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Scivolai lungo la porta di legno lavorato, portai le gambe al petto e le circondai con le braccia, la mie mani fredde toccarono il mio viso, al contatto mi vennero i brividi. Chiusi gli occhi e cercai di annullare il lavoro ricettivo della mia mente, respirai a fondo cercando di prendere aria pulita, senza nessuna contaminazione.

"Papà sono a casa!" Dissi entrando dalla porta di ingresso, posai lo zaino pesante sul pavimento, l'unico rumore a darmi risposta fu quello. La casa era in totale silenzio.

Nessuna risposta, entrai in cucina tutto era in un ordinato silenzio, nessuno vi era in casa. Quando le mie orecchie captarono un suono, qualcuno parlava, in quel silenzio stagnante avrei dovuto sentirlo prima, ma forse troppo distratta dall'eco della mia voce. Mossi i primi passi verso la fonte di rumore, in salito la Tv era accesa, mi crucciai sapendo che mio padre non avrebbe mai lasciato il trasmettitore di notizie acceso, alcuni passi si mossero in avanti fino al divano, poggiai i miei palmi sulla pelle morbida e candida fino ad abbassare lo sguardo. Il mio cuore perde un battito, poi altri mille.

"Papà! Cazzo!" Feci il giro in maniera scattante, il suo viso era pallido e freddo, il suo corpo non rispondeva alla mia voce, poggiai le mie mani sul suo petto.

"Diamine! Papà, andiamo rispondimi, su forza, papà!" I miei occhi si fecero umidi e la mia vista incominciò a mancare "Aspettami qui, forza papà! Chiamo aiuto"

Presi il cellulare con le mani tremanti, lo tirai fuori dalla tasca posteriore dei jeans, tenendo la testa di mio padre sulle mie gambe. Composi il numero e pregai affinché tutto andasse per il meglio, pregai sentendo il mio cuore morire e battere sempre più forte.

"Pronto a-"

"Mi serve aiuto! La prego, mio padre non sta bene e non so cosa diavolo fare, vi prego, vi scongiuro!" Il mio fiato uscii a tratti, la mia voce avrebbe voluto rimanere nello stomaco e i miei occhi cambiare visione.

"Si calmi signorina, mi dica adesso dove si trova precisamente" Disse con estrema tranquillità, io invece, avrei voluto urlare.

"Street Madison sulla trentanovesima strada!" Urlai a pieni polmoni tenendo ancora il viso di mio padre con le mani, mentre il mio cellulare veniva schiacciato tra la spalla e l'orecchio. Era così freddo che speravo sentisse il mio calore.

"Stiamo arrivando, stiamo calma e cerchi di non toccare suo padre" Detto questo susseguii un lungo bip. Terminò la chiamata.

Scossi la testa cercando di eliminare il dolore e le urla, la mia gola bruciava ancora e il mio cuore correva come impazzito. Riaprii gli occhi, il buio investii le miei iridi. Presi un respiro profondo e lascia che io dolore investisse la mia anima, quasi a lacerarla del tutto, portai la mia mano sul petto, a reprimere il dolore che piano piano aveva rovinato la mia intera esistenza. Un lieve e leggero tocco alla porta riempirono quel silenzio e quel buio, non risposi, non avevo voce sufficiente per poterlo fare, era sparita insieme alle lacrime e all'aria. Un sospiro si udii fuori dalla mia stanza, avrei riconosciuto la persona che stava dietro quell'ammasso di legno. Non risposi, non avrei saputo cosa dire o come avrei fatto a far uscire la mia voce, l'unica che aveva potuto avere il privilegio di sentirla era stato l'operatore del pronto soccorso.

"Kandra, aprimi per favore, ti prego" Chi ci facesse lui qui? Evidentemente tutto il vicinato aveva già appreso la notizia e aveva fatto in modo che si propagasse a tutti. Su di me non c'erano mia buone notizie, una madre scomparsa da anni, una bambina sola e con un passato troppo pensare per una come lei, un padre alcolizzato che le addossava colpe inesistenti. Erano state solo disgrazie quelle che il vicinato poteva permettersi su di noi, su questa famiglia.

"Ti sento, so che sei qui dietro, se ti dicessi che capisco probabilmente risulterei un vero ipocrita impoverito dai propri ricordi, ma non so cosa tu stia passando. Voglio solo vederti, andrà tutto bene" Disse in maniera parentale.

"No che non capisci, è ovvio" Mi alzai e aprii in maniera arrabbiata la porta, una pentola a pressione che stava per rigettare ogni singola molecola d'acqua "È ovvio che non capisci, quando mai hai dovuto farlo Bieber? Quando ti conveniva? Quando eri pentito? Divertente!"

Lo spinsi di poso poggiando le mie mani sul suo petto coperto da una maglia azzurra attillata, nonostante il freddo il suo corpo era caldo e calmo in contrasto completo con il mio. Prese i miei polsi e li riscaldò, il sangue, il cuore, la mia anima stavano attutendo il dolore con il calore, il calore di casa.

"Mi dispiace" Disse ad un tratto, mi guardò cercando di ritrovare i miei occhi sui suoi, ma guardai da tutt'altra parte. Le sue braccia scivolarono lungo il mio corpo e lo spinsi contro il suo, posizionò un bacio sulla mia fronte e le lacrime trattenute per dimostrare forza scivolarono lente e dolorose sulle mie guance, la sua maglietta era bagnata a causa mia.

"Scusa, non avrei dovuto urlarti contro" Tirai indietro il viso dal suo petto e guardai la macchia che gli avevo appena lasciato sulla maglia azzurra.

"Non fa nulla" Non lo guardai e non se stesse rispondendo per la macchia o per il fatto che pochi minuti fa gli avessi urlato contro e vedendomi in dubbio parlò "Parlo di entrambe le cose, la macchia andrà via e tu sei solo arrabbiata e piena di dolore, vuoi che ti accompagni all'ospedale?"

Annuii in maniera frenetica scivolando via da quel calore accogliente che avevano prodotto per me le sue braccia. Passai le mani sotto gli occhi e uscii fuori dalla stanza seguita da lui, una volta in macchina il silenzio tombale avvolse la vettura facendomi quasi sentire in totale imbarazzo, quando la sua mano liberatasi dal volante si posò sulla mia gamba sinistra stringendola di poco, infondendomi un po' di coraggio. Tutto ciò che di più caro avevo nella vita mi era stato portato via, strappato letteralmente, mio padre era sempre stato ai miei occhi una persona orribile e forse questo gli serviva da lezione, rovinare la vita degli altri non porterà solo che rovine, e forse non era totalmente sbagliato. Mi aveva chiesto scusa, avrei dovuto perdonarlo con il tempo ma lui era l'unico uomo che si era preso cura di me quando ero piccola anche se, una volta cresciuta le cose erano cambiate. Posteggiammo una volta arrivati all'ospedale, scendendo dall'auto Justin prese la mia mano nella sua, sorrisi pensando che finalmente non avrei dovuto affrontare tutto ciò da sola.

"Salve cerco John Smith, sa per caso dove posso trovarlo?" Chiese Justin in maniera gentile.

"Certo, siete parenti?"

"Sono sua figlia!" Dissi prontamente facendomi avanti, gli occhi della donna si addolcirono e circondarono la mia figura.

"Stanza 32B" Mi sorrise.

Senza esitare mi incamminai per quel corridoio che sapeva di tristezza, il mio cuore stava velocizzando il suo regolare battito e quando lo vidi attraverso la vetrata, quel cuore si ruppe.

Bullismo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora