

Osservo la fotografia, non faccio altro. Anche l'anno scorso è stato così, sarà per sempre così perché da un lato il dolore me lo merito; devo vivermelo tutto fino in fondo, sentirlo, affogarci dentro e poi rinvenire per poterlo sentire ancora e morire ancora e farmi uccidere da lui, ancora.

Piove. Non è una brutta giornata, c'è pure un po' di sole, ma questo non impedisce al cielo di piovere un poco. Pioviggina, e da qualche parte ci sarà un arcobaleno. A lui piaceva l'arcobaleno, come ai bambini, lo cercava e rimaneva col naso all'insù per minuti interi ed infine lo fotografava col sorriso sulle labbra. Era così bello, ma io non ce l'ho mai fatta a dirglielo ed ora è troppo tardi.

Se ripenso a tutte le volte in cui c'era solo lui, per me; io non c'ero invece, né per lui né per me stesso né per nessun altro e questo è ciò che l'ha ucciso, probabilmente.

Ricordo poco, ho buchi di memoria e ciò che riesce ad emergere dalla nebbia della mia mente sono sprazzi brutti, orrendi: immagini di un me che barcolla e dice cose senza senso, sempre troppo ubriaco e sempre con una sigaretta tra le dita; scene di un me che cade sul selciato perché a tenersi semplicemente in piedi non ci riesce; nelle aiuole, e nemmeno ci provavo più a reggermi sulle braccia, mi lasciavo cadere e basta. E stavo sempre male, male, malissimo, sia fisicamente che psicologicamente, e niente riusciva ad aiutarmi davvero, nemmeno tutte le dipendenze in cui mi gettavo a capofitto, a volte però lui, solamente lui.

Io cadevo e lui era sempre lì accanto, con quel trucco sugli occhi tutto disordinato che a me piaceva così tanto, e quei guanti con le dita tagliate che rendevano le sue mani così belle, ancora più del normale, e quella cravatta mezza slacciata che gli donava troppo; e come sempre, queste cose non gliele ho mai dette, non sono riuscito mai. Se ne stava lì fermo con la fronte un po' aggrottata, le braccia abbandonate lungo i fianchi, mi prendeva per una spalla e mi aiutava a tirarmi in piedi quando vedeva che riuscivo ad alzarmi. Mi scrollava la polvere dai vestiti. Camminava lentamente di fianco a me osservandomi con quello sguardo preoccupato e mai rassegnato, mai. Mi diceva che dovevo solo avere pazienza, e che poi sarei stato meglio. Mi chiedeva come andava, tutte le volte. Non se ne andava mai. Mai.

Era solo un ragazzino ma aveva una forza, dentro di lui, mai vista.

Poi però l'ha fatto, se n'è andato, e come biasimarlo? Tutti avrebbero fatto lo stesso al suo posto.

Ma aveva ragione, anche se non è rimasto per vederlo: dovevo solo avere pazienza e poi sarei stato meglio.

Ora sto meglio.

Ma non oggi. Oggi è una giornata a sé e devo calarmi nuovamente in quel dolore, quello che provavo allora, è l'unico modo che ho per sentirlo vicino e per rendermi conto fino in fondo che non c'è più.

One Shots - frerardWhere stories live. Discover now